Internet of things: le opportunità (e i rischi)
Cambierà i processi, migliorerà la qualità di vita e genererà migliaia di posti di lavoro. Ma senza sicurezza e competenze rischia di implodere
In principio fu il PC. Poi arrivarono gli smartphone, i tablet, i televisori, gli orologi. In futuro, così si dice, Internet sarà in ogni cosa, in ogni processo, in ogni attività dello scibile umano. Un magma inarrestabile, capace di modificare le nostre abitudini, i nostri spostamenti, il nostro modo di lavorare.
Gli analisti hanno già fatto le loro previsioni: il 75% del business globale diventerà digitale entro il 2020. E Internet diventerà il fattore abilitante di ogni impresa, non solo delle grandi Web company come Google e Facebook. Tutti i settori verranno toccati: amministrazioni pubbliche, energia, gas & oil, farmaceutico, sanità, servizi professionali, retail, scuola e molto altro ancora. Del resto i germogli di questa rivoluzione sono già visibili: Amazon, Uber, Spotify, Airbnb Tesla e Square sono la dimostrazione che tutti i business - dai libri ai taxi, dalla musica agli hotel, dall’automobile ai pagamenti - sono destinati a diventare Internet-centrici.
Eppure mai come oggi è necessario considerare anche i rischi di questa evoluzione. Perché è proprio nei momenti di transizione che si decidono le sorti dell’innovazione, in un senso o nell’altro. E la velocità con cui il magma internettiano sta avanzando rischia di non lasciare il tempo a soggetti ed imprese di adattarsi al cambiamento. Se la telefonia mobile ha impiegato 30 anni per diventare un fenomeno di massa, l'Internet delle cose potrebbe metterci molto meno, si parla di soli 10 anni.
Necessario, arrivati a questo punto, ragionare sui pro e i contro di un mondo sempre connesso, sottolineando le opportunità e i rischi legati al cosiddetto Internet of Things (IoT) [Scorri Avanti per continuare].
Prodotti connessi, processi più efficienti, città smart
Secondo le stime di Cisco, meno dell'1% di tutti gli oggetti è attualmente connesso a Internet, ma il numero è destinato ad aumentare in modo vertiginoso nei prossimi anni. Semafori, lampade, caldaie, forni, macchine utensili, automobili, parcheggi: si parla di 10 miliardi di oggetti connessi entro il 2018, 50 miliardi nel 2020. Il valore potenziale dell’Internet of Things è di circa 19.000 miliardi di dollari, sommando l'aumento dei ricavi e la diminuzione dei costi generati o trasferiti tra aziende e settori. Le indicazioni che provengono dalle prime realtà che stanno investendo nel cambiamento sono a dir poco incoraggianti. Il caso di Barcellona, uno dei primi comuni europei ad abbracciare la filosofia delle smart cities ha già oggi molto da insegnare: 58 milioni di dollari risparmiati nella gestione della distribuzione idrica, 37 milioni da quella della luce pubblica, 50 milioni di introiti generati dai nuovi parcheggi intelligenti.
Una rivoluzione che creerà occupazione
Dall’Internet of everything a Internet of employement il passo è breve. Il fatturato dell’IoT cresce 4 volte più rapidamente rispetto all’IT e le opportunità a livello occupazionale cresceranno con lo stesso passo. Solo nel 2014 il numero di sviluppatori richiesti dal mercato per la realizzazione di progetti legati al mondo IoT è cresciuto del 50%. “L’idea che la tecnologia toglierà posti di lavoro è un’ossessione generata da chi ha paura dell’innovazione”, sottolinea David Bevilacqua, Vice President South Europe di Cisco, citando i dati di McKinsey secondo cui Internet genera 2,6 posti di lavoro per ogni posto di lavoro “rubato”.
Ma attenzione alla sicurezza
Internet rappresenta una porta aperta al mondo con tutto ciò che ne deriva sul fronte della sicurezza. Non è un caso che il 42% dei responsabili aziendali a tutti i livelli veda negli attacchi informatici la prima fonte di preoccupazione in relazione all’IoT. Di certo, la proliferazione di dispositivi sempre connessi genererà una nuova categoria di dati nettamente più preziosi di quelli attuali. Secondo McAfee Labs, le credenziali sanitarie rubate si vendono già a 10 dollari l'una, ovvero circa 10-20 volte il valore del numero di una carta di credito rubata. John Chambers, presidente di Cisco e CEO Davos non usa mezzi termini: “Ci sono due tipi di aziende: quelle che hanno subito un attacco, e quelle che lo hanno subito ma non se ne sono ancora accorte". Da qui la necessità delle aziende di rivedere quanto prima i modelli di business, mettendo la sicurezza al centro dei propri processi.
Quelle competenze che ancora mancano
Una delle preoccupazioni maggiori rispetto all’Internet delle cose riguarda gli aspetti gestionali, la capacità di guidarne lo sviluppo, sia in termini di infrastrutture che di competenze. Nei prossimi 5-10 anni, fa notare Cisco, mancheranno le figure specializzate, circa 1 milione in ambito sicurezza e 2 milioni nell’IT. Un altro fronte scoperto sarà presumibilmente quello dei data scientist, gli esperti della gestione dei cosiddetti big data, un settore che solo nell’ultimo biennio ha avuto un’impennata di richieste pari al 40%.
Ci semplificherà davvero la vita?
L'attenzione sugli oggetti potenzialmente connettibili sta mettendo un po' in ombra le ricadute reali del cambiamento sulla qualità di vita delle persone. "Più che pensare a ciò che potremmo connettere a Internet, dovremmo chiederci perché dovremmo farlo”, sottolinea Massimo Banzi, Co-fondatore del progetto Arduino, una scheda elettronica di piccole dimensioni che consente fra le altre cose di creare oggetti gestibili da remoto. "Dobbiamo cambiare la vita delle persone non solo mettere il cavo di rete al frigorifero, o a un qualisasi altro oggetto dlla nostra vita". Il rischio, altrimenti, sarà quello di trovarci a raccontare un filone parallelo: quello dell’Internet delle cose morte.