‘The Squirrel Machine’, intervista a Hans Rickheit
Tra finzione e autobiografia per raccontare vette e abissi di creatività e alienazione
Edmund e William Torpor sono due fratelli geniali ma strani che, in un’anonima città del New England del diciannovesimo secolo, crescono tra esplorazioni e macabri esperimenti di sapore steampunk. Sono i protagonisti di "The Squirrel Machine", realizzato dal fumettista statunitense Hans Rickheit, un’opera fantastica, ipnotica e inquietante pubblicata da poco in Italia da Eris Edizioni.
Rickheit è stato ospite del Napoli Comicon 2017, dove ho potuto fargli qualche domanda sull’opera e sul suo approccio narrativo e artistico.
Di cosa parla il tuo libro a fumetti 'The Squirrel Machine'?
Spero me lo dicano i lettori. [ride]
Non ho una risposta davvero convincente. Direi che è una metafora del crescere nel New England e parla molto della mia vita, delle mie esperienze, del diventare grandi. Molti dei protagonisti del libro sono basati su persone reali, su amici miei, anche se ben nascosti nei personaggi. Eventuali significati più profondi preferisco tenerli per me perché trovo sia molto, molto più interessante quando i lettori mi vengono a raccontare di cosa pensano parli e trovo che la loro visione sia molto più profonda della mia.
L’impressione che ci siamo fatti è che sia un libro che parla del crescere. E del cambiare, anche se non è chiaro se in senso buono o cattivo.
È un tentativo di raccontare la condizione umana dal mio punto di vista. Sono cosciente che probabilmente non sia una visione che la maggior parte delle persone condivida ma penso che sia un libro che parla di empatia verso i tipi strani e disadattati come il sottoscritto, persone che vivono ai margini della società.
Quale dei personaggi ti assomiglia di più?
Mi assomigliano tutti. Tutti. [ride] In realtà il personaggio di Edmond è fortemente ispirato a un mio amico che [come Edmond] costruisce cose usando animali morti.
Il mix di elementi meccanici e biologici è uno dei temi ricorrenti nelle tue opere: come mai?
Ai miei occhi le macchine sono sia estensioni delle persone che replicanti. Per me le persone sono oggetti, oggetti con il dono della consapevolezza. Non so da dove venga la loro scintilla vitale ma sono tutti oggetti preziosi e c’è poca differenza… Il confine tra persone e cose è labile. È probabilmente uno dei concetti presenti nel libro.
Un altro tema ricorrente è che seguire le proprie passioni e i propri impulsi creativi sia un’attività tutt’altro che solare e sia qualcosa da condurre in segreto perché solitamente non è accolta con favore dalla gente.
Penso sia una posizione che mi viene dall’esperienza personale come autore di fumetti. Di sicuro ciò che faccio non ha mai trovato il favore del grande pubblico.
Il pubblico ha una visione negativa dei tuoi fumetti?
Beh, qui in Italia sembra ci sia gente a cui piacciono, il che è molto emozionante. Ma [negli Stati Uniti] sono stato oggetto di reazioni negative. Molte reazioni negative, a dirla tutta, a causa le immagini nei miei fumetti. Non sto dicendo che avessero sempre torto. In alcuni casi ero d’accordo e non avrei dovuto disegnare quelle cose ma l’ho fatto perché lo sentivo necessario.
Ritengo quindi che “The Squirrel Machine” parli un po’ di questo: essere un artista che crea cose e rischia di non venire mai accettato dal grande pubblico. Del resto non mi sembra che il fine dell’arte sia quello di venire accettata. So che può sembrare un’affermazione pretenziosa ma l’arte è qualcosa che trascende le nostre effimere vite.
Io sono semplicemente un tramite [per l’arte]. Non sono io a crearla. Mi limito a fare.
E cosa ci puoi dire del senso di pericolo che aleggia nel tuo libro?
L’arte è pericolosa. O dovrebbe esserlo. Il suo scopo non è quello di tranquillizzare.
Quando ero più giovane con degli amici mi intrufolavo in palazzi abbandonati. Non per rubare ma per dare un’occhiata. In realtà quei palazzi non erano così interessanti e nei miei fumetti metto le cose che mi sarebbe piaciuto trovare all’epoca. C’è sempre del pericolo quando si va in un posto da intrusi.
Quali sono le tue fonti di ispirazione? Puoi fare qualche nome?
Sono sicuramente molto influenzato da Jim Woodring. poi c’è un artista che vive in Canada, Mahendra Singh. E i film dei fratelli Quay.
Su che fumetti ti sei formato? E oggi cosa leggi?
Ultimamente leggo libri di fantascienza e pochi fumetti. Da ragazzino ne leggevo molti.
Mi sono innamorato dell’underground, perlopiù quello statunitense, ma leggevo anche quello di altri paesi. In genere mi piacciono i fumetti di… chiamiamoli artisti ‘naif’. E poi di recente ho riscoperto diverse cose europee, come le opere di Philippe Caza. Mi piacciono le cose degli inizi in cui si ritraeva come protagonista. E poi Francisco Solano Lopez, che disegna donne bellissime. Mi piacerebbe disegnare bene quanto lui.
Negli Stati Uniti ci sono alcuni autori che stanno producendo bei lavori. Tra questi c’è Josh Cotter che fa un interessante fumetto di fantascienza intitolato “Nod Away”.
Come realizzi i disegni?
Non disegno l’intera tavola, come sarebbe ragionevole fare. Faccio una vignetta per volta e anzi, suddivido ulteriormente il lavoro e disegno i personaggi a parte, su un foglio, e poi li trasferisco sulla tavola. È un sistema laborioso.
Faccio fumetti da quando ho undici anni e questo è il metodo con cui ho i migliori risultati. Se ragionassi come un professionista non sarei in grado di disegnare e così vado avanti facendo finta di essere un ragazzino undicenne che sta facendo il suo fumettino.
E le storie?
Ho provato a fare delle sceneggiature ma non mi sono di alcun aiuto. Non appena disegno la prima vignetta la sceneggiatura diventa irrilevante perché ciò che disegno ha modificato direttamente la storia. Di conseguenza molte delle mie trame sono improvvisate e la mia già disordinata stanza è strapiena di appunti con le cose da disegnare. È per questo che i miei fumetti non hanno delle trame degne di questo nome. [risate]
Sei al Napoli Comicon da solo un giorno ma… che accoglienza ha avuto il tuo lavoro?
Beh, sono stupito. C’è un pubblico più eterogeneo qui [a Napoli]. Negli Stati Uniti in genere i miei lettori sono i tipici nerd. [risate] Qui viene gente di ogni tipo. E addirittura comprano il mio libro. È sorprendente! Grazie! [risate]
Comunque ho fatto un giro per gli stand e ho notato disegnatori eccelsi e dei lavori magnifici. Mi sento un po’ surclassato e piccolo piccolo. [risate]
"The Squirrel Machine" di Hans Rickheit è un volume brossurato con alette di 192 pagine in bianco e nero. È pubblicato da Eris Edizioni che lo propone a 16 Euro.
Si ringrazia Serena Di Virgilio per la collaborazione nella realizzazione dell'articolo.