Io sono Tempesta, Marco Giallini ai confini dell'onestà - Recensione
L’attore è protagonista con Elio Germano del nuovo film di Daniele Luchetti, commedia sociale su un imprenditore sospeso tra scaltrezza e beneficenza
Possono venirne in mente tanti, di nomi. Specialmente uno. Ma Daniele Luchetti, escogitandoIo Sono Tempesta (in sala dal 12 aprile, durata 97’) non è così banale; e puntando su un personaggio centrale, il Numa Tempesta recitato in maniera calda e voluminosa da Marco Giallini che ne mastica sfumature e caratteri, allarga lo spettro all’assortita umanità della vita italiana.
Ricchi e poveri, tutti furbi all’occorrenza (cioè quando se ne presenti l’occasione), in una commedia sociale disciplinata, mobile e ricreativa, agìta con le cadenze giuste, dove anche gli attori, evidentemente ben diretti, riescono a trovare le giuste misure di espressività.
Una naturale propensione per l’esorbitanza
Chi è Numa Tempesta? Il film lo inquadra subito. Un imprenditore di disponibilità finanziaria apparentemente inesauribile, votato alla mega-edilizia, sguazzante com’è ovvio negli agi, amico di politici e potenti. Nel mirino, sempre, il profitto cospicuo, non importa se ottenuto con qualche “accorgimento” peraltro consumato in una naturale propensione all’esorbitanza, dunque senza la piena consapevolezza del dolo.
Dall’espiazione al più munifico protagonismo
Si fatica a inquadrarlo come un disonesto. Perché non ne ha i modi sbrigativi, sgraziati e prepotenti, tutt’altro; anzi è pure amabile e divertente nel suo farsi largo ovunque e generosamente a colpi di denaro. Proprio come gli succede quando, per via d’un guaio fiscale, viene condannato e assegnato ai servizi sociali: dove interpreta a modo suo un ruolo che dovrebbe essere di umile espiazione e invece diventa, tra homeless e disperati d’ogni risma, veicolo di brillante e sempre munifico protagonismo. Facendo presa su quei desperados che, dopo una preliminare comprensibile diffidenza, trovano in lui il mezzo per riscattarsi. In un modo o nell’altro.
Gli equilibri narrativi e comici della sceneggiatura
Il finale, che non va naturalmente svelato, sospende, per così dire, il giudizio sui comportamenti di ciascuno. Al proposito verrebbe voglia di riassumere tutta la faccenda evocando il Vangelo (“chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra”); o Gioachino Rossini (L’occasione fa il ladro). Poi magari funziona meglio, in termini di congruità, il motto di Tempesta “tutto è legale finché non ti beccano”. Sta di fatto che il film, operando su una sceneggiatura attenta agli equilibri narrativi e comici (la firmano, con Luchetti, Giulia Calenda e Sandro Petraglia), riesce a stabilire una sua morale senza abbandonarsi ad un segaligno moralismo giustizialista, divertendo e ovviamente orientando le simpatie dello spettatore verso il protagonista.
A Tempesta si affiancano, in una coralità molto presente, diverse sàpide caratterizzazioni: Il Greco (Marcello Fonte), Boccuccia (Franco Boccuccia), Paola (Paola Da Grava), Domitilla (Federica Santoro), Ballerina (Pamela Brown) Ingegnere (Luciano Curreli), Blake (Jean Paul Buana), Slavo (Stayko Yonkinsky), Mimmo (Mimmo Epifani). E le tre “Radiose”, inappuntabili studentesse di giorno, accompagnatrici di notte: Radiosa (Simonetta Columbu) Klea (Klea Marku), Mimosa (Sara Deghdak).