Hollywood? È casa di Pascal
Dove c'è cinema c'è Pascal Vicedomini. Non manca un red carpet, ha creato dal nulla tre festival pieni di star internazionali, conduce programmi tv
Quando aveva solo tre anni, la mamma andava a recuperarlo sotto gli ombrelloni di Vietri sul Mare, intento a chiacchierare con chiunque gli capitasse a tiro. "Con la parlantina che ti ritrovi un giorno magari diventerai ambasciatore", si augurava lei, professoressa di Lettere.
Non smettendo mai di parlare, in italiano e in inglese, Pasquale Vicedomini, 56 anni, in arte Pascal, nato a Nocera Inferiore da mamma siciliana e papà di Angri, cresciuto a Napoli e oggi di stanza a Roma, qualcosa del genere lo è diventato.
Una sorta di ambasciatore del cinema nostrano nel mondo, un anello di congiunzione tra l’Italia e Hollywood che si autopromuove freneticamente sui social, postando raffiche di foto con il suo sorrisone da crooner e lo smoking d’ordinanza, in posa con i divi che affollano i suoi festival.
Per mettersi in proprio smarcandosi dagli alti e bassi della professione, il giornalista-produttore se ne è inventati addirittura tre, Capri-Hollywood nel ‘95, Ischia film & music global fest nel 2003, e nel 2006, per celebrare il cinema nostrano negli Usa, Los Angeles-Italia.
Creando award, un po’ per tutti, premi per le leggende del cinema, della musica, dell’eccellenza italica, e invitando i divi a raggiungerlo sul palco a colpi di Join us!, Vicedomini riesce a calamitare chiunque, da Antonio Banderas a Quincy Jones, da Mariah Carey a Gerard Butler, mixandoli a divi italiani ma pure a rapper come Clementino, con una grande insalatona pop. Di tutto un po’, e tutti amici suoi, qualcuno persino "un fratello, come Michael Fassbender".
Togliergli il microfono di mano è quasi impossibile. Appena terminate su Canale 5 le sette puntate del suo Hit the road man, sulle strade del grande spettacolo ora è ovviamente al festival di Venezia con Live from Venezia, programma di Iris in onda anche da Hollywood, Cannes, Capri e Ischia, dove presidia il red carpet per le sue interviste.
Per capire come l'ex ragazzino di Nocera Inferiore sia diventato il punto di riferimento italico dello star system Panorama l’ha incontrato a Roma, alla vigilia di Venezia. Appuntamento mica in un bar sotto casa ma all’Hilton, dove l’uomo che non si ferma mai si fa trovare a tavola con Tony Renis, presidente onorario di Los Angeles Italia e col tenore Vittorio Grigolo, premiato a Ischia.
Come ha fatto a diventare amico di tutta Hollywood?
Lo devo alla mia forza di volontà. Ma anche a Adriano Panatta.
Che c’entra il tennis?
Da ragazzo giocavo bene, disputavo pure le qualificazioni nei tornei importanti e intanto per tirare su qualche soldi promuovevo le racchette Snauwaert e le scarpe Converse. Panatta, a un certo punto mi disse: "Sei bravo ma non diventerai mai un campione mentre nelle pierre sei un fenomeno".
Così cominciai a organizzare le esibizioni sue e di Paolo Bertolucci, mi divertivo, facevo anche lo sparring partner di Ilie Nastase e Guillermo Vilas. E a Capri giocavo con Dustin Hoffman.
Si è agganciato al mondo dello spettacolo palleggiando con Hoffman?
No, è successo dopo. Nell’83, cercando alternative allo sport, mi reinventai organizzatore di eventi pre e post concerto, dai Simply Red a Sting. La mia carriera giornalistica è cominciata grazie a quegli eventi: Gianni Minà, mio idolo infantile, veniva spesso, mi apprezzava e scommise su di me, affidandomi il Mundialissima show dei mondiali di calcio dell’86 in Messico. Fu il primo a credere in me, seguito poi da Luca di Montezemolo che mi portò al comitato promotore di Italia ‘90, dall’ex direttore di Raiuno Carlo Fuscagni che mi affidò le pierre della rete, e poi da Giovanni Minoli, che mi portò a Mixer.
Montezemolo, Minoli... Scusi, come ha fatto?
Le relazioni contano, e lì sono sempre stato bravo. Luca l’avevo intervistato a Capri per la rivista di tennis Match ball, e poi lo conobbi meglio una sera, con Minà, il mio amico Edoardo Bennato e Gino Paoli.
Mi sono sempre buttato, mi apprezzavano anche per questo. Nel ‘93 riuscii a mettere il Radiocorriere con la copertina sul film JFK con Kevin Costner in mano a Bill Clinton. Ero al Niaf, che promuove l’Italia negli Usa e gli chiesi "Can I take a picture?". In Rai comunque ho avuto solo contratti di consulenza, mai assunto. E nel ‘95 mi inventai Capri-Hollywood, perché mi ero scocciato di essere in balia degli altri.
Perché "in balia degli altri?
L’Informazione, il quotidiano che mi aveva assunto, aveva chiuso. Era arrivato il momento di inventarmi una cosa mia sennò avrei rischiato di essere quello simpatico e brillante, ma sempre in bilico. E feci bene perché pochi anni dopo quando ero al top in Rai, Minoli fu fatto fuori e con lui le mie trasmissioni. Una botta tremenda. Se non fossi stato certo delle mie capacità sarei sprofondato nella depressione. E meno male che nella prima edizione del festival tenni duro, stava per saltare tutto.
Racconti.
Fiona Swarovski si era offerta di sponsorizzarmi. A un certo punto mi telefonò Montezemolo: "Devi cancellare il Festival, Fiona è desolata, ma deve tirarsi indietro". "Luca, io non ci rinuncio, piuttosto mi vendo un rene" replicai. Con l’aiuto di tre albergatori riuscii a farcela, venne pure Matthew Modine, prima star del festival.
Adesso invece l’elenco dei partecipanti sembra quello del telefono, dalla A di Murray Abraham alla Z di Zucchero, passando per Ken Loach. Come ha fatto?
Tessendo relazioni. Ho un’agenda con centinaia di nomi, ogni intervista, ogni incontro mi porta nuovi contatti. Gerard Butler l’ho invitato a Capri quando l’ho conosciuto a Cannes. Quando ho premiato Trudie Styler, lei stessa ha promesso di portare il marito Sting l’anno seguente. E lui ha pure cantato a cappella, improvvisando. Cheryl Boone Isaacs, ex presidente degli Oscar, l’ho conosciuta all’Academy e l’ho portata a presiedere Ischia. Sapendo che era amica di Quincy Jones l’ho pregata di invitarlo. E lui ha accettato. Le catene umane, i rapporti, sono fondamentali. E poi piaccio alle star.
Cosa apprezzano di lei?
La mia cordialità, la mia onestà e la mia semplicità. Li metto a loro agio. Perfino Banderas, invitato attaverso la casa di produzione, all’inizio stava scocciato e sulle sue ma dopo un po’ mi disse: "Ischia is contagious". Malibù scompare di fronte a Ischia e Capri, l’Italia piace e so promuoverla. Quando a Los Angeles proposi al proprietario del Chinese theatre di organizzare lì il mio festival, mi disse: "You are italian? We can do it".
Qualche difetto però se lo riconoscerà... Il suo inglese non è impeccabile, non si intimidice mai?
Mai. Se vocabolario e pronuncia non sono perfetti non lo considero un difetto, l’importante è trasmettere la mia passione a chi intervisto. Piuttosto sono work-aholic, non riesco a staccarmi mai dal lavoro. Quest’anno ho fatto solo otto giorni a Ponza con mia moglie e mio figlio, ma sempre col telefono in mano.
Tutto questo lavoro l’ha arricchita?
Economicamente no di certo. La casa l’ho ereditata dai miei, quello che incasso lo reinvesto nei festival successivi.
Gira voce che l’establishment del cinema italiano non la ami troppo.
Mi hanno sempre mal digerito perché sono trasversale e indipendente. E poi magari a qualcuno dà fastidio che un self made man campano-siculo attragga tanta Hollywood in Italia. Per screditarmi hanno fatto girare anche leggende metropolitane sulla mia moralità. Ma gli amici nel cinema italiano non mi mancano.
Chi sono?
Innanzitutto Marina Cicogna, Franco Nero, Tony Renis, Lina Wertmuller, i miei migliori amici insieme a Alessandro Salem. Miti nel mondo, ma da noi non così celebrati, che ho voluto come presidenti onorari dei miei Festival. Ora sto lavorando per un Oscar alla carriera a Lina.
Ci tengo ai successi del nostro cinema, è stato un onore accompagnare Bernardo Bertolucci all’inaugurazione della sua stella nella Hall of fame. Mario Martone, uno dei registi miei amici insieme a Paolo Genovese, Matteo Garrone, Donato Carrisi e Paolo Virzì, mi ha detto che il suo Capri-Revolution in gara a Venezia è anche figlio mio. E in questo Festival considero un po’ un mio successo anche il remake di Suspiria di Luca Guadagnino. Perché otto anni fa l’ho fatto premiare da Dario Argento a Capri. Io connetto le persone.
Ma il film della sua vita qual è?
Da ragazzino rimasi segnato da Incompreso. Adesso voto per Balla coi lupi del mio amico Kevin Costner.
Attore e attrice preferita?
Costner e Vanessa Redgrave.
Ma quanti smoking ha nell’armadio?
Una ventina, di tutti i colori, gentilmente offerti dallo stilista Gianluca Isaia. Anche lui una certezza del mio network.