George Martin: i 5 segreti che hanno reso immortali i Beatles
Non solo produttore, ma anche arrangiatore, pianista e confidente dei Fab Four. Ha trasformato le loro intuizioni in canzoni leggendarie
Fu lui a chiamare Ringo Starr come batterista
In soli otto anni i Beatles hanno riscritto le coordinate della musica rock, trasformandola da artigianato a vera e propria arte. A partire da Revolver i Fab Four hanno dato vita a una rivoluzione copernicana nel modo di incidere gli album. Prima il disco era una raccolta di singoli, uguali in tutto e per tutto alle canzoni che il gruppo proponeva nei concerti dal vivo. Con Revolver lo studio di registrazione diventa esso stesso uno strumento, grazie a manipolazione di nastri, sovraincisioni e filtri. Le tecnologie non erano neanche lontanamente paragonabili a quelle di oggi, ma la creatività della band sopperiva ampiamente il gap tecnologico, grazie soprattutto al talento di George Martin, morto ieri, encomiabile nella sua capacità di tradurre in musica le geniali intuizioni di John Lennon e di Paul McCartney. George Martin, arrangiatore, pianista e confidente dei Fab Four, ha creato a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta un mondo di suoni che lasciava stupefatti i suoi concorrenti americani, che pure avevano più mezzi tecnologici a disposizione. Le canzoni dei Beatles rappresentavano lo stato dell’arte, con il quale tutti gli artisti, prima o poi, si sono dovuti confrontare.
Vediamo insieme i 5 segreti del successo del Beatles, frutto del lavoro colto, ispirato e brillante di George Martin[Cliccare su Avanti]
1) Il suo ruolo di quinto Beatles
La scintilla artistica che è scattata nel 1962 tra George Martin, allora produttore quarantenne di una grande azienda discografica come la Parlophone, e quattro brillanti ventenni provenienti dalla Liverpool proletaria, i Beatles, è un unicuum nella storia del rock. All’inizio tutto era sotto il controllo di Martin, che coordinava e guidava le scelte artistiche della band, ma presto il produttore intuisce di non poter contenere e piegare alla sua volontà l’estro e il talento dei Fab Four, ritagliandosi il ruolo di quinto Beatles, di realizzatore delle intuizioni artistiche di John e Paul, mettendo a disposizione la sua ampia cultura musicale nei magnifici arrangiamenti delle canzoni, si pensi agli archi di Yesterday.
2) La scelta del batterista
Troppo spesso, nel ricostruire la folgorante epopea dei Beatles, si tende a sottovalutare l’apporto di Ringo Starr all’inconfondibile sound della band. La sostituzione di Pete Best con Ringo è stata la prima decisione presa da George Martin, dopo aver fatto firmare il 4 giugno del 1962 il primo contratto dei Beatles con la Parlophone. Martin voleva un batterista più energico, individuato in Starr, che allora era uno dei drummer più famosi di Liverpool, grazie alla sua militanza negli Hurricanes di Rory Storm. Richard Starkey(questo il suo vero nome)era il tassello che serviva per completare il puzzle dei Beatles, a cui portava il suo drumming più istintivo e autentico, imitato poi da numerosi batteristi, oltra alla sua naturale simpatia e alla sua capacità di fare gruppo, fondamentale per la sopravvivenza dei Fab Four negli ultimi, travagliati anni della band.
3) L’accordo iniziale di "A Hard Day’s Night"
Non si contano i gruppi e i solisti che hanno coverizzato i brani dei Beatles. Tutti i musicisti, però, si sono dovuti scontrare con un’oggettiva difficoltà tecnica: il celebre accordo inziale di A Hard Day’s Night, che apre l’omonimo album e il film. Un accordo inutile nell’economia della canzone, ma rivoluzionario per il pop, che per la prima volta ripensava se stesso come arte e non solo come mero intrattenimento. Una scelta stilistica dettata dall’interesse di George Martin per artisti d'avanguardia come Steve Reich e Aaron Copland,di cui ammirava le scale diatoniche. Quell’accordo fu suonato da tutti i Beatles, come un’orchestra: George Harrison suonava una dodici corde elettrica, John Lennon una sei corde acustica, Paul McCartney il basso elettrico, Ringo Starr lo snare drum e i piatti, mentre George Martin, regista dell’operazione, un accordo di cinque note sul suo grand piano Steinway, suonato col pedale del sustain abbassato per aumentarne la durata.
4) "Tomorrow never knows"
Revolver è il primo album della fase adulta dei Beatles, un disco ambizioso e di grande fascino, chiuso da un brano di pura avanguardia come Tomorrow never knows. Martin fu bravissimo a soddisfare da un punto di vita tecnico la strana richiesta di John Lennon: voleva che la sua voce suonasse come quella di un monaco tibetano su una montagna con un coro di monaci attorno. Lennon pensò anche di farsi appendere a una fune per poter oscillare davanti al microfono ma, per sua fortuna, non se ne fece nulla. Martin lo accontentò con il double tracking, creato ad Abbey Road per raddoppiare la voce in tempo reale, e facendo passare la voce di John attraverso l’amplificatore dell’organo Hammond, il Leslie, un trucco che useranno anche i Pink Floyd nel capolavoro Echoes.
5) "Strawberry Fields Forever"
Forse il più grande rimpianto della carriera di Martin è stato quello di pubblicare Penny Lane come singolo, con Strawberry Fields Forever sul lato B, lasciando fuori da Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club Band due canzoni straordinarie. A Strawberry Fields Forever, brano che non ha una tonalità precisa, è legato uno degli aneddoti più celebri della storia dei Beatles. I Fab Four erano scontenti degli arrangiamenti, così registrarono diverse versioni della canzone. John disse a Martin: “Mi piace la prima parte di quella certa versione e la seconda di un’altra versione”. Martin gli fece notare che erano registrate in tonalità diverse, quindi era quasi impossibile metterle insieme. Lennon rispose con una frase ormai entrata nella leggenda: “I’m sure you’ll fix it”(“Sono sicuro che risolverai il problema”). Martin, dopo due notti insonni, risolse effettivamente il problema, accelerando una versione e rallentando l’altra, fino a coordinarle. Per questo Stawberry Fields Forever ha un sound unico: è a metà tra due valori tonali, quindi non ha una tonalità esatta. Ecco perché il successo dei Beatles è strettamente legato alla genialità di George Martin, l’uomo che traduceva i sogni dei Beatles in canzoni che ancora oggi fanno sognare.