L'insicurezza della Stazione Centrale è il fallimento della finta accoglienza
L'aggressione da parte di un clandestino armato di coltello fuori da una delle porte d'ingresso di Milano non è una novità; soprattutto ci dice che la questione migranti non si risolve al momento dello sbarco
Da giorni si parla dell'accoltellamento di alcune persone da parte di un immigrato clandestino fuori dalla Stazione Centrale di Milano. Un fatto di cronaca finito sulle prima pagine di siti e giornali. Ma che per noi di Panorama è tutto tranne che una notizia. Non prendeteci per matti; il fatto è che la nostra redazione si trova proprio sulla piazza della Stazione e quindi come nessun altro collega vediamo, conosciamo, osserviamo quello che succede, giorno dopo giorno, allo stesso modo. Quindi l'ultima cosa che l'aggressione dell'altra sera possa farci è sorprenderci.
Dovreste vedere cosa capita ogni mattina: verso le 8.30 una decina di mezzi dell'Amsa, la municipalizzata che si occupa di rifiuti e pulizia, si presentano sulla piazza e sotto i portici dei dintorni a pulire, o meglio «sanificare», quello che decine di clandestini senzatetto lasciano per terra: cibo, bevande, bottiglie, siringhe, oltre ad ogni tipo di produzione corporea umana.
Una volta entrati in redazione poi vediamo le normali attività in cui decine e decine di persone sono impegnate dall'alba al tramonto: ci sono gli spacciatori di cocaina e hascisc, che nascondono le dosi nelle aiuole o addirittura in bocca durante i controlli; ci sono le borseggiatrici, giovani zingare con una lista di denunce e controlli lunga una settimana; ci sono quelli che vendono oggetti rubati (soprattutto cellulari), il tutto in un clima di perenne allegria, agevolata dal vino, tra bonghi e risate che davvero fa invidia.
Inutile dire che dalle finestre assistiamo alle abituali retate, le sirene, il fuggi-fuggi, i fermati. L'ordine e la calma durano poche ore; l'alba ripropone il medesimo spettacolo di sempre.
Sia chiaro: le forze dell'ordine ci sono. Vediamo militari, poliziotti, carabinieri ma il delinquente di turno ormai ci convive e, serenamente, si sposta in un luogo lontano poche decine di metri in modo da avere quei dieci di secondi di margine per colpire.
La parola «sicurezza» è inesistente; dovreste vedere come soprattutto ragazze e donne attraversano il piazzale, guardinghe e cercando di non muoversi da sole. Ci si avvicina così ad un'altra donna o a chi sembra una persona sicura e si trattiene il fiato fino al treno. Vi sembra normale? È accettabile tutto questo? No; il problema è che la soluzione è complessa e si lega ad un'altra tematica che da giorni va per la maggiore: la questione migranti.
Il 90% di chi vive e crea illegalità alla Stazione Centrale di Milano sono migranti clandestini e tutti lo sanno. Dal giorno della strage di Cutro è un proliferare senza sosta di ipocrisie e buoni propositi al grido di «accoglienza per tutti». A parte che un conto è il soccorso (sacrosanto) per chi rischia la vita in mare e un'altro è l'ingresso libero in Italia... ma resta una cosa strana. In tutti questi giorni la parola accoglienza è stata usata ed abusata; soprattutto è stata limitata al momento dello sbarco. Quello di cui nessuno, nemmeno in questi giorni, ha avuto la forza ed il coraggio di parlare è del «dopo»: una volta arrivati in Italia cosa gli offriamo? Che opportunità di vita? Senza documenti, clandestini, senza conoscenza della lingua e della nostre regole che vita possono costruirsi?L'accoglienza che si ferma al porto, tra gli applausi dei #Restiamoumani in realtà è per moltissimi solo il transito prima del viaggio finale in direzione della Stazione Centrale di Milano.
Li salviamo dagli scafisti per darli in pasto ad altri criminali. E fingiamo di avere la coscienza pulita.
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