Da Cannes a Venezia, le donne dei Festival del cinema dalle scelte che dividono
Ha iniziato Lupita Nyong'o a Berlino premiando un doc singolare, opera seconda. Ora Greta Gerwig a Cannes che, fresca e libera come la sua Barbie, ha preferito il cinema indie di Sean Baker al veterano Francis Ford Coppola e all'iraniano Mohammad Rasoulof. Aspettando con gioiosa impazienza il Leone d'oro affidato a Isabelle Huppert
Dopo Lupita Nyong'o a Berlino, è spettato a Greta Gerwig a Cannes far mugugnare gli scontenti dei grandi festival cinematografici. La «colpa» della presidente di giuria in Costa Azzurra, secondo qualcuno? La lesa maestà nei confronti del maestro Francis Ford Coppola e dell’iraniano Mohammad Rasoulof, dato da molti per Palma d’oro. E invece Greta, fresca e libera come la sua Barbie, ha preferito il romanticismo alla politica. Ha scelto una nuova voce americana indie così simile alla sua, quella di Sean Baker con Anora, invece che i veterani che han fatto la storia del cinema. Vivaddio!
Le donne dei grandi festival cinematografici del 2024 dividono e questo ci piace: da loro sinora scelte forti, senza inchini reverenziali. Che in scia a Lupita e Greta, questa sia la strada anche per le prossime alte giurate di Locarno e Venezia? Le principali rassegne cinematografiche internazionali, infatti, quest’anno vedono vede tutte presidentesse ad assegnare i premi più importanti.
La registra austriaca Jessica Hausner, dallo sguardo tagliente, è la presidente di giuria che ad agosto assegnerà il Pardo d'oro al 77° Locarno Film Festival. E Isabelle Huppert, attrice francese somma sempre pronta alle sfide, presiederà la giuria della prossima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, edizione 81.
Immagine del film "Il seme del fico sacro" (Foto: Festival di Cannes)
Le scelte contestate al Festival di Cannes
Al Festival di Cannes appena messo alle porte, secondo alcuni critici, il nostro Mereghetti in testa, i premi avrebbero mortificato il cinema che vale davvero.
Francis Ford Coppola sarebbe stato relegato a porta trofei per George Lucas, celebrato con la Palma d’oro alla carriera durante la cerimonia di premiazione finale. E il suoMegalopolisdimenticato dai premi.Ma gli umori dalla Croisette parlavano chiaro: Megalopolis è stato mastodontico sia nei pregi che nei difetti. Tacciato per un po’ come film «invendibile», si è temuto addirittura che non trovasse la distribuzione nelle sale (e invece uscirà al cinema! in Italia grazie a Eagle Pictures).
Il grande sconfitto di Cannes è invece l'iraniano Mohammad Rasoulof, nel 2020 meritato Orso d’oro a Berlino per il crudo e intenso Il male non esiste. Dopo la proiezione nel venerdì di chiusura del festival francese, è schizzato in cima ai favori di molti. E quando gli è stato assegnato il Prix spécial, è sembrato a molti, a lui stesso per primo, fuggito dal suo Paese a piedi attraverso le montagne, con la morte nel cuore, un premio di consolazione. È stato sommerso da applausi. Il seme del fico sacro(The seed of the sacred fig) è una denuncia del regime iraniano vista dall'interno di una famiglia di Teheran.
Immagine del film "Megalopolis" (Foto: Festival di Cannes)
In seno alla giuria, accanto a Greta Gerwig, c’era comunque un regista navigato e capace di capolavori come il giapponese Hirokazu Kore'eda, già Palma d’oro a Cannes per il meraviglioso Un affare di famiglia. Attento ai temi sociali esistenzialistici, dallo stile delicato e intimista, avrà sicuramente orientato le scelte, ricadute su Anora.
Probabilmente Il seme del fico sacro avrebbe meritato di più del «diplomino» conquistato, ma incoronare Anora è stata una scelta vivace e vigorosa, «degna conclusione di un festival radicalmente romantico», come ha scritto il Guardian.
Anora, dal nome della sua protagonista interpretata con forza da Mikey Madison, è la storia di una spogliarellista di Brooklyn che incontra e si innamora del figlio di un ricco oligarca russo. Una love story alla Cenerentola, che però ne demolisce brutalmente il mito, pur credendoci teneramente.
Per Sean Baker, già apprezzato per Tangerine (2015) e Un sogno chiamato Florida (2017), è la consacrazione. Alle sue spalle un background indie che è lo stesso rigoglioso e dinamico di Gerwig. Greta, con la sua Barbie dimenticata dagli Oscar alla miglior regia, si è presa la sua rivincita.
Immagine del film "Anora" (Credits: Festival di Cannes)
Prima di Greta, Lupita. In attesa di Isabelle
Ma già a febbraio, al Festival di Berlino, avevano mosso brontolii le scelte dell’attrice messicana Lupita Nyong'o. A sorpresa, l’Orso d’oro fu assegnato a Dahomey della quarantunenne francese di origine senegalese Mati Diop, alla sua opera seconda. Il suo documentario di appena un’ora sul primo grande ritorno di tesori saccheggiati dall'Europa all'Africa ebbe la meglio su diversi registi veterani, dal francese Olivier Assayas al sudcoreano Hong Sang-soo. Una scelta coraggiosa, che però ha ribadito l’anima distintiva del festival tedesco, più politica e meno populista, alla ricerca dell’inconsueto e tutt’altro che mainstream.
Lo dimostrò anche il premio alla regia a Pepe di Nelson Carlos De Los Santos Arias, un film divertente ma decisamente sperimentale, raccontato con il punto di vista di Pepe, appunto, uno degli «ippopotami della cocaina» del narcotrafficante Pablo Escobar.
Isabelle Huppert intanto prende appunti. Nel 2023 la Mostra del cinema di Venezia, presieduta dal regista statunitense Damien Chazelle, premiò un film al tempo stesso hollywoodiano e originale come Povere creature!, ma noi avremmo preferito una scelta più radicale, Green Border di Agnieszka Holland.
Interprete di film scomodi come La pianista (2001) di Michael Haneke e Elle (2016) di Paul Verhoeven, pregustiamo già le decisioni difficili di madame Huppert. Appuntamento al 7 settembre per il controverso Leone d’oro 2024.