Il figlio di Saul, Auschwitz visto da un Sonderkommando: 5 cose da sapere
L'ungherese László Nemes ci mostra l'orrore di sbieco, per brandelli, in spiccioli di inferno. Quasi mai frontalmente. In un film da ricordare
Vincitore dell'Oscar come miglior film in lingua straniera, Il figlio di Saul dell'ungherese trentanovenne László Nemes torna in 140 sale italiane come evento speciale nelle giornate di lunedì 7 e martedì 8 marzo. Per l'occasione ripubblichiamo la recensione al crudo dramma ambientato ad Auschwitz.
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Corpi nudi e senza vita affastellati, oltraggiati, trascinati, ma quasi mai messi a fuoco, a margine di fotogrammi intensi. La fabbrica della morte di Auschwitz rivive in tutta la sua "normale" e abitudinaria brutalità ne Il figlio di Sauldell'ungherese László Nemes, inquadrata però da un punto di vista inusuale ma non meno scioccante, quello dei Sonderkommando (i "portatori di segreti"), gruppi di ebrei costretti dai nazisti ad assisterli nello sterminio degli altri prigionieri.
Film rivelazione di Cannes, dove ha vinto il Gran Premio della Giuria, ha anche meritato il Golden Globe come miglior film in lingua straniera e ora è in corsa per l'Oscar.
Dal 21 gennaio al cinema con Teodora Film, ecco 5 cose da sapere su Il figlio di Saul:
1) Com'è nato Il figlio di Saul
Parte della famiglia del regista László Nemes è stata sterminata a Auschwitz. Mentre stava girando in Corsica come assistente alla regia, in una settimana libera dalle riprese in una libreria ha trovato il volume Des voix sous la cendre (in Italia La voce dei sommersi, edito da Marsilio), che raccoglie gli scritti di alcuni membri dei Sonderkommando di Auschwitz. Prima della loro rivolta del 1944, nascosero queste pagine clandestine sotto terra; furono ritrovate solo molti anni dopo la fine della guerra.
"Si tratta di una testimonianza straordinaria", ha detto Nemes, che del film ha curato la sceneggiatura insieme a Clara Royer, "descrive i compiti quotidiani dei Sonderkommando, l'organizzazione del loro lavoro, le regole con cui veniva gestito il campo e lo sterminio degli ebrei, ma anche come questi uomini riuscirono a creare una certa forma di resistenza". È così che è nata l'idea de Il figlio di Saul.
2) La cruda routine dei Sonderkommando
I membri Sonderkommando erano scelti dalle SS. Ne Il figlio di Saul li vediamo accompagnare i prigionieri ignari alla camere a gas, dopo averli rassicurati e fatti spogliare: "Dopo la doccia avrete il tè". Assistono al rumore assordante delle grida al di là del muro delle docce. Strofinano via il sangue da terra, portano i cadaveri (chiamati i "pezzi") verso i forni crematori: "Quelli grassi per primi, sempre". Svuotano nel fiume palate, palate e palate di cenere.
"Tutto ciò era eseguito a gran velocità, in quanto Auschwitz-Birkenau funzionava come una vera e propria fabbrica di morte a ritmi industriali", racconta László. "Gli storici stimano che nell'estate del 1944 migliaia di ebrei fossero sterminate ogni giorno".
Nemes racconta una sorta di diretta da Auschwitz, guardando alla sua routine aberrante: la pianificazione, le regole, i turni, i rischi, le dinaniche produttive.
I Sonderkommando avevano dei relativi privilegi: potevano tenere il cibo trovato nei treni e avevano una minima libertà di movimento. Ogni tre-quattro mesi venivano comunque uccisi, per evitare che rimanesse in vita qualche testimone.
3) Negli occhi di Saul
Il punto di vista narrativo è lo sguardo di Saul, interpretato da Géza Röhrig, poeta e scrittore ungherese che vive a New York. Il film non si muove come una soggettiva pura, ma segue comunque la sua linea d'azione, mostrando quello che Saul vede.
Saul Ausländer fa parte dei Sonderkommando di Auschwitz da tre-quattro mesi e ormai sembra non far più caso all'abominio in cui è immerso. Mentre lavora in uno dei forni crematori, scopre il cadavere di un ragazzo in cui crede di riconoscere suo figlio. Saul si aggrappa a quel corpo in maniera ossessiva e viscerale. Vuole trovare un rabbino e concedergli una sepoltura; per farlo è disposto anche ad andare contro i progetti di fuga dei compagni.
Non è così cristallino e chiaro se quel fanciullo sia davvero suo figlio e se Saul sia convinto che lo sia: quello che invece pulsante e forte è il soverchiante e disperato tentativo di redenzione, di compiere finalmente un atto umano in un contesto disumano. Saul si appiglia a quel corpo come per trovare una risposta alle sue colpe.
Primo Levi, nel suo saggio del 1986 I sommersi e i salvati, scriveva: "Aver concepito ed organizzato i Sonderkommandos è stato il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo. (...) Attraverso questa istituzione, si tentava di spostare su altri, e precisamente sulle vittime, il peso della colpa, talché, a loro sollievo, non rimanesse neppure la consapevolezza di essere innocenti".
4) L'orrore di traverso e sullo sfondo
Nemes decide di mostrarci l'orrore di traverso, quasi mai frontalmente. Di sbieco, per brandelli, in spiccioli di inferno, sullo sfondo. Ordisce così una regia schietta, cruda, ma - se possibile - delicata.
Per restare al livello visivo di Saul e seguirlo ha fatto ricorso a un unico obiettivo, il 40mm, e a un formato ristretto, il classico 1:1.37, che non allarga il campo visivo.
5) La rivolta di Auschwitz
Il figlio di Saul ricostruisce anche un tentativo di rivolta dei prigionieri attuato nel 1944, l'unica rivolta armata della storia del campo. Con una certa sorpresa, vediamo anche membri dei Sonderkommando scattare foto a testimonianza dello scempio. Il regista spiega: "Anche il tentativo di scattare delle foto è realmente accaduto: grazie a una macchina fotografica fatta arrivare ai Sonderkommando di Birkenau dalla resistenza polacca, quattro foto furono realizzate per testimoniare al mondo esterno quello che succedeva nei campi. Ho potuto vederle alla mostra del 2001 Mémoire des camps e mi hanno colpito profondamente".
(pubblicato il 26 gennaio 2016, aggiornato il 4 marzo 2016)