L'imprenditore Ernesto Preatoni
(Ansa)
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Ernesto Preatoni: «Si sono giocati il futuro di Campione d'Italia»

L’«inventore» di Sharm el-Sheikh, visionario imprenditore del turismo globale, aveva un progetto di rilancio per il comatoso casinò che ha travolto nella crisi l’intera cittadina sul lago di Lugano. Niente da fare: la burocrazia, unica istituzione ricca della zona, l’ha fatto scappare. Panorama ne raccoglie l’amarissimo sfogo

«Quando vedo dal balcone di casa quel casermone sull’altra sponda del lago mi arrabbio». Il falansterio che genera ansia è il mastodontico casinò di Campione d’Italia e il proprietario del balcone a Lugano è Ernesto Preatoni, mago del turismo mondiale, l’«inventore» di Sharm el-Sheikh e delle vacanze nelle Repubbliche baltiche, con un impero che va da Dubai a Novosibirsk in Siberia. Osservando l’enclave dal terrazzo, un giorno di cinque anni fa gli spuntò un’idea meravigliosa: trasformare nella Montecarlo italiana quel paesone in declino dopo il fallimento del casinò nel 2018 (riaperto nel 2021 in seguito a concordato).

«Poteva diventare un luogo meraviglioso, con un’ubicazione geografica perfetta, il casinò, i vantaggi fiscali e un indiscutibile appeal immobiliare. Con numerose proprietà comunali da valorizzare anche a beneficio della popolazione. Ma senza interventi strutturali è destinato a essere sempre più grigio e irrilevante». Questa è la storia di un sogno infranto, del tentativo concreto di riportare all’età dell’oro quello spicchio d’Italia in territorio svizzero che un tempo veniva definito «il Comune dei balocchi» e oggi è una palla al piede per le finanze pubbliche, con i dieci milioni all’anno sganciati dallo Stato per sovvenzionare una ripresa senza speranza.

«Sono abituato a sognare, è stato così a Sharm, in Lituania ed Estonia o quando ho scalato le banche. Sembrava impossibile, poi tutto è diventato realtà. Ma questa volta sono stato di un’ingenuità pazzesca» racconta Preatoni con un misto di delusione e fastidio. «L’obiettivo era trasformare Campione in un posto magico, con sale da gioco ma anche ville galleggianti sul lago, costruzioni con spiagge artificiali per garantire la balneazione tutto l’anno, un indotto di altissimo livello. Oggi la gente compra servizi top, compra l’immagine come a Dubai. E quella di Campione non potrebbe essere più bassa di così».

Preatoni non parlava con la stampa da due anni e mezzo. Contrario all’euro, ideò il manifesto «Una scelta diversa» per avviare una discussione sugli effetti della moneta unica sull’economia italiana, ma si rese conto che quella battaglia era donchisciottesca. Così come, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ebbe la consapevolezza che «la mia posizione moderata sarebbe apparsa erroneamente filo-Putin, perché quando all’establishment conviene una certa direzione, i giornali allineati sposano questa direzione condizionando pesantemente l’opinione pubblica». Da qui il silenzio, rotto solo per dire la sua su una vicenda finita male, con conseguenze dirette sulle finanze dello Stato italiano.

Lui era determinato, come di consueto, a portare avanti un’operazione da due miliardi di euro. Con un partner come il tycoon americano Anthony Georgiou (poi deceduto) che avrebbe realizzato un secondo casinò sull’acqua e garantito un flusso internazionale di clienti: statunitensi, asiatici, cinesi, australiani senza cannibalizzare gli aficionados della sala da gioco tradizionale. L’intenzione era replicare l’esperienza di Venezia, dove con una sola licenza sono stati costruiti due casinò. Il resto lo recita a memoria Preatoni, perché talvolta i sogni faticano a dissolversi.

«Volevamo aggiungere il lido, la marina, collegare il casinò galleggiante alla terraferma con una passerella pedonale e una passeggiata a lago. Volevamo aprire suite nelle strutture perché in questi anni il business principale non è più il gioco ma l’affitto delle camere ai giocatori. Più un eliporto per collegare Campione a Linate e Malpensa come avviene fra Montecarlo e l’aeroporto di Nizza. Poteva essere la svolta. Purtroppo mi sono trovato davanti a Roberto Canesi, un sindaco incapace di recepire un grande progetto come questo. Non so se fosse più spaventato o attendista. Mi diceva: Ci penseremo, vedremo... Alla fine mi sono sentito preso in giro».

Nella lettera di congedo al sindaco, Preatoni scrive così: «Lei è un maestro in un’arte a me sconosciuta, quella di posticipare. E per la mia, purtroppo lunga, esperienza, la scelta peggiore è sempre quella di non scegliere». Dopo quattro anni di corteggiamento il finanziere milanese saluta e destina altrove gli investimenti «perché un imprenditore serio non tiene i soldi sotto il materasso. Allo stato attuale non ho più interessi lì, anche se le elezioni sono l’anno prossimo e qualcosa potrebbe cambiare. Mi domando come sia stato possibile far fallire un casinò e come sia possibile ridurre così Campione d’Italia. Quando ero ragazzo si partiva da Milano il sabato sera per l’uscita chic a Campione; era la stagione dei concerti delle grandi star, degli eventi internazionali, delle cene con gli chef stellati. Ora vivono di slot machine e di sovvenzioni statali. Vedo un luogo, una volta magico, che tira a campare con i soldi che cadono dal cielo e senza nessuna voglia di rialzare la testa. Saracinesche abbassate, declino palpabile. C’era un ristorante di grande livello, Da Candida, ha chiuso anche quello. Lo ripeto a voce alta: come si fa a far fallire un casinò che nel 2017 incassava 94 milioni di euro? Con il mio progetto ci saremmo mangiati in insalata gli svizzeri, invece niente».

Campione d’Italia era il Comune dei Balocchi, ora è il Comune degli Sprechi. E quei dieci milioni rischiano di diventare una goccia in un pozzo senza fondo, mentre le attività artigianali e turistiche scompaiono, i cartelli con scritto «vendesi» non si contano e i valori immobiliari sono crollati. Questo anche perché 2,7 milioni del finanziamento finiscono nelle tasche di 14 dipendenti comunali, grazie a una legge risalente agli anni Ottanta che stabiliva un trattamento economico speciale per «la particolare situazione geografica e il contesto economico svizzero in cui è inserito il Comune di Campione d’Italia ove la valuta corrente è il franco». Una prebenda ulteriore, aggiunta alla possibilità di ottenere un taglio consistente delle tasse rispetto al cittadino italiano medio: nel 2023 la riduzione è stata del 33 per cento.

Ora con l’euro non è più così, il costo della vita è come quello di Milano ma la segretaria comunale continua a guadagnare 19 mila euro al mese, più del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. I due vigili urbani 11 mila euro al mese, il dipendente dell’anagrafe 10 mila e l’operaio comunale 7 mila. Secondo la Corte dei conti questi stipendi d’oro sono ingiustificati e andrebbero rivisti.

Il sindaco Canesi, messo alle strette da un servizio del programma tv Fuori dal coro, assicura: «Chiederò di adeguare gli stipendi, a suo tempo. Ma la richiesta non la faccio domani mattina». Con calma, mentre i frati sono ricchi e il convento è povero. Anche se, oltre alla fiche statale, al Comune vanno - pro quota annuale - i 132 milioni della casa da gioco, come da concordato imposto dalla Cassazione. Fino al fallimento, era il casermone progettato dall’archistar Mario Botta a reggere le finanze locali e a fare da ufficio di collocamento: su duemila campionesi, 497 lavoravano per il casinò, oggi ridotti a 173.

Per la statistica, i dipendenti del Comune erano 103, adesso i privilegiati sono solo 14. Ma resistono aggrappati allo status quo. Per sollevare il problema degli sprechi i due leader dell’opposizione Simone Verda e Gianluca Marchesini hanno scritto una lettera al presidente Mattarella nella quale sottolineano che «è imbarazzante verificare che i dipendenti del comune di Campione continuino a percepire stipendi da oltre 10 mila euro mensili netti, già poco giustificabili prima per il diverso contesto economico, ma anacronistici e arbitrari oggi per la finanza pubblica». Diceva Giulio Andreotti per sintetizzare lo scempio: «Meglio tirare a campare che tirare le cuoia». Ripensando al sogno infranto, Ernesto Preatoni dal terrazzo di Lugano scuote il capo. La sua Montecarlo italiana è destinata a rimanere un triste carrozzone.

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Giorgio Gandola

Giorgio Gandola, nato a Como 60 anni fa, diventa giornalista nel quotidiano locale La Provincia. Il giorno del crollo del muro di Berlino (9 novembre 1989) viene chiamato al Giornale da Indro Montanelli per occuparsi di sport e costume. È nominato inviato e poi caporedattore. In seguito dirige la Provincia di Como, Lecco, Sondrio e Varese, L'Eco di Bergamo e Bergamo Tv. Scrive su La Verità dal primo numero.

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