Gabriele Muccino: perché sono tornato a lavorare in Italia
Intervista al regista, a New York per la tappa americana del tour di Panorama. Un viaggio tra la cultura Usa e quella natia
Un film che racconta tanti anni, una quarantina forse, della vita di tre ragazzi e una ragazza dall’adolescenza alla maturità piena: di più Gabriele Muccino non rivela, non anticipa, ma sarà questo il soggetto della sua nuova opera, alla quale l’autore di “A casa tutti bene” sta lavorando alacremente in Italia.
Sì, in Italia, conferma il grande regista, intervistato a New York dalla direttrice di Ciak (e presidente del Premio David di Donatello) Piera Detassis, per la tappa americana “This is Italy” di Panorama d’Italia. Intervistato nel roof-top dell’Hotel Public, al Village, una terrazza con una vista bellissima sulla Grande Mela, assodato che altre anticipazioni sulla sua prossima “creatura” il regista non le regala, la domanda che s’impone è come mai stia di nuovo lavorando in Italia. Già, perché il “director” preferito da Will Smith in qualche modo oggi è un “cervello di rientro” dopo una lunga e intensa fuga negli Stati Uniti.
E ci resterà almeno per un po', per quanto abbia ormai creato in America un rapporto forte col pubblico che al contrario in Italia è peggiorato, insieme al clima culturale: “Lavorare negli Usa non è facile. In Europa il regista è il capo indiscusso e questo lo carica di enormi responsabilità morali. Negli Stati Uniti al contrario ti fanno sentire un numero e sei comunque considerato in ogni momento sostituibile”.
Per chi come Muccino mantiene la qualità e la sostanza al centro dei suoi valori, anche la vita a Hollywood nel pieno del successo appare in chiaroscuro. “Ho avuto alti e bassi”, spiega in sostanza, e fa capire che la “macchina dei sogni” americana non è sempre come appare e che l’avvento della piena era del web, l’irruzione in campo dei nuovi soggetti forti come Netflix ("nelle serie tv il lavoro del regista è praticamente ridotto ai minimi termini) o Amazon, hanno cambiato le carte in tavola ma nessuno sa ancora in che modo e in che direzione. “Hollywood è molto stressante, flirta sempre con l’ultima novità”, potrebbe essere la sintesi.
L'Italia continua invece a rappresentare per lui la culla della sua professione. "Ho desiderato fare il regista perché mi sono innamorato del cinema italiano dai primi anni Cinquanta fino a tutti gli anni Sessanta, l’età dell’oro. Un modello che è stato essenziale anche per molti filmaker americani". E Muccino cita De Sica, Monicelli, Scola. Sottolinea quanto ad esempio Scorsese si sia nutrito di quell’esempio, col suo linguaggio potentissimo di dolcezza, amarezza, veridicità.
E perché allora il declino del cinema tricolore? “Hanno iniziato a diventare amatoriali”, sintetizza Muccino che aggiunge qualche riferimento non molto lusinghiero alla critica, sempre piuttosto severa nei suoi confronti: “anche se preferisco critica negativa e sala piena!” dice sorridendo.
La cosa peggiore dell’Italia? “Nonostante la brutale crisi finanziaria, gli Stati Uniti sono ripartiti alla grande, il Paese è in impennata, ha saputo reagire di scatto. Gli Usa sono un Paese estremamente individualista ma costruito sulla capacità del singolo individuo di cercare il suo futuro. Quando sono in difficoltà non si aspettano aiuti ma reagiscono e fanno conto su loro stessi. L’Italia invece, è un paese che, forse per la sua lunga storia di dominazioni, pur essendo capace di grandi prestazioni sa reagire meno, non è reattivo”.