Gianni Morelli, 'Rosso Avana' - La recensione
Un groviglio di storie e un concentrato di umanità nella città che aspetta la Revolución
Un romanzo unputdownable, direbbero gli anglosassoni, difficile posarlo prima di arrivare alla fine. Rosso Avana abbranca con le storie parallele di una muchacha dall'identità sfuggente e di una improbabile truffa orchestrata da un finto principe, ispirata alle cronache del tempo. Usare l'astuzia per rubare ai ricchi e svignarsela in Messico, non proprio Robin Hood ma siamo nell'Avana di fine anni Cinquanta, colonia di Washington, postribolo di Cosa Nostra. Una città sordida e luccicante di cui Gianni Morelli, crooner fuori campo di questo lungometraggio in bianco e nero, intercetta il respiro. La cosa incredibile è che i luoghi del romanzo (vicoli e viali, sottoportici e Grand Hotel, cinema e mercati, i leoni di marmo del Prado e perfino il catalogo di auto importate da Detroit) sono ancora lì, sparsi per la città come in un grande museo interattivo.
L'Avana città-paesaggio
Mentre a Santa Clara si combatte la battaglia decisiva fra i soldati di Batista e i guerriglieri del Che, a L'Avana il sole di dicembre riscalda le piscine dei grandi alberghi e i sedili in pelle delle Cadillac parcheggiate all'uscita, pronte a scarrozzare in giro i faccendieri che si sentono a casa nelle lussuose hall. A Natale del 1958 la capitale vive un'atmosfera sospesa: la Revolución - si mormora sulle frequenze di Radio Bemba, la radio del "si dice" - è appena a un giorno di distanza dal Malecon spazzato dal vento e dai comedores del Mercado Unico, dai vicoli di Habana Vieja e dai grattacieli in costruzione del Vedado, dai santeros di Guanabacoa e dalle suite dell'Habana Hilton, dove il sedicente Principe di Costantinopoli prende alloggio con il suo entourage e la giovane Alicia lavora come cameriera.
Ma tutto va avanti come sempre nell'umidità notturna intorpidita dal rum, le case da gioco funzionano a pieno regime, i magazzini traboccano di addobbi natalizi, la corruzione prospera sulla miseria. Travestita per metà da spy story e per metà da telenovela, Rosso Avana fotografa una città-paesaggio che il "surrealismo dell'impero" riusciva ancora a trasformare in una copia di Filadelfia. L'ultimo dissoluto irripetibile istante di una truffa (quella sì) epocale - il regime di Fulgencio Batista - che stava per essere spazzata via per sempre. Ma intanto al bancone dell'esclusivo Monseigneur "tutti bevevano, quasi tutti fumavano, molti parlavano, pochi ascoltavano", appunta il narratore mentre pare lì seduto a sorseggiare un cocktail. A quei tavoli si pensava che nessuna rivoluzione avrebbe potuto spostare ciò che contava davvero, i dollari e il potere.
Una rumba narrativa dal realismo magico
La storia sarebbe andata diversamente ma il merito di questo romanzo è regalare al momento storico una chiave emozionale, come nessun libro di storia potrebbe fare e senza nulla togliere alla verità della Storia con la maiuscola. Certo, simile ai racconti di una bella donna in fuga, è inutile pretendervi troppa coerenza, tuttavia il mix di poesia, immaginazione e realismo è spolverato dalla giusta dose di ironia. E il ritmo narrativo rimane la rumba, dall'inizio alla fine: travolgente ma mai sopra le righe. E soprattutto negli interstizi del paesaggio urbano pullula una tale densità di comparse, personaggi non per forza dalle sembianze umane che vanno a comporre uno straordinario palcoscenico di esistenze.
Il mio comprimario preferito è un insetto screditato che ha dato il nome - certamente non a caso - alla più celebre folk song dell'America Latina. In Rosso Avana una cucaracha scandisce i tempi dell'azione dal suo osservatorio di latrine, scantinati, intonaci e tubature scrostate. Un set privilegiato, s'intende: è una cucaracha pigra e ben pasciuta, da hotel di lusso... Dunque questo è anche un libro pieno di simboli, di sogni e sognatori. A pensarci bene suggerisce l'idea che la stessa Cuba, con la sua storia ineguagliabile e un presente che ancora resiste al contagio della globalizzazione, non sia altro che un sogno. In quel Capodanno del '59 il più visionario di tutti stava per entrare in scena, lo avrebbe fatto subito dopo i titoli di coda del libro, come si legge nel finale: "Ci vuole un sognatore meticoloso per cominciare la rivoluzione il 2 di gennaio".
Il diario postumo di Francesco Rosi
Una lettura perfetta da abbinare a Rosso Avana è I 199 giorni del Che, diario postumo del regista Francesco Rosi, scomparso nel 2015. Nove anni dopo quel fatidico ultimo scorcio di 1958, Rosi si recò in una Avana sotto choc per la morte del Che, avvenuta appena 22 giorni prima. Era il 31 ottobre 1967. Il grande regista aveva il suo sogno: realizzare un film sull'eroe rivoluzionario. Visitò il paese e poi anche la Bolivia, incontrò Castro, la seconda moglie di Guevara, Aleida, burocrati, ministri e tanta gente. Il film non vide mai la luce ma il soggetto originale si può leggere ora in questo libro che, non diversamente da Rosso Avana pur se in forma diaristica anziché narrativa, usa le parole come una macchina da presa per inquadrare un luogo e un tempo: una storia così incredibile da continuare a raccontare prima che diventi leggenda.
Per approfondire
Juan Martín Guevara, Armelle Vincent, 'Il Che mio fratello'
Gianni Morelli
Rosso Avana
ADV Publishing House
380 pp., 15 euro