Lady Gaga: «Vi racconto come mi sono trasformata in Lady Gucci»
L’attrice e popstar spiega a Panorama i mesi di preparazione per calarsi nel ruolo di Patrizia Reggiani nel film evento dell’anno House of Gucci di Ridley Scott.
Quando ho appreso la vicenda dei Gucci ho pensato immediatamente a quella di altre due famiglie italiane, i Medici e i Borgia, abitate da membri in perenne conflitto gli uni con gli altri. E ho voluto raccontare la loro storia come se fosse una versione moderna, divertente, esagerata, quasi operistica di quelle dinastie». Ridley Scott, 84 anni, regista di capolavori come Alien e Blade Runner, animato in tempi recenti da una foga produttiva che lo ha spinto a realizzare anche due film all’anno (infatti al cinema di recente è uscito pure il suo The Last Duel), spiega così quello che l’ha attirato nell’adattare il romanzo di Sara Gay Forden House of Gucci (edito in Italia da Garzanti) nell’omonimo film in uscita al cinema il 16 dicembre.
Il racconto si apre negli anni Settanta quando Maurizio Gucci (Adam Driver), che frequenta ancora Giurisprudenza, incontra per caso Patrizia Reggiani (Lady Gaga), impiegata nell’azienda di autotrasporti del padre, e rimane conquistato dalla sua simpatia, dal suo calore umano, ma anche da quell’ambizione che probabilmente gli manca nel prendere le redini dell’azienda di famiglia.
Suo padre Rodolfo (Jeremy Irons) si è chiuso in se stesso e vive dei bagliori del passato, incapace di far fronte alla crisi del marchio storico di fronte alle sfide della modernità; suo zio Aldo (Al Pacino) ha scelto la strada dell’internazionalizzazione del business e vuole svecchiare la società e i prodotti, mentre tenta di tenere a bada le velleità da stilista del figlio Paolo (Jared Leto), un tipo che non sa neanche dove l’eleganza stia di casa. In contrasto con il padre, Maurizio decide di sposare quella donna travolgente, annacquando il lignaggio, e Patrizia, da semplice segretaria, inizia a godere del benessere di famiglia e a interessarsi ai relativi affari.
Prima tenta di convincere il marito indifferente a occuparsene, facendosi aiutare da zio Aldo; poi, quando Maurizio prende la guida della società, con un voltafaccia tipico di chi non si fa scrupoli, lo esorta a disfarsi dei parenti. Naturalmente, come la cronaca ci ha ampiamente raccontato, non tutto va secondo i piani di Patrizia: Maurizio, stanco delle sue macchinazioni, dopo aver incontrato la vecchia amica Paola Franchi (Camille Cottin), decide di divorziare e Patrizia, annientata da quello che considera un vero oltraggio ai suoi sentimenti, si rivolge alla sensitiva Pina Auriemma (Salma Hayek) per chiederle di assoldare dei killer e far fuori il marito.
La forza trainante di buona parte del film è Lady Gaga, capace di trasformare la sua Patrizia da giovane innamorata - e forse, almeno secondo la lettura di Scott, anche un po’ arrampicatrice sociale - in vera e propria Lady Macbeth. «La vera sfida per me è stata costruire il personaggio, perché non ci sono molti materiali su di lei precedenti al delitto che l’ha resa famosa in tutto il mondo» racconta a Panorama la cantante e attrice. «Così ho scritto un diario di un’ottantina di pagine pieno di sue riflessioni sul proprio matrimonio e sugli altri membri della famiglia. Oltre a lavorare per sei mesi per trovare il giusto accento, ho condotto un lavoro di ricerca quasi giornalistico, leggendo tutto quanto possibile sul suo conto, e vedendo ogni sua intervista per capirne il modo di comportarsi e di parlare, ma anche la capacità di mentire. Ho letto i tabloid dove Patrizia è stata sempre dipinta come una cercatrice di dote, ma penso che a ferirla di più sia stato il tradimento di un sentimento per Maurizio che per lei era puro. In ogni caso non ho voluto incontrarla quando mi sono resa conto che dopo il delitto si è trasformata in una persona che vuole essere celebrata per il suo gesto criminale».
A fare da contraltare a questo tornado di emozioni incarnato da Lady Gaga, che forte delle proprie origini italoamericane appare anche l’unica tricolore credibile in un film recitato in inglese con qualche parola italiana, c’è la calma serafica espressa dalla recitazione statica di Adam Driver nei panni di Maurizio Gucci, dipinto come un idealista, un ragazzo desideroso di fare l’avvocato e non seguire le orme paterne, convinto proprio dalla moglie a diventare l’esatto contrario di ciò che disprezzava, ovvero un arido uomo d’affari: «La parte più interessante del personaggio» spiega Driver «è la sua trasformazione, dovuta in gran parte alle pressioni della moglie: Maurizio è un uomo disinteressato al potere e alla ricchezza che gradualmente “diventa qualcuno”, non si accontenta di avere solo una fetta della torta, ma la vuole tutta. È anche un uomo che si trova a guidare una multinazionale senza essere mai stato preparato al ruolo dal padre. Alla fine riesce a tornare se stesso, curioso e mentalmente aperto come quando era ragazzo e non aveva responsabilità, solo quando la società gli viene sfilata dai suoi nemici».
Ancor prima di arrivare al cinema, House of Gucci è già stato aspramente contestato dagli eredi della famiglia di Aldo, con una lettera a Ridley Scott in cui si paventano azioni legali per quella che viene considerata «una narrazione tutt’altro che accurata. Offre una visione dei membri della famiglia Gucci come teppisti, ignoranti e insensibili al mondo che li circondava e usa toni indulgenti nei confronti di una donna, condannata per l’omicidio di Maurizio Gucci, dipinta nel film e nelle dichiarazioni del cast come una vittima che cercava di sopravvivere in una cultura aziendale maschile e maschilista».
A rincarare la dose ha pensato anche Tom Ford (interpretato nel film da Reeve Carney), lo stilista che ha rilanciato negli anni Novanta il marchio Gucci sull’orlo della bancarotta: «Sono sopravvissuto alla proiezione di 2 ore e 40 del film che rivaleggia quanto a delicatezza con una puntata di Dinasty» ha scritto su Air Mail. «In particolare quando in scena c’erano Aldo e Paolo Gucci, mi sono chiesto se non stessi guardando una versione della storia raccontata al Saturday Night Live».
Mentre Al Pacino, che interpreta Aldo gigioneggiando oltremisura come in una parodia del Padrino, si è limitato a dire di aver costruito il personaggio «come un businessman vulcanico in opposizione al più tradizionalista fratello Rodolfo», Jared Leto, trasformato dal make-up in Paolo, ha dato una pronuncia delle battute con un inglese italianizzato degno di Super Mario.
Non a caso usa i toni della buffonata a proposito della preparazione per il ruolo: «Dare vita a Paolo è stato come far nascere una palla da bowling dal mio sfintere. Sul set ho sniffato strisce di sugo all’arrabbiata. E questa è la mia lettera d’amore all’Italia!». Nel bene e nel male, con l’impostazione grottesca data da Scott a larghi tratti della rappresentazione, House of Gucci è destinato a dividere il pubblico tra chi detesterà i suoi aspetti farseschi così lontani dalla verità e chi invece li amerà alla follia.
House of Gucci, il baraccone di caricature di Ridley Scott
Lady Gaga in "House of Gucci"
Courtesy of Metro Goldwyn Mayer Pictures Inc.
Lady Gaga, nei panni dell'uxoricida Patrizia Reggiani, attira ogni sguardo. Ma è intrappolata in una regia facilona e in una sceneggiatura modesta che rimpiccioliscono la forza dei loro personaggi straordinari
di Simona Santoni
«Il primo ambasciatore italiano del fashion»: così John Fitzgerald Kennedy definiva Aldo Gucci, uno dei figli di Guccio Gucci, fondatore della Casa di alta moda italiana sinonimo di classicità ed eleganza, punto di riferimento di star raffinate come Grace Kelly, Audrey Hepburn e Jackie Kennedy. Il «Michelangelo del merchandising». E pensare che, a vederlo riprodotto da Al Pacino in House of Gucci (il film con Lady Gaga al cinema dal 16 dicembre), Aldo Gucci sembra un buttero arricchito, caciarone e maneggione. Sua figlia Patricia ha giustamente protestato: «Mio padre, che ha trasformato Gucci da un unico negozio a Firenze a fenomeno globale durante i suoi 30 anni da presidente, è ritratto come un delinquente in sovrappeso, quando in realtà era alto, snello e con gli occhi azzurri. Era la personificazione dell'eleganza».
E l’altro figlio di Aldo, Paolo Gucci, interpretato da un irriconoscibile Jared Leto? Sembra una parodia, quasi un’offesa. L’eclettico Jared ha detto di aver «sniffato sugo all'arrabbiata» per prepararsi alla parte, e che il ruolo è la sua «lettera d'amore all'Italia»: l’amore certamente si manifesta sotto molte forme, e magari a volte somiglia davvero tanto allo scherno.
Tom Ford, stilista che a metà anni Novanta ha rilanciato il marchio Gucci dopo un periodo di serio appannamento, direttore creativo Gucci dal 1994 al 2004, ha commentato tristemente: «Paolo, che ho incontrato in diverse occasioni, era davvero eccentrico e faceva alcune cose stravaganti, ma il suo comportamento generale non era certo come il personaggio pazzo e mentalmente instabile della performance di Leto». E ancora: House of Gucci «rivaleggia con la soap opera Dynasty per sottigliezza, ma lo fa con un budget molto più grande».
Per House of Gucci il maestro Ridley Scott sembra essersi messo addosso occhiali deformanti, filtro caricature cafone, e ha allegramente ricostruito a suon di gioielli, abiti eleganti e modalità becere la famiglia Gucci e, soprattutto, l’omicidio di Maurizio Gucci. Mandante: l'ex moglie Patrizia Reggiani. A interpretarli Adam Driver e sua divinità Lady Gaga.
L’omicidio di Maurizio Gucci
Era la mattina del 27 marzo 1995 quando Maurizio Gucci, all’età di 46 anni, venne raggiunto e ucciso alle spalle da più colpi di pistola, mentre si prestava a entrare in via Palestro 20 a Milano, nella sua nuova azienda di consulenze e investimenti. Dopo esser diventato maggiore azionista dell’azienda di famiglia e aver affondato una guerra giudiziaria contro lo zio Aldo Gucci per il controllo della griffe (con tanto di un annetto di carcere per Aldo per evasione fiscale), Maurizio fu costretto a fare un passo indietro: nel 1993 il fondo d’investimento Investcorp si impossessò del marchio e Gucci rimase senza Gucci.
Le indagini dell’omicidio Gucci prima si concentrarono su intrecci finanziari. Ci vollero quasi due anni perché si arrivasse alla vera colpevole, Patrizia Reggiani. Dopo 12 anni di matrimonio e due figlie insieme, Maurizio e Patrizia erano separati ormai da un decennio, ma a far scattare la brama omicida di Patrizia fu la nuova unione di Maurizio con Paola Franchi (interpretata nel film dall’attrice francese Camille Cottin) e, soprattutto, il loro imminente matrimonio. Patrizia, figlia di una lavapiatti adottata dal facoltoso compagno della madre, l’imprenditore dei trasporti Ferdinando Reggiani, avrebbe perso il «titolo» di lady Gucci, a cui tuttora, dopo 17 anni di prigione, ostinatamente tiene.
«Maurizio aveva quattro case a Sankt Moritz e non ce ne voleva dare neanche una», ha raccontato recentemente nel documentario Lady Gucci di Flavia Triggiani e Marina Loi.
Fu così che tramite l’amica cartomante napoletana Giuseppina Auriemma (interpretata da Salma Hayek) mise in piedi una «squadra Bassotti», come l’ha definita la stessa Reggiani, per freddare Maurizio. «Io ho un difetto, non riesco a mirare giusto, e quindi non me lo potevo fare da sola».Il giorno dopo l'omicidio, Paola Franchi ricevette dalla Reggiani un ordine di sfratto per lasciare il lussuoso appartamento in corso Venezia che condivideva con Gucci. L'ordine era stato scritto meno di tre ore dopo la morte di Maurizio. Lady Gucci ci si trasferì con le sue figlie e lì rimase finché non venne prelevata dalla polizia, la mattina del 31 gennaio 1997.
Lo zoo di macchiette di Ridley Scott
Glamour, avidità, baruffe di famiglia, la misteriosa storia della firma apocrifa sull'atto di eredità di Rodolfo Gucci (Jeremy Irons), scottanti denunce, un conteso impero formato da decine di negozi nelle strade più esclusive del mondo. E poi sangue e rivelazioni sconcertanti. Ridley Scott aveva per le mani un ricchissimo e allettante patrimonio narrativo, pronto a farsi capolavoro nero, da impilare accanto agli altri cult che già ci ha regalato, I duellanti, Alien, Blade Runner, Thelma & Louise, Il gladiatore. E invece Ridley non sceglie la strada del fascino oscuro ma quella del melodramma pop. Sembra trattare i suoi personaggi come animali in uno zoo, ridendo di loro a distanza, ma senza andare mai oltre lo stereotipo.
Perché una storia così straordinaria funzioni sullo schermo, anche i suoi protagonisti devono sembrare straordinari, e non macchiette.
Lady Gaga, che in A star is born ha mostrato forte presenza cinematografica, rimane un magnete di interesse dello spettatore. Ma anche lei è intrappolata in una regia facilona e in una sceneggiatura modesta che rimpiccioliscono tutta la forza dei personaggi, costringendo la sua lady Gucci a un climax banale e senza sfaccettature. Eccola prima come arrampicatrice sociale adescatrice di un delicato ingenuotto, quindi è l’unica orditrice di fili che ha in Maurizio una sorta di marionetta, infine, bruscamente, è la vittima di un uomo tutt’a un tratto gelido e decisionista.
Qui sotto un video con la vera Patrizia Reggiani che racconta l’omicidio dell’ex marito e restituisce la portata dello sconvolgente materiale umano a disposizione di Ridley Scott. 2 minuti e 45 secondi molto più avvincenti delle 2 ore e 45 minuti dell’intero House of Gucci.