La guerra ci ha liberato dai virologi
Il rischio però è di passare dalla padella alla brace, dai virologi agli esperti di politica internazionale
Nell’orrore della guerra, esiste un unico, minuscolo, risvolto positivo: sono spariti dalla circolazione i virologi. Magra consolazione, ma di questi tempi ci si accontenta. Proprio loro, i vescovi del verbo sanitario, le rockstar del mainstream mediatico, hanno per forza di cose abbandonato il proscenio. Sono tornati ai loro polverosi tomi accademici, ai barbosi convegni senza interviste, agli esami universitari senza talk show. Per alcuni di loro, dev’essere stato un trauma non da poco. Del resto il dibattito pubblico, che ormai è congegnato per saltare semplicemente da un’emergenza all’altra, si è necessariamente liberato dei guru del virus per occuparsi di più gravi urgenze. E alle polemiche sulla dose booster abbiamo – giustamente – sostituito gli aggiornamenti a rullo sull’invasione russa.
E’ ovvio che qualche virostar ha cercato di ribellarsi, tentando di riciclarsi esperta di cose militari. Abbiamo visto anche questo: epidemiologi che smettono in fretta e furia il camice per indossare l’elmetto e la divisa da generale. Così abbiamo dovuto assistere allo spettacolo d’un Massimo Galli che discetta di “disgregazione dell’impero russo”, ad Antonella Viola che condanna le guerre quali “amplificatori di contagio”. Fino all’immancabile Roberto Burioni, che su twitter equipara i pacifisti ai novax. Con buona pace della competenza settoriale e dei filosofi alla Cacciari, che venne zittito al grido di “occupati del tuo lavoro e non ti impicciare di salute”.
Eppure, dal momento che la ribalta mediatica si nutre di personaggi anziché di idee, di maschere in commedia anziché di contenuti, la brigata virologica è stata prontamente sostituita da un'altra falange di esperti, stavolta geopolitici: un battaglione variegato di storici, ex diplomatici, filosofi, studiosi, militari, interpellati a ogni ora del giorno e della notte, intenti a tracciare bandierine e confini sulle mappe. E ad interpretare ogni colpo di mortaio, ogni smorfia dello Zar Vlad, ogni dispaccio dell’ufficio stampa del Pentagono.
A differenza dei paramilitari alla Pregliasco, c’è di buono che questa batteria di esperti non pretende di governare al posto dei governanti, né di imporci stili di vita o orari di coprifuoco: ma puntano soltanto a fornire un servizio, un’opera di assistenza tecnica in un conflitto di difficile comprensione al grande pubblico. Anche se poi, fatalmente, qualcuno finisce nella bufera, come Orsini o Di Cesare. Come accade a chi viene mediaticamente sovraesposto, anche il geoluminare, dopo qualche settimana, diventa una presenza quasi ingombrante. Occupando senza limiti le pagine dei giornali e i palinsesti, per alcuni di loro c’è il rischio concreto di cadere nella spirale del protagonismo: quella che i nostri amici virologi conoscono bene.
Ma se, come si spera, gli spiragli di un cessate il fuoco diventeranno una possibilità concreta, è probabile che anche questi onnipresenti analisti tornino nei loro think tank. Cosicché possano uscire dal letargo gli esperti titolari, i pesi massimi della virologia, oggi muti per mancanza di microfono.