Gioco legale, scende in piazza la rabbia dei lavoratori
Con due manifestazioni di protesta organizzate in contemporanea a Milano e a Roma, gli addetti del settore chiedono di poter riaprire in zona gialla. Le chiusure hanno dimezzato le entrate e causato allo Stato danni erariali per quasi 5 miliardi di euro
Alcuni non indossano una maschera soltanto, ma due. Quella sopra la bocca e il naso, per proteggersi dal coronavirus. E un'altra, che copre gli occhi e la fronte. È tutta bianca, ha varie scritte nere in caratteri maiuscoli: «Io esisto»; «Esisto e ho famiglia»; «Non fateci scomparire». O la più ricorrente: «Io non sono un fantasma». La pettorina, invece, è gialla e contrasta con forza con il cielo plumbeo di Milano, sembra quasi fare a schiaffi con una giornata così nebbiosa e dimessa. «Gioco legale = Gioco sicuro»; «Liberate il gioco legale» sono gli slogan stampati più ricorrenti sulla divisa dei manifestanti.
Basterebbe guardare in silenzio la scena, piazza Duomo occupata di questi colori inconsueti, di queste bandiere viventi di malumore, per capire il senso della protesta dei lavoratori del gioco legale. Che questo pomeriggio si sono dati appuntamento nel luogo simbolo di Milano, e in contemporanea in piazza del Popolo a Roma, per urlare la loro preoccupazione. Per mostrare le loro ferite. «Basta tirare la corda», recitava il cartello di un giovane, con accanto il simbolo di un cappio.
Le attività del settore dei giochi pubblici sono state chiuse per oltre 7 mesi complessivi, un totale di 220 giorni, il record in Europa. La volontà condivisa è poter riaprire, quantomeno in zona gialla. I ristoranti hanno avuto il via libera, «eppure per mangiare bisogna togliersi la mascherina» ripetono i presenti; i negozi, pure, «ma un abito chissà quante persone se lo provano, non è proprio il massimo dell'igiene» aggiungono. Loro, invece no: «Eppure abbiamo speso moltissimo per adeguare i nostri locali a quello che ci è stato richiesto dalle norme, sanifichiamo le macchine a ogni uso, gestiamo i flussi con attenzione. Perché non basta?» si domanda Cristiano Martini, uno di loro. Non il rappresentante di questa o quella organizzazione, oggi non conta: «Scriva un lavoratore del gioco legale, va bene così». Lo chiede per sottolineare il senso di unità che accomuna le due piazze nazionali e i suoi bollori di scontento. Se proprio un nome lo si deve fare è quello dei promotori della giornata, l'Ati, l'Associazione temporanea gioco lecito, che la provvisorietà ce l'ha nel nome. Ma la capacità di fare massa non le manca affatto.
Le difficoltà del settore si leggono nei numeri: raccolta quasi dimezzata, un impatto per tutta la collettività, visto che il danno erariale è stimato in circa 4,3 miliardi di euro. Comunque, il colpo immediato è per 150 mila persone impiegate nel settore, che diventano quasi mezzo milione contando le loro famiglie. «Sono di più, in verità» sottolinea uno dei presenti: «Perché tra poco non potremo più pagare i fornitori, qualcuno ha già smesso di farlo. Perché dovremo abbassare la saracinesca per sempre, il che significa un introito che si azzera per chi ha affittato un locale a un gestore».
Un momento della manifestazione a Milano
Accanto alla doppia manifestazione, è in corso davanti a Montecitorio un presidio fisso che va avanti da diverse settimane. La speranza è nell'operato del nuovo governo, la direzione verso la quale si guarda è il Dpcm che dovrà chiarire cosa succede dal 5 marzo in poi. «Rivendichiamo il diritto di riaprire» ripete ancora Martini «siamo perfettamente in grado di gestire la nostra clientela». E per dimostrarlo, è sufficiente soffermarsi a guardare a com'è stata gestita la manifestazione di protesta: pullman arrivati da ogni parte d'Italia (ciascuno ha scelto la sede più vicina alla propria residenza), volontari per gestire il flusso, adesivi messi sulla piazza per garantire il distanziamento dei presenti, per chi non l'aveva con sé una mascherina di cortesia. In tutto la stima è di un paio di migliaia di presenti, ma conta soprattutto il messaggio, che poi è già lì, riassunto dal titolo della manifestazione: «Il lavoro non è un gioco».
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