In viaggio, tra l'ulivo e il melograno
Si va, Agnese, per capire che i viaggi veri sono quelli che cambiano più il tuo modo di guardare che l’orizzonte che ti sta di fronte. E te lo dico io che, dopo due anni, ancora mi sorprendo e mi commuovo della cosa bella che siamo
DIARIO DEI GIORNI DISPARI
23 novembre '16 - E quanto vorrei portarti in giro, Agnese. Sei arrivata tra noi “solo” due anni fa e, sì, vorrei fosse già il momento di portarti fuori, a spasso, a farti vedere un sacco di posti. Come? Mamma dice che sono pigro e non mi piace viaggiare? Esagera. A me non piacciono alcuni mezzi di trasporto, è una cosa diversa. Ascolta me: viaggiare mi piace.
Anzi, la sai una cosa? Se il genio del Lotto mi comparisse in sogno chiedendomi di esprimere un desiderio, gli chiederei un’auto, una lunga strada da fare (tipo quella che porta da una costa all’altra degli Stati Uniti, ma non necessariamente quella), io al volante, la mamma di fianco, i tuoi pochi anni e le battute di tuo fratello dietro e un mese di viaggio davanti. (Che poi negli Stati Uniti io ci debba in qualche modo arrivare; che per far comparire il genio del Lotto io ci debba almeno giocare due euro, beh, sarai d’accordo con me che sono insignificanti e superabili dettagli. No?)
Comunque, angioletto mio biondo, a me viaggiare, soprattutto in macchina, piace.
Da solo, in auto, ho conosciuto la malinconia del Portogallo, quand’ero giovane, bello (?) e spensierato. E ancor prima l’accecante vitalità del sud della Spagna e la libertà dei cavalli della Camargue. Con due amici, ho attraversato la stanchezza del Senegal. Con mamma e tuo fratello – quando il tuo nome era ancora in cerca di lettere, tra un’idea e un desiderio – siamo arrivati fino a Berlino e Praga.
Sì, amo andare a vedere come si vive in posti lontani e diversi dal mio cortile. C’entra forse il fatto che mi piace il mondo a colori. Ma c’entra anche quella cosa di cui ti ho già parlato, Agnese, sulla bellezza di cambiare punto di vista, ogni tanto. Che il viaggio comporta anche la sorpresa di cambiare lingua, cibo, letto e panorama.
Per la verità a me (ma pure a mamma) piace un sacco anche camminare. Per le strade e gli angoli di città mai viste. Perdercisi dentro, girovagare senza meta, lo considero uno dei modi più autentici per toccare l’anima di un posto: respirarne l’atmosfera, ascoltarne le voci e i rumori, odorarne la gente e i profumi. Soprattutto quelli che escono da certi negozietti, che sembra tengano le porte aperte apposta per i curiosi come me.
Ma anche in montagna, mi piace andare mettendo i piedi uno dietro l'altro. Nelle orme di chi ci sta davanti. E di chi, per primo, quella strada l’ha aperta. È un gesto di profonda sensibilità. Si riconosce il percorso tracciato da qualcun altro prima di te e lo si rifà, passo dopo passo. In silenzio: per risparmiare fiato e per rispetto dei luoghi. Si guarda la grandezza d’intorno, si omaggia la generosità della natura e si sale, dentro un ordito di passi lontani, antichi, accettati anche dalla terra. Molliche utili a non perdere la via e sopravvissute alla fame del tempo.
Quindi, pazienta ancora un anno, Agnese, che poi si parte. Con tuo fratello è servito, andare. E credo, per come ho cominciato a conoscerti da due anni in qua, che possano funzionare anche con te, questa voglia di zaino e questa curiosità. Ti sembrerà assurdo, ma per come ci immagino fra una quindicina d’anni, potrebbe succedere che io giosca di più nel vederti acquistare il tuo biglietto Interrail che nel venirti a prendere all’uscita di una discoteca.
Si parte, Agnese. Si va. E potrà capitarci di re-incontrare quel santone tutto rughe che, in una lingua ignota, a pochi metri dal deserto, un giorno mi svelò la differenza inesistente tra me, uomo bianco, e lui, uomo d’ebano, mostrandomi di avere il mio stesso color di sangue. Si va, Agnese, per imparare ad avere i passi leggeri, capaci di non calpestare i sogni di chi un giorno ti inviterà a condividere il suo tratto di strada. Si va, Agnese, per capire che i viaggi veri sono quelli che cambiano più il tuo modo di guardare che l’orizzonte che ti sta di fronte.
Si va, per essere pronti a smarrirsi e ritrovarsi, dentro pezzi di mondo nuovi (non necessariamente lontani). E te lo dico io che, dopo due anni, ancora mi sorprendo e mi commuovo della cosa bella che siamo, mentre mi prendi per mano e mi porti a passeggiare tra l’ulivo e il melograno.