«Disegnarsi» il corpo a 20 o 30 anni, per amore o solo per moda, per poi ripensarci decenni dopo. Succede spesso, e non solo ai vip. Peccato che cancellare quei segni non sia a facile (oltre a essere piuttosto doloroso). Ecco le tecniche più innovative – e i tattoo più resistenti – secondo gli esperti.
Attaccheresti adesivi su una Bentley»? È ciò che la Instagram star da 373 milioni di follower, Kim Kardashian, risponde a chi le chiede perché non abbia tatuaggi. Modestia a parte, non ha torto visto che le celebrità che hanno rimosso un «tattoo» in età più che adulta sono tante. Johnny Depp ha eliminato due lettere dal suo «Winona Forever», dedicato al suo primo amore Winona Ryder. Ora sulla spalla destra esibisce «Wino Fore-ver», ovvero «Ubriaco per sempre». Melanie Griffith non ha più «Antonio Banderas», suo ex consorte, circondato da un cuore sul braccio. È rimasto il cuore. Angelina Jolie ha cancellato il nome del suo secondo marito, Billy Bob Thornton, e pure le coordinate geografiche del luogo di nascita del terzo, Brad Pitt. Mentre Elettra Lamborghini sta eliminando con il laser il nome di due suoi cavalli ormai passati a miglior vita. Posta su Instagram le foto delle sedute raccontando ai follower quanto sia doloroso.
Liberarsi di un tatuaggio in effetti non è facile. Lo sanno bene i pentiti dell’inchiostro, molti ultra-cinquantenni, che si rivolgono al dermatologo per un intervento risolutivo. I dati dicono che l’Italia è uno dei Paesi più tatuati al mondo: il 48 per cento della popolazione (seguita da Svezia, 47 per cento, e Stati Uniti, 46). L’età media in cui ci si tatua per la prima volta è 25 anni. Il 92 per cento di chi ci si sottopone è soddisfatto del risultato. Il 17 per cento dichiara di voler rimuovere nomi e disegni, il 4 per cento lo ha già fatto.
«Il tatuaggio non è più permanente» afferma Santo Raffaele Mercuri, primario dell’Unità di Dermatologia e cosmetologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano. «Anche dopo i 50 ci sono persone che non accettano di mantenere una decorazione voluta 30 anni prima. Perché si ha un’interpretazione differente della propria persona. Non è il tatuaggio che è cambiato, ma loro stessi. Anche perché con il passare del tempo quei disegni tendono a sbiadirsi, ad alterarsi, a perdere vivacità cromatica». C’è chi si vuole evolvere rispetto al passato. «Nomi di ex fidanzati, volti, o disegni passati di moda. Sono decine le ragioni per cui nella maturità rimuovono i tattoo. I giovani hanno altri motivi: lavorativi, per esempio. Chi vuole partecipare ai concorsi dell’Arma non deve portare segni di questo tipo visibili. Le Forze dell’ordine non ammettono i tatuaggi». Sono sicuro motivo di esclusione quelli su braccia, polsi, mani, collo, volto. Questo per salvaguardare l’uniforme e onorare il Corpo per cui si concorre. Per evitare, negli scenari operativi, di venire riconosciuti. Oppure per non generare, nelle missioni all’estero, un senso di diffidenza o discredito.
«La dermatologia ha messo a punto tecniche di rimozione abbastanza efficaci e sicure, anche se non indolori» prosegue Mercuri. «Prima disponevamo soltanto di dermoabrasione e rimozione chirurgica. Oggi esistono laser ad altissima precisione, come il Picolaser, che non danneggiano la pelle, polverizzano l’inchiostro in particelle talmente piccole da poter essere espulse dal corpo. Sfruttano una sequenza di impulsi dell’ordine di un picosecondo. Rispetto ai laser precedenti si ha un “particolato” molto più piccolo che viene eliminato più facilmente dal sistema immunitario». Sempre che il tatuaggio non sia colorato, perché con le cromie, cominciano i dolori. «Giallo, rosso, rosa e azzurro sono difficilissimi da rimuovere per il laser. Anche se trattati, resta sempre “l’effetto ghost”, ovvero un piccolo alone. I tattoo neri spariscono totalmente, quelli multicolor posizionati su mani e piedi sono i più ostici». Per una completa eliminazione servono da sei a 30 sedute, in base a estensione e colorazione. Dopo ogni seduta, si avranno arrossamento, bruciore, gonfiore. La zona trattata viene bendata, e bisogna sospendere l’attività sportiva, non fare bagni né prendere il sole. Per il successo dell’operazione è fondamentale che «il laser venga impiegato da un medico esperto» conclude Mercuri.
«Purtroppo non tutti quelli che usano una macchinetta sono tatuatori» afferma Francesco Cinti Piredda, titolare dello studio «Unopercento» di Roma, che tra i suoi clienti annovera Roberto Saviano, il pallavolista Ivan Zaytsev, gli attori Edoardo Leo e Francesca Inaudi. «Per un risultato davvero soddisfacente occorre un tatuatore professionista. Oggi se sbagli a citofonare in un condominio ti risponde comunque un tatuatore. Chi sa disegnare si compra la macchinetta e inizia l’attività. Apre uno studio che dura al massimo sei mesi e nel frattempo fa danni. C’è stata molta superficialità nell’approccio al tatuaggio, tanti se lo sono fatto fare da amici principianti, magari gratis. Con risultati pessimi che oggi, ovviamente, si vogliono rimuovere».
Sempre che non ci siano state complicazioni come granulomi, infezioni, cheloidi. «Uno pseudo-professionista può avere la “mano pesante”, con l’ago può provocare traumi con esiti cicatriziali visibili. In quel caso, anche se il laser rimuove il colore, rimarrà una parte in rilievo, evidente». Un tatuaggio ormai sgradito si può talvolta coprire con un altro. «Si dice “ribattere”, in inglese touch up» precisa Cinti Piredda. «È come un restauro, ma si lavora sulla pelle viva, non sulla tela. Non amo farlo perché per me se un tatuaggio è stato fatto male, è difficile migliorare l’effetto. La tenuta del colore dentro le cellule epiteliali è limitata. Con il naturale ricambio cellulare due linee tatuate troppo vicino si impastano, si confondono. Un disegno piccolo apparirà “sfuocato”. Lo posso ritoccare, ma le cellule, già trattate, non riusciranno a contenere tutto quel colore. Ci sarà un iniziale miglioramento che però si perderà presto».
Artisticamente parlando, ci sono anche problemi di proporzioni e colori. «Esempio: la cliente vuole coprire uno scorpioncino con un fiore rosa. Dovrò fare una zona di nero che copra l’insetto e poi bilanciare il nero tutto intorno perché non sembri “stonato”. Il fiore potrebbe non venire così delicato come vuole lei. Meglio il laser: lo scorpione è scuro, si rimuove piuttosto facilmente. Morale: se un tatuaggio, anche brutto, ti ricorda un momento meraviglioso, lo si tiene anche a 70 anni. Se lo hai fatto a 20 dopo due birre con gli amici è probabile che, da adulto, lo si voglia rimuovere. È come per il matrimonio: non ci sposa con leggerezza perché tanto c’è il divorzio. È una scelta seria, da ponderare. E se si divorzia, che almeno ci si rivolga a un buon avvocato».
«Chi è giovane adesso non riesce a immaginarsi tra 40 anni» riflette lo psichiatra e scrittore Paolo Crepet. «Se le persone potessero avere un’immagine di sé da anziani, non inciderebbero sulla pelle disegni permanenti. Portare sul braccio il nome di una ragazza conosciuta in Grecia 50 anni prima è patetico. Ci si evolve e ci si toglie un tatuaggio perché non si vuole essere ancorati a una fase passata dell’esistenza. Il corpo non è un comodino, per i ricordi ci sono gli album fotografici». Quando si è giovani il corpo è vissuto come una vetrina, il mezzo con cui ci si presenta al mondo. Ma che succede quando si cresce? «L’epidermide cede, quel fiorellino sul seno non appare più così attraente…» commenta Crepet. «Se hai fatto un tatuaggio a 20 anni dopo una traversata oceanica, è probabile che continui a piacerti. Se hai trasformato la schiena in carta da parati dopo una bevuta tra amici, a 70 anni ti pentirai amaramente. Perchè hai fossilizzato la tua realtà, rendendo la tua pelle un fossile».
Tramontato il concetto del tatuaggio trasgressivo, oggi farlo è diventato un gesto banale. Un conformismo a cui ci si adegua. Conclude lo psichiatra: «Se vuoi davvero risultare provocatorio, oggi scegli di non farlo. Oltretutto, domani non avrai nemmeno il problema di doverlo cancellare».