I guai siriani di Pechino
La caduta di Assad rappresenta un problema rilevante per la Cina, che vede ridotta la propria influenza mediorientale. E che guarda adesso con preoccupazione anche allo Xinjiang
La caduta di Bashar al Assad non è stata una buona notizia per la Cina. Pechino aveva infatti investito molto nei rapporti con il regime baathista di Damasco.
Nel gennaio 2022, la Siria aderì alla Belt and Road Initiative, mentre, nel marzo precedente, il Dragone aveva siglato un patto di cooperazione venticinquennale con l’Iran, che di Damasco era il principale alleato mediorientale. Era inoltre settembre 2023, quando Assad si recò in Cina: nell’occasione, ebbe un incontro con lo stesso Xi Jinping e fu annunciato l’avvio di una partnership strategica tra Pechino e Damasco. “Di fronte all'instabile e incerta situazione internazionale, la Cina è disposta a collaborare con la Siria per sostenersi a vicenda con fermezza e salvaguardare congiuntamente l'equità e la giustizia internazionali”, affermò il presidente cinese. Non solo. Nel 2020, Pechino ebbe modo di spalleggiare Damasco anche in sede Onu.
Da tutto questo, è facile comprendere come la caduta del regime baathista rappresenti un colpo abbastanza significativo all’influenza regionale esercitata dalla Cina. Una battuta d’arresto non indifferente, soprattutto se si pensa al fatto che, nel marzo 2023, la Repubblica popolare era riuscita a mediare un disgelo tra l’Arabia Saudita e l’Iran. Adesso, Pechino vede aumentare l’incertezza per quanto riguarda la sua influenza e i propri interessi economici in Medio Oriente. Non solo. La Cina potrebbe nutrire preoccupazioni anche per l’indiretto indebolimento della Russia, che rappresentava notoriamente uno dei principali alleati internazionali di Assad.
Un ulteriore problema Pechino rischia tuttavia di averlo nello Xinjiang. Secondo Asia Times, tra i combattenti che hanno partecipato all’offensiva guidata da Mohammed al Jolani vi sarebbero infatti esponenti del Partito islamico del Turkestan: si tratta di un gruppo che Pechino ha designato come organizzazione terroristica, mentre gli Stati Uniti non lo considerano più tale dal 2020. La vittoria di Jolani segna quindi evidentemente un rafforzamento del Partito islamico di Turkestan: un fattore, questo, a cui la Cina guarda con preoccupazione. Senza poi trascurare l’incognita geopolitica dei rapporti tra Pechino e Ankara: non dimentichiamo infatti che l’offensiva di Jolani è stata fondamentalmente spalleggiata dalla Turchia. Una Turchia che, assieme al Qatar, è il vero vincitore uscito dalla crisi siriana.
Insomma, per Xi la caduta di Assad rappresenta una grana in più in un momento assai delicato per la Repubblica popolare cinese. Donald Trump sta infatti per tornare alla Casa Bianca ed è pronto a rispolverare la linea dura con Pechino su un elevato numero di dossier. Per il Dragone, questa perdita improvvisa di influenza sul Medio Oriente risulta quindi ancor più problematica.