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Lo psicologo: «Impariamo a sfruttare l’ansia dei tempi»

Lo psicologo: «Impariamo a sfruttare l’ansia dei tempi»

Dobbiamo imitare i colibrì che vivono grazie alla loro ansia. È questa la teoria che lo psicologo e scrittore Thomas Leoncini ha sviluppato nel bestseller L’ansia del colibrì


Dobbiamo imitare i colibrì che vivono grazie alla loro ansia. È questa la teoria che lo psicologo e scrittore Thomas Leoncini ha sviluppato nel bestseller L’ansia del colibrì (Sperling&Kupfer, pagine 224, 17,90 euro). «Al contrario di ciò che crediamo è il meccanismo di difesa più nobile e sofisticato che abbiamo».

In che modo è un meccanismo di difesa?

L’inquietudine va sviluppata perché è un’arma per battere l’incertezza, che è diventata un elemento strutturale della società, non più un inciampo come era 30 anni fa. Se il colibrì si riposasse, morirebbe. Se non capiamo questo meccanismo resteremo sempre disillusi, spiazzati, frustrati.

Ogni giorno c’è un nuovo allarme: dal clima alla guerra. Come possiamo fronteggiare questo labirinto fatto di angosce?

Ormai lo scenario muta ogni 24 ore. Basta guardare i trend di Google per comprendere che viviamo perennemente preoccupati. Oggi sappiamo che tutto può cambiare in un istante e la pandemia ci ha resi ancora più consapevoli e fragili. E così ci allontaniamo da quello che siamo veramente. Fa molta paura, perché come diceva Carl Gustav Jung, l’uomo sarebbe capace di fare qualsiasi cosa pur di non dare uno sguardo fugace alla propria anima. Siamo subissati dalla necessità di scappare da qualcosa e non sappiamo neanche noi da cosa. L’eco-ansia divora soprattutto i più giovani. In certi momenti sembra diffusissima, poi si spegne come se non fosse mai esistita. Anche in questo sentimento c’è soprattutto la grande preoccupazione del futuro, trasportata all’ambiente esterno.

Scrive che noi crediamo di abitare la società, invece è la società che abita noi. Come usciamo da questo paradosso?

L’ansia è una costante dello spirito del tempo liquido, ma ricordiamoci che ha anche un aspetto importantissimo e positivo. È un’alleata potente per non conformarci, per non restare stagnanti, per non cadere nel «consumo e scarto», che ormai è l’imperativo morale del progresso.

Nei suoi colloqui con i pazienti percepisce il panico da fine del mondo?

C’è piuttosto la paura della fine di sé stessi, di arrivare al fondo della vita senza aver capito cosa si vuole veramente. Tutto appare intercambiabile, sostituibile. Prima si diceva: «Ci faremo un futuro», oggi invece: «Dobbiamo vivere il presente». È superato parlare di paura, la fine è una constatazione.

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