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L’Italia viola i diritti umani, lo dice la Corte Europea dei diritti dell'uomo

Soprattutto le condizioni di vita e di salute nelle carceri è a dir poco lacunosa

L’Italia è uno Stato che viola i diritti umani

Come l’Arabia Saudita, come la Cina, come l’Afganistan. Ma quando succede da noi non ce ne accorgiamo, perché siamo occupati negli intrighi di palazzo per eleggere il Capo dello Stato, o in qualche altra elezione, o a rincorrere i no vax che attentano la nostra salute.

Mentre qui è lo Stato stesso a farlo, a violare salute, equo processo, libertà e diritti umani. E lo fa proprio a danno delle persone che sono in totale custodia nelle mani dello Stato. I detenuti. E’ non è un’ipotesi, o un’accusa. E’ una condanna. Scritta nero su bianco dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Che il 24 gennaio ha condannato, ancora una volta, lo Stato italiano, per violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E così lo Stato che condanna i cittadini che commettono reato, viene a sua volta condannato contro di loro. E cosi la vittima da risarcire diventa il condannato, e a pagare per conto del condannato è la società.

La Cedu ha condannato l`Italia per aver trattenuto illecitamente in carcere per più di due anni un cittadino italiano con problemi psichici che non trovava posto nelle Residenze per l`esecuzione delle misure di sicurezza. Il ragazzo è Giacomo Seydou Sy, figlio della sorella dell’attore Kim Rossi Stuart, la quale da anni si batte per vedere riconosciuti i diritti umani del figlio che soffre di turbe della personalità e bipolarismo. Secondo la Cedu era dovere del «governo italiano» trovare un posto nelle Rems o «un`altra soluzione adeguata per la gestione della sua patologia come peraltro la Corte aveva espressamente indicato nel provvedimento provvisorio» emesso da Strasburgo il 7 aprile 2020. Allora, il governo italiano (Conte II) rispose che non era in suo potere decidere alcun altra collocazione per l`uomo, considerato socialmente pericoloso se non le Rems, come disposto dal Gip, dove però «nonostante le ripetute richieste, nessun posto si è liberato».

il Gip di Roma infatti aveva disposto già nel gennaio 2019 il suo «immediato collocamento» per un anno in una Residenza per l`esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), le strutture che hanno sostituito gli Ospedali psichiatrici giudiziari. Il Dipartimento dell`amministrazione penitenziaria non aveva però trovato posto nelle Rems (di competenza del ministero della Salute) per il giovane malato.

Insomma il giudice aveva stabilito che doveva essere curato, e invece lo stato italiano lo ha incarcerato in galera perché non aveva posto per curarlo.

Secondo l`organismo del Consiglio d`Europa l`Italia ha violato gli articoli 3 (trattamenti inumani e degradanti), 5 (comma 1, detenzione illegittima; comma 5, mancato riconoscimento del diritto al risarcimento), 6 (comma 1, diritto a un processo equo) e l`articolo 34 (diritto di ricorso individuale). Nella sentenza la Cedu ha stabilito che l’Italia dovrà versargli 36.400 euro per danni morali.

Non è la prima volta che succede, tra tutte ricordiamo la sentenza pilota del 2013 con cui la Cedu stabilì che il nostro Paese mettesse in atto, con urgenza ed in tempi brevi, un sistema di interventi riparativi e compensativi.

Si susseguirono allora diverse misure deflattive, che però dopo pochi anni già vedono affievolire la loro portata con molti istituti che hanno nuovamente superato il limite dei 3 metri quadri minimi per detenuto. Ma nella stessa sentenza pilota la Cedu affermò, altresì, che si verterebbe nella lamentata situazione anche nel caso in cui il detenuto, pur disponendo di uno spazio superiore ai 3 metri quadri, viva in condizioni particolarmente afflittive. E in questa fattispecie rientrano le condizioni ambientali, trattamentali, o come già ci eravamo occupate quelle sulle cure e la salute.

A tale riguardo ad esempio, appare fondamentale rappresentare che il decreto legge n.123 del 2 ottobre 2018 ha eliminato la figura dello psichiatra in ogni Istituto penitenziario come precedentemente prevista dall’Ordinamento penitenziario.

A fronte di un crescente numero di soggetti ristretti che presentano patologie psichiatriche e che necessitano pertanto di supporto sul piano terapeutico-riabilitativo, si evidenzia, più in generale, la difficile situazione in cui versano gli istituti penitenziari per la scarsa presenza di psichiatri ovvero per l’insufficiente numero di ore assegnate relative all’assistenza specialistica in psichiatria, ove il professionista sia presente.

di conseguenza la carenza di adeguato trattamento nei confronti dei soggetti affetti da patologie psichiatriche abbia ricadute sul piano dell’ordine e della sicurezza all’interno degli Istituti, ove si registrano numerosi eventi critici legati ad aggressioni ai danni del personale o di altri detenuti. Ancora più controproducente risulta la soluzione adottata dei cosiddetti “repartini”. Articolazioni per la Tutela della Salute Mentale”, la cui individuazione avviene in collaborazione con le Regioni e le Aziende Sanitarie Locali, che procedono alla definizione del relativo presidio sanitario e alla dotazione di personale medico e sanitario.

Le predette A.T.S.M. sono sezioni dedicate alla tutela della salute mentale, che dovrebbero essere istituite all’interno di uno o più istituti penitenziari ordinari per ciascuna Regione. Tali sezioni sono destinate all’accoglienza dei detenuti sottoposti ai provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria, che in passato trovavano esecuzione negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, oppure di quei ristretti per i quali l’allocazione ordinaria in istituto sia considerata dai sanitari non opportuna. La conoscenza delle patologie dei detenuti presenti nelle A.T.S.M. è di esclusiva competenza del personale del Dipartimento di Salute Mentale competente, trattandosi di dati nelle disponibilità del Servizio Sanitario Nazionale.

Allo stato, le Articolazioni per la Tutela della Salute Mentale sono previste in 33 istituti penitenziari del territorio nazionale, comprendendo un totale di n. 326 camere detentive, di cui ne sono disponibili solo 291 in quanto le restanti non sono fruibili a causa di ristrutturazioni o perché non ancora attivate le relative attività per carenza di personale sanitario, comportando notevoli difficoltà per la Direzione Generale all’atto dell’assegnazione del soggetto recluso che necessita di tali presidi.

Mentre le Rems sono comunità totalmente sanitarie di competenza delle Regioni. Però su questo punto il Garante nazionale è stato chiaro. Durante la sua presentazione della relazione annuale, ha osservato che non si risolve la questione con un discorso “edilizio”, ma di ridare vigore alla condivisione di riflessioni, che coinvolgano la Magistratura di cognizione, sulla necessità, la fisionomia e la finalità di tale misura.

Le Rems, infatti, sono nate proprio per essere l’estrema ratio. Ma il ricorso a tale misura è in aumento, oltre al fatto che – rivela il Garante – c’è un progetto terapeutico riabilitativo individuale soltanto per il 43 percento delle persone internate con misura definitiva in queste strutture.

Il fatto di ricorrere alle Rems non come estrema ratio, ma anche per tutte le persone detenute che hanno maturato disagi comportamentali, psicologici o cognitivi, fa si che non ci siano posti per chi invece ne ha necessario bisogno come Giacomo Seydou.

Da sottolineare come nel suo caso si è riusciti ad avere giustizia dalla Cedu anche grazie al sostegno ricevuto dal Garante dei detenuti del Lazio che ha sottoscritto il ricorso insieme alla mamma di Giacomo.

Purtroppo questo accade di rado, poiché i garanti sono nominati dalla politica (il consiglio regionale) e come in questo caso devono contrastare scelte dello stesso organo che li ha nominati (la scarsità di Rems è responsabilità del consiglio regionale).

La vicenda è nota anche agli uffici italiani. Lo scorso luglio la Corte Costituzionale per analoga vicenda ha disposto un’istruttoria sulle difficoltà di applicazione delle misure di sicurezza ordinando ai ministeri della Giustizia e della Salute, Conferenza delle Regioni e Ufficio parlamentare di bilancio, di fornire una serie di informazioni sulle REMS in relazione alle difficoltà registrate nell’applicazione concreta delle misure di sicurezza nei confronti degli autori di reato infermi di mente. A giorni si attende la sentenza. La stessa Corte, con lo stesso redattore Francesco Viganò, proprio ieri ha stabilito l’illegittimità della norma contenuta nell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario che impone la censura sulla corrispondenza tra i detenuti e i propri avvocati difensori, giudicandola incostituzionale perché viola il diritto alla difesa. Mentre si attende che il Parlamento entro maggio legiferi per l’abolizione dell’ergastolo ostativo che la Corte ha già dichiarato incostituzionale ordinando al legislatore di mettersi in paro con la Carta. Anche in questo caso la Cedu aveva condannato l’Italia che con l’ergastolo ostativo viola i diritti umani.

Nella relazione al Parlamento il Ministro Cartabia ha detto “mi fa piacere segnalare che è in costante calo il numero dei detenuti in attesa di entrare nelle REMS: erano 98 nell’ottobre 2020, divenuti 35 nella stessa data del 2021”. Tra loro anche Giacomo, che ha trovato giustizia alla Cedu facendo condannare l’Italia. Restano ingiustamente in carcere gli altri. Condannato è lo Stato.

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Annarita Digiorgio