Arte: In Italia non c'è solo il Futurismo
Da Baccarini a Zanelli, da Crema a Sartorio... Mentre a Roma è in corso la mostra dedicata al più importante movimento italiano del Novecento, sono da ricordare numerosi pittori e scultori che, in quello stesso periodo, hanno animato la scena creativa del Paese.
Cosa accade in Italia al tempo del Futurismo, come ci suggerisce la mostra di Roma? Prima dell’avanguardia futurista, da cui tutto ha origine, un gruppo di artisti a Faenza, in chiusura dell’esperienza simbolista, apre a nuovi linguaggi. Si tratta del Cenacolo baccariniano, dal nome di Domenico Baccarini (Faenza 1882-1907), pittore, disegnatore e scultore simbolista, con formazione a Firenze, poi a Roma da Giovanni Prini, e ritorno a Faenza.
Ne fanno parte: Domenico Rambelli (Faenza 1886-Roma 1972), che studia inizialmente con Antonio Berti alla Scuola di arti e mestieri, va a Parigi a conoscere l’opera di Bourdelle e Rodin, e rinnova il genere monumentale: suoi, il Monumento ai caduti di Viareggio e il Monumento a Francesco Baracca a Lugo (1936); Ercole Drei (Faenza 1886-Roma 1973), prima completa la formazione con Berti, poi al Cenacolo, a Firenze in Accademia, quindi Roma dove insegna alle Belle Arti (1927-1957), fra Decadentismo e recupero di classicità; Francesco Nonni (Faenza 1885-1976), pittore, incisore e ceramista, prigioniero di guerra dopo Caporetto, fonda la rivista Xilografia (1924), gusto che dal Liberty si converte al Déco; Giovanni Guerrini (Imola 1887-Roma 1997), architetto e pittore, fatti studi con Berti, promotore dell’ammodernamento delle arti applicate nella rivista Cellini, progetta con Ernesto Lapadula e Mario Romano, il Palazzo della Civiltà e del lavoro all’Eur (1937-1940); Giuseppe Ugonia (1881-1944), allievo di Berti, pittore e litografo; Orazio Toschi (Lugo 1887-Firenze 1972), pittore viene invitato nel 1919 da Marinetti a farsi futurista; Pietro Melandri (Faenza 1885-Roma 1976), negli anni Trenta si afferma come raffinato ceramista Déco in collaborazione con Gio Ponti.
A essi può affiancarsi, per affinità e comuni riferimenti, Enrico Mazzolani. Nel 1902, insoddisfatto della cultura accademica e conformista della Capitale, tornò a Senigallia e inizia a eseguire busti in gesso, come quello di Giulio Perticari. Nel 1904 si sposta a Faenza, dove frequentò la bottega di Salvatore Farina. In quell’occasione strinse legami di amicizia con gli artisti del Cenacolo baccariniano, da cui prendeil gusto per le forme sinuose e levigate. Si trasferisce a Milano nel 1906 e per mantenersi iniziò l’attività di aiuto architetto, con Giorgio Macchi e Luigi Broggi. Nel mondo dannunziano degli scultori animalisti e di gioielli vanno anche ricordati Cesare Ravasco, Mario Buccellati, Renato Brozzi, Sirio Tofanari, Giacinto Bardetti, e anche Nicola D’Antino, Paolo Troubetzkoy.
L’inquietudine tardo-simbolista, condivisa, attraverso le emblematiche esperienze di Gaetano Previati, ferrarese, si apre in due strade: persistenza emotiva e formale di un mondo letterario che tiene come riferimenti ancora Gabriele D’Annunzio, che si affida all’illustratore Adolfo De Carolis, e a Ettore Cozzani fondatore della rivista Eroica attiva tra il 1911 e 1921 con il contributo di artisti come Giovanni Costetti, Bruno da Osimo, Guido Marussig, Mario Reviglione, Benvenuto Disertori, Luigi Servolini. La stessa persistenza tardo-simbolista si ritrova a Roma dove, a partire dalla ideale adesione alla poetica preraffaellita, si afferma Guido Aristide Sartorio che, proprio negli anni della accensione futurista si applica prima al Poema della vita umana per il salone centrale della Esposizione internazionale del 1907, a Venezia, e poi al Fregio allegorico dell’aula della Camera, in Palazzo Montecitorio, dipinto dal 1908 al 1912.
Sulla stessa strada senza uscita, verso un modernità elusa, si pongono anche Antonio Calcagnadoro e Umberto Brunelleschi, amico di Baccarini e di Costetti. Nell’ambito delle poetiche preraffaellite e crepuscolari, in alternativa al Divisionismo e al Futurismo, si pone Raul Dal Molin Ferenzona, che si era formato a Monaco attratto dagli artisti della prima Secessione, e che, a partire dal 1911, si muove tra Parigi, la Boemia,la Germania e l’Austria. A partire dal 1918 Dal Molin Ferenzona ha una crisi religiosa e si ritira in un monastero di benedettini nella basilica di Santa Francesca Romana. Analoga, e altrettanto refrattaria alle avanguardie, si può dire anche l’esperienza del ferrarese Giovanni Battista Crema attivo a Roma dal 1903. L’ambiente romano lo accoglie subito: stringe amicizia con Ximenes, Sartorio, Petiti, Mancini, Carlandi e si lega al gruppo di artisti d’avanguardia: Severini, Boccioni, Balla, Prini, Baccarini e Cambellotti. Il giovane Crema, attratto da un idealismo che discendeva direttamente dal realismo storico del Morelli, con un occhio ai Divisionisti e l’altro ai Preraffaelliti, realizza dipinti d’ambientazione ferrarese, affrontando tematiche sia di un immaginismo gotico e dannunziano sia di un intimistico ripensamento personale, ignorando avanguardie e futurismo.
Nei primi Venti anni del secolo si pongono anche alcune importanti esperienze di scultori, a partire da Angelo Zanelli, autore del Fregio dell’Altare della Patria al Vittoriano. In quegli stessi anni, prima di partecipare all’impresa dello Stadio dei marmi con altri scultori classicheggianti, si pone un vero talento come Publio Morbiducci, già nella bottega di Zanelli all’Altare della Patria . Nella mostra della Secessione romana del 1915, espone due maschere in bronzo che lo consacrano per particolare originalità tra gli scultori dell’epoca. Accanto all’attività di scultore e di pittore, Publio Morbiducci si impone nella tecnica dell’incisione su legno e collabora con numerose xilografie alla già citata rivista di Cozzani, L’Eroica.Presto ne diviene un maestro al punto che Maurits Cornelis Escher troverà in lui e nel gruppo dela pubblicazione gli iniziatori alla sua arte xilografica. Si specializza intanto nella medaglistica, vincendo nel 1923 il concorso per la moneta da due lire. Nel 1924 espone, presentato da Ugo Ojetti, le sue medaglie presso la American Numismatic Society di New York. Analoghi presidi di resistenza nella tradizione pittorica troviamo a Torino in Domenico Buratti. Nel 1903 esordisce alla Esposizione della Società promotrice di Belle arti di Torino. Nel 1904 espone a Parigi. Nello stesso anno dipinge uno dei suoi quadri più famosi, Ribelli, un’interpretazione personale de Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, che viene accolto con favore ed esposto alla Società promotrice nel 1905. Espone alla Quadriennale di Roma e alla Prima Esposizione d’arte della Secessione romana (1913-1916). Condivide la sua esperienza con la moglie pittrice Vittoria Cocito. Particolarmente apprezzato dalla critica del tempo per le doti di disegnatore e di colorista, alterna la pittura alla ricerca xilografica e anche lui collabora a L’Eroica. Rimasto fedele alle sue scelte stilistiche iniziali, nel primo Dopoguerra rimane isolato e la sua arte non è più compresa nonostante la sua costante partecipazione alle mostre torinesi fino al 1942.