Julieta di Pedro Almodóvar, l'assenza che riempie e distrugge
Il regista spagnolo non tocca la gloriosa compiutezza del passato, ma intesse un racconto intimo e profondo, pervaso di struggente e poetica malinconia
Al Festival di Cannes Pedro Almodóvar ha diviso la critica, tra chi ha inneggiato il suo ritorno e chi non ha ritrovato nel suo nuovo film la tempra degli anni migliori. Julieta in effetti non tocca i picchi più celebrati del maestro spagnolo, ma torna a far vibrare corde intime e profonde, impregnate di una malinconia che sa di struggimento, di sorpresa e di poesia.
Dal 26 maggio al cinema, Julieta manca della gloriosa compiutezza che fa quadrare tutto, ma ha il tepore buono di un racconto sincero e confidenziale.
Rosso Almodóvar
Tutto inizia con un primo piano sulle pieghe di un tessuto rosso mentre la musica inietta attesa e inquietudine quasi da thriller sulle prime inquadrature. Gli amati rossi almodóvariani accompagnano di significati e nessi la narrazione: rossi i sedili del pendolino che ci fa scoprire una giovane e solare Julieta, rossi i suoi orecchini e le labbra fulgide, rossa la chioma dell'albero di carta che racchiude segreti inconfessati e un doloroso strappo.
Solo il caso è più forte delle donne
Basandosi sui racconti In fuga di Alice Munro, Almodóvar torna a esplorare l'universo femminile, cosmo variegato che più volte l'ha ispirato tirando fuori le sue note più splendenti (Tutto su mia madre, Donne sull'orlo di una crisi di nervi, Volver). Protagonista è Julieta. La conosciamo come donna matura, madre segnata dalla vita. Poi andiamo ad indagare nella sua gioventù tenace. Per tornare all'oggi e a una storia di assenza ancora da riaprire. La interpretano nelle due diverse età la cinquantunenne Emma Suárez e la trentunenne Adriana Ugarte, entrambe intense e perfette, la prima a far gravare sul suo viso una sofferenza che impiastra ogni gesto, l'altra ad irradiare vitalità pensosa.
"La donna non solo dà la vita, ma è più forte nel combattere, gestire, soffrire e godere di tutto ciò che offre la vita", dice Almodóvar nelle note stampa. "Solo il caso è più forte di lei". Ed è infatti il caso a dividere in due - il prima e il dopo - la vita di Julieta.
Il dolore di una madre
Il dramma lacera la vita di Julieta e la trasfigura. La sua trasformazione è repentina, forse troppo assoluta. Spesso le donne trovano nel loro ruolo di madre la forza per non lasciarsi avvincere dal dolore. La Julieta di Almodóvar invece naufraga e diventa figlia di sua figlia: una scelta narrativa plausibile ma di certo spiazzante. Estrema. Il prima e il dopo la tragedia ci consegnano due donne molto diverse.
Si perdono nei buchi neri della sceneggiatura anche le motivazioni che hanno portato Antía, la figlia di Julieta, a fuggire. Ed è questa croce e delizia del film: alcune scelte umane, discutibili ed eversive, si spiegano a fatica. Ma a volte è forse impossibile spiegare con parole e ragione.
Cristallino, autentico e inattaccabile, è invece il vuoto immenso che vive Julieta, nell'attesa della figlia scomparsa, piena soltanto di un silenzio assordante. La sua pena è emozionante. "La tua assenza riempie totalmente la mia vita e la distrugge", scrive Julieta nella lettera mai consegnata a sua figlia.
Il senso di colpa che lega e distrugge
Sul treno, la giovane Julieta entra in contatto con i due poli dell'esistenza umana: la morte e la vita. L'amore fisico è la risposta alla morte. Per Almodóvar il treno è un luogo "significativo e metaforico". "Mi affascinano i treni, anche giocattoli, che appaiono nelle pellicole", afferma. "Le scene che più mi sono rimaste impresse per la maggior parte appartengono a Hitchcock (La signora scompare, L’altro uomo, Intrigo internazionale) e a Fritz Lang (La bestia umana).
Sulla coscienza di Julieta sono rimasti due tragici addii, prodotti dal caso e dalla sfortuna, quello del signore del treno e quello di Xoan (Daniel Grao). Il senso di colpa è bastardo, si infila anche laddove la razionalità potrebbe scacciarlo facilmente. Ed è un legame latente che unisce e separa Julieta e Antía.
"Il senso di colpa, che lei trasmette anche alla figlia, si è insinuato nella sceneggiatura senza che me ne accorgessi", ha rivelato il regista.
La canzone finale di Chavela Vargas
La colonna sonora, giocata sul contenimento e sincronizzata alle voci e agli sguardi dei personaggi, è stata realizzata da Alberto Iglesias, che si è lasciato ispirare dal lavoro di Toru Takemitsu per La donna di sabbia di Hiroshi Teshigahara.
C’è solo una canzone, nei titoli di coda, ed è una grande canzone: "Le parole che canta Chavela Vargas in Si no te vas sono la continuazione delle ultime parole di Julieta", ha detto Almodóvar. E sono: "Se te ne vai finirà il mio mondo, un mondo in cui esisti solo tu. Non andartene, non voglio che tu vada, perché se te ne vai in quello stesso momento muoio io".