Fuga dal Libano: sulla rotta siriana
(Getty Images)
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Fuga dal Libano: sulla rotta siriana

Sono centinaia di migliaia i profughi che dal Paese dei cedri entrano in Siria, dopo l’attacco dell’esercito di Israele a Hezbollah. Per molti di loro l’obiettivo successivo è Cipro e da qui l’Europa. L’Italia è una destinazione

«La rotta è aperta fino all’Italia» conferma al telefono il trafficante di esseri umani libanese. La voce impastata è quella di chi si è appena svegliato dopo una notte di passaggi clandestini in Siria. La sua «parte» di tratta è dal nord del Paese dei cedri fino a Latakia, che appunto è una città siriana sulla costa mediterranea non distante dal confine con la Turchia. Khaled, nome di fantasia, racconta a Panorama le vie illegali che arrivano fino all’Europa. Il Libano, dopo l’attacco terrestre di Israele e i bombardamenti che hanno decimato Hezbollah, è una «bomba a orologeria» umana. Oltre un milione di sfollati (il 20 per cento dell’intera popolazione) e quasi 400 mila sono già scappati all’estero, 276 mila in Siria da dove potrebbero proseguire per la Turchia, affidandosi ai trafficanti, per poi imbarcarsi verso Cipro, la Grecia o l’Italia.

Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, alla fine della visita in Libano del 18 ottobre scorso ha sottolineato in un colloquio informale con Panorama, che «avere oggi uno sfollato in territorio libanese su cinque abitanti è un rischio che guardiamo dal nostro punto di vista di possibili flussi migratori, ma ancora prima potrebbe creare in Libano una situazione di non ritorno». L’Italia punta a coinvolgere Bruxelles: «Il tema va portato subito a livello europeo, altrimenti la situazione può diventare deflagrante. Sia in territorio libanese che fino a casa nostra». Poche ore prima di atterrare a Beirut ne aveva parlato ad Aqaba con il re di Giordania Abdullah II, riprendendo il filo dell’incontro di una settimana prima a Cipro con il monarca hashemita, il capo di Stato dell’isola, Nikos Christodoulides, e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. «Le rotte per l’Europa, che saranno più battute, sono quelle dalla Turchia alla Grecia, via terra o mare, oppure diretta in Italia con i barconi. I migranti si dirigono anche verso l’isola di Cipro, che è più vicina, ma poi rimangono bloccati o vengono rimandati in Libano e Siria» spiega il trafficante.

Le tabelle dei costi sono chiare: 4.500 dollari dalla Turchia fino in Grecia, per poi proseguire lungo la rotta balcanica, e settemila dalle coste turche per arrivare in Italia. La maggior parte delle persone in fuga dalla guerra comprende siriani, già scappati in Libano all’inizio del conflitto nel loro Paese. Molti avevano trovato riparo a Dahiyeh, nel sobborgo meridionale di Beirut, roccaforte di Hezbollah, raso al suolo dall’aviazione israeliana. Altri si erano spostati nei villaggi del Sud, i primi a essere raggiunti dagli ordini perentori di evacuazione dell’Idf, le forze armate dello Stato ebraico.

Sulla Corniche, il lungomare della capitale libanese, sono accampate intere famiglie che hanno abbandonato le loro case. Alcuni dormono all’interno delle utilitarie. «Mio marito è morto in Siria sotto un bombardamento e mi sono trasferita a Beirut con le due bambine. Adesso vivo sul marciapiede sotto questo telo. Datemi almeno una tenda» è il lamento di Fatwa, coperta dal velo nero dalla testa ai piedi. Giura che il marito non era un combattente, ma lei ha trovato ospitalità nell’ex fortezza di Hezbollah della capitale. «Quando ho sentito il suono dei primi missili, che hanno centrato le case vicine» dice, «non ci ho pensato un attimo. Ho preso le mie bambine e sono scappata». Fatwa vorrebbe tornare in Siria, ma non ha più parenti e nemmeno soldi. Una donna più anziana, poco più avanti, si rotola a terra e urla «che capiti a loro quello che sta accadendo a noi» riferendosi al popolo ebraico.

Molti dei siriani in Libano non sono in possesso di documenti e per rientrare a casa o proseguire il viaggio verso la Turchia e l’Europa si affidano ai trafficanti. Uno dei boss nel Nord del Libano è Al Kabbout - che significa «il grillo» - e opera nella zona di Wadi Khaled, via d’accesso per la Siria, a nord-est di Tripoli, città sunnita. «Nelle ultime settimane il numero di persone che si affidano a noi è altissimo» spiega il trafficante intervistato da Panorama. «Siamo una rete che si estende fino all’Europa e ognuno ha il controllo di una tratta». Il passaggio illegale del confine siriano avviene a piedi, «ma poi faccio proseguire la mia gente in piccoli bus o mini van fino a Latakya. Non ha importanza se di giorno o di notte: passano appena riesco a corrompere le guardie» afferma Khaled. Quelle di frontiera in primis, ma le vie del traffico proseguono fino in Turchia lungo due direttrici: una verso Idlib, ultima roccaforte di Al Nusra, la costola siriana di Al Qaida e l’altra attraverso la regione orientale in mano ai curdi.

«Ci si mette d’accordo con l’Esercito libero siriano (gruppo moderato dell’opposizione, ndr) oppure lo Ypg (partito armato curdo, ndr)» rivela il trafficante. «Dal Libano a Idlib si può arrivare anche in soli tre giorni. Per passare il confine turco ci vuole di più, da un paio di settimane a un mese perché sono aumentati i controlli. Il pacchetto completo costa 3.500 dollari». In Siria l’hub dei trafficanti di esseri umani è ad Ayn al-Arab, a nord di Aleppo, Jindires rappresenta il punto di maggiore transito per la Turchia equivalente a Sanliurfa dalla zona curda. «Ci si passano i migranti da trafficante a trafficante per le singole tratte di competenza, ma chi vuole ha a disposizione anche una via alternativa» rivela la fonte di Panorama. «S’imbarca all’aeroporto di Beirut per volare in Libia da dove affronta la traversata via mare. Il costo per arrivare in Italia è di tremila dollari». Khaled è convinto che il traffico aumenterà, ma il vero incubo è l’attacco che il regime siriano starebbe preparando sull’ultima sacca jihadista di Idlib concentrando truppe. «Fuggiranno tutti in Turchia, due milioni di persone» dichiara senza esitazione. «E tanti proseguiranno per l’Europa».Non è un caso che la posizione italiana, ma anche di altri Stati Ue, punti a rivedere la strategia dell’Unione europea per la Siria. L’obiettivo è lavorare con tutti, compreso il regime di Bashar al-Assad che ha vinto la guerra su una valanga di morti e macerie, «per creare le condizioni affinché i rifugiati siriani possano fare ritorno in patria in modo volontario, sicuro e sostenibile» spiega una fonte italiana. In questo senso va letto il sostegno del nostro Paese all’operazione che sta portando avanti l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, Unhcr, e la decisione di rafforzare la presenza diplomatica a Damasco.

Fra i siriani, prima riparati in Libano e che adesso fuggono verso il loro Paese come prima tappa in direzione del Vecchio continente, «ci sono sicuramente membri di Al Nusra», ovvero l’Al Qaida di Idlib, secondo una fonte libanese. Terroristi che puntano a spacciarsi per rifugiati arrivando in Italia con le barche direttamente dalla Turchia o attraverso la più lunga rotta balcanica via Grecia ed ex Jugoslavia. «Se non si risolverà questo conflitto politicamente arrivando a una tregua» sostiene Firas Al-Shoufi del Centro studi Recon-geopolitics di Beirut, «gran parte degli sfollati cercheranno di passare dalla Siria alla Turchia e tenteranno la via illegale verso l’Europa». Tripoli, «roccaforte» sunnita del Nord è invasa dai profughi del Sud. Il governo libanese ha rinviato l’apertura dell’anno scolastico per adibire le scuole a centri di accoglienza. Le aule sono state trasformate in stanze di fortuna che ospitano intere famiglie.

I libanesi che hanno disponibilità economiche, e magari già un visto per l’Europa, si imbarcano sul traghetto che parte da Tripoli tre volte alla settimana arrivando in Turchia. Undici ore di viaggio con la cabina che costa 350 dollari. «C’è sempre una lunga fila» spiega il militare dell’intelligence all’ingresso del porto. «Adesso stanno preparando una nuova nave più veloce per coprire la traversata in sole quattro ore». L’ingresso della scuola Al Jadida è presidiata dai soldati. All’interno i boy scout distribuiscono il rancio quotidiano, ma nessuno vuole parlare con un giornalista. Lo stesso direttore fa capire che non ne possono già più dei profughi soprattutto siriani. I numeri ufficiali degli sfollati nei centri pubblici non lasciano dubbi: a Tripoli e dintorni sono 16 mila, ma 10 mila risultano siriani. La cifra reale di chi ha trovato ospitalità nell’area o può pagarsi un appartamento sarebbe di 150 mila persone. «I sunniti hanno paura che ci siano pure esponenti di Hezbollah che potrebbero venire bombardati dagli israeliani» spiega il docente di lingua italiana Maher Awad. «E poi si teme un cambiamento confessionale a favore degli sciiti». I volontari che distribuiscono i pasti nelle aule trasformate in dormitori ci vietano di scattare fotografie agli sfollati sciiti. «Una volta pubblicate si scatena l’odio sui social» spiegano. Il commento più benevolo è «ben gli sta».

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Fausto Biloslavo