Venezia 2014, Anime nere: cupa faida famigliare di Francesco Munzi
Debutta tra applausi il primo film italiano in concorso. Una guerra tra clan calabresi che diventa una guerra tra fratelli - Venezia 2014
Torvo e teso, così come promette il titolo, Anime nereha fatto il suo esordio alla Mostra del cinema di Venezia. Raccogliendo applausi da parte della stampa. Primo italiano dei tre in concorso a svelarsi al Lido, non concede spazio alla distensione e ai sorrisi, disegnando una guerra tra clan di 'ndrangheta che diventa anche e soprattutto una guerra in seno a una famiglia, tra chi è arroccato su vecchie e criminose modalità di onore e predominio e chi vorrebbe affrancarsi da quelle dinamiche mafiose soffocanti e vischiose.
Opera terza di Francesco Munzi, dopo Saimir (2004) e Il resto della notte (2008), si ispira all'omonimo romanzo del 2008 di Gioacchino Criaco, che per l'occasione sarà ripubblicato da Rubettino dal 17 settembre. L'indomani il film arriverà nelle sale italiane con Good Films. Se Munzi è romano e per il film si è dovuto e voluto calare completamente nella realtà calabrese, Criaco invece è nato ad Africo, paesino dell'entroterra dell'Aspromonte in cui ha avuto gestazione Anime nere.
Da Amsterdam al Sud America passando per Milano, la storia di tre fratelli partita in Aspromonte torna e si chiude a cerchio lì, in una terra dove convivono ancora superstizioni e stili di vita arcaici con business e loschi affari così contemporanei. Luigi (un ottimo Marco Leonardi che cattura sempre l'attenzione) è il più carismatico dei tre, il più solare ma anche il più sinistro. È il boss, o almeno aspira ad esserlo. Abita a Milano. Qui vive con sua moglie (Barbora Bobulova) anche Rocco (Peppino Mazzotta), il più raffinato dei tre fratelli: un malvivente in giacca e occhialini da intellettuale. Luciano (Fabrizio Ferracane) è l'unico rimasto al paese, nel rovente Sud. Tiene un'esistenza essenziale, in campagna, allevando capre. Spera forse così di tenere alla larga il ricordo dell'omicidio del padre e gli ingombranti vincoli famigliari. Ma suo figlio Leo (Giuseppe Fumo) è della stessa pasta dei suoi fratelli e riporterà a galla disarmonie mai assopite. In un crescendo tragico.
"Ho cercato di fare un lavoro di realismo e normalizzazione, senza la spettacolarizzazione tipica del cinema americano", racconta Munzi. "Quando ho scritto questo film non c'era l'idea di lanciare messaggi. La scommessa è stata entrare in una famiglia criminale e rappresentarla sotto aspetti anti-epici, anche nel suo squallore, tentare sì di entrare in empatia coi personaggi ma anche di prenderne distanza critica".
I malavitosi di Anime nere non hanno il fascino del Dandy di Romanzo criminale o del John Dillinger di Nemico pubblico - Public Enemies. Sono delinquenti con cui non è spontaneo solidarizzare. In uno scenario molto maschile, le donne stanno lì spesso silenti o poco protagoniste, capitanate dalla matriarca interpretata da Aurora Quattrocchi, in un silenzio che però pesa più di mille parole. "Sembrano imperturbabili, sullo sfondo, invece questa loro fissità emotiva stabilisce destini", in una sorta di approvazione che non sprona al cambiamento: questa la visione di Anna Ferruzzo, che interpreta la moglie di Luciano.
Ci sono speranze di Leone d'oro per Anime nere? Nonostante l'approvazione di molti colleghi, a mio avviso no. Il racconto si muove in maniera un po' troppo piatta e già vista nella parte centrale, anche se è rotto da un finale impetuoso e inaspettato. Bello.
Dal giovane e ancora acerbo Giuseppe Fumo un messaggio ai suo coetanei: "In Calabria non c'è lavoro ma non fate scelte sbagliate, non legatevi con le 'ndrine e cercate di costruire un futuro migliore".