Non bastano i soldi per vincere la Champions
Dati alla mano, dal 2006 a oggi solo una volta il club più ricco ha alzato la Coppa. Il che impone anche alle italiane di provarci
A furia di ripetere che in Europa si vince solo con bilanci da favola e che il calcio si è ridotto a una competizione di fatturati, ci siamo convinti di tutto, compreso il fatto che il miglior club italiano non abbia chance di arrivare all'Olympiastadion di Berlino, dove il prossimo 6 giugno conosceremo il nome della squadra erede del Real Madrid di Ancelotti. No money, no chance: all'inglese. Una specie di leggenda metropolitana buona per giustificare qualsiasi risultato del campo, dimenticando che, oltre ai numeri di bilanci e fatturati, il calcio rimane essenzialmente uno sport in cui contano abilità tecnica, preparazione fisica, studio tattico e molta fortuna. E come nella vita di tutti i giorni, essere ricchi aiuta ma non garantisce il successo finale.
A dirlo non sono solo gli inguaribili nostalgici del football di un tempo, ma la comparazione delle cifre dei conti economici e dei risultati del campo. Possibile? Sicuro. Basta mettere in fila l'andamento delle ultime 9 edizioni della Champions League (dal 2005-2006 al 2013-2014) comparandole con la classifica per fatturati stilata da Deloittenella stagione precedente, che serve a parametro per fotografare la forza economica dei club quando si sono presentati al via della competizione. I risultati sono sorprendenti e cancellano la leggenda secondo cui va avanti solo chi fattura e arrivare nelle prime 8 (o, peggio, nelle prime 16) è il massimo che una società italiana si possa augurare.
Quante volte ha vinto la squadra più ricca?
Partendo dal Barcellona che trionfò contro l'Arsenal (2006) e arrivando fino al Real Madrid che lo scorso mese di maggio ha beffato l'Atletico in un derby mozzafiato, si scopre che una sola volta su 9 ad alzare il trofeo è stato il club più ricco di tutti: proprio il Real Madrid edizione 2013-2014. Certo, molto è responsabilità dei flop in serie delle merengues che per un decennio hanno costantemente rimandato l'appuntamento con la Decima. Allargando appena il discorso, però, le proporzioni cambiano poco. Partendo da una posizione sul podio della classifica Deloitte, solo 4 volte su 9 si è arrivati al successo finale: Manchester United (2008), Barcellona (2009 e 2011) e Real Madrid (2014). In altrettante occasioni ha festeggiato chi partiva dalla 5° (o peggiore) o posizione: Barcellona (2006), Milan (2007), Inter (2010) e Chelsea (2012). Solo due volte c'è stata una finale tra due club entrambi sul podio e in entrambe il Barcellona ha battuto il Manchester United. Finali senza protagoniste da Top 3 della ricchezza? Ben 5 su 9. Più del doppio.
In semifinale da Top 5 fatturati? Solo 1 su 2 ce la fa
Ancor più interessante lo studio di cosa succede nei turni precedenti. Delle 36 squadre che hanno disputato le semifinali dal 2005-2006 a oggi, solo 22 provenivano dalle prime cinque posizioni della classifica dei fatturati (61%) e ben 7 (19,4%) partivano oltre la 10° posizione, che significa essere lontani dall'elite che conta. Siccome le caselle 'Semifinalista' a disposizione sono 4 per ogni stagione (36 in tutto) significa che i club ricchissimi, identificati allargando lo spettro fino alla Top 5, hanno raggiunto l'obiettivo minimo di confermare il proprio dominio economico anche sul campo circa una volta su due. E basta. Il resto è andato alla borghesia che sta alle spalle con qualche eccezione, non così infrequente, del ceto medio sul modello Atletico Madrid della scorsa stagione, Borussia Dortmund 2013, Schalke 2011, Lione 2010, Liverpool 2007 fino ad arrivare al meraviglioso (e proletario) 2006, quando nelle magnifiche quattro si iscrissero Milan (3°), Barcellona (6°), Arsenal (10°) e Villarreal (fuori dalle prime 20).
Prendendo come riferimento i quarti di finale, invece, la forbice si sbilancia ancor di più a favore dei meno ricchi. Su 72 squadre che hanno disputato il turno, meno della metà (30) provenivano dalla Top 5, 47 (65,2%) allargando il raggio alla Top 10 che significa una presenza massiccia e continua (25 su 72 ovvero il 34,8%) di club al di fuori della prima lista dei fatturati. E se nelle magnifiche otto, che oggi ci vengono descritte come obiettivo massimo per le nostre rappresentanti, sono entrate realtà come Malaga, Galatasaray, Apoel Nicosia, Cska Mosca, Bordeaux, Porto, Fenerbache, Psv, Valencia, Lione o Benfica non si capisce perchè ci si debba rassegnare a Juventus e Roma nel ruolo di vittime sacrificali.
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L'Inter del Triplete? Meno ricca della Juve di Agnelli
C'è poi un altro dato sorprendente da analizzare e che smentisce il low profile di casa nostra. Se è vero che non si può mangiare in un ristorante a cinque stelle presentandosi senza carta di credito e con in tasca al massimo 10 euro, come ha detto Conte, è altrettanto corretto dire che il nostro portafogli non è incompatibile con una bella cena stellata. Anzi, il passato insegna che la potenza di fuoco economica di cui è dotata, ad esempio, la Juventus di Allegri è più che sufficiente per arrivare a Berlino senza doversi accontentare di wurstel e crauti. Il conto è presto fatto. Al via della stagione la Juventus si è presentata con alle spalle un fatturato da 315 milioni di euro (plusvalenze comprese) che le varrà intorno alla 9° posizione nella prossima classifica Deloitte. In testa ci sarà come tradizione il Real Madrid con i suoi 603,9 milioni (con plusvalenze). Un bilancio 1,91 volte superiore a quello bianconero. Troppo? No, anzi.
L'Inter del Triplete, ad esempio, nell'autunno 2009 partiva con un rapporto di 2,04 rispetto al solito Real Madrid ed era anch'essa al 9° posto della graduatoria Deloitte. In estate aveva speso molto per prendere Milito e Thiago Motta, sui quali non c'era la corsa dei top team, Sneijder e Lucio (scarti di Real Madrid e Bayern Monaco) e in più aveva piazzato lo scambio Ibrahimovic-Eto'o, altro ripudiato. Nessun top player era arrivato in Italia e i colpi del momento (Cristiano Ronaldo, Kakà, Benzema al Real Madrid, Gomez-Robben al Bayern e Ibra al Barcellona) li avevano fatti gli altri. Quell'Inter non è un'eccezione, ma la regola.
L'Atletico Madrid della scorsa stagione partiva dalla 20° posizione nella classifica dei fatturati con un rapporto di 4,32 volte rispetto al Real Madrid (120 contro 518 milioni). Il Borussia Dortmund finalista nel 2013 era 11° con fatturato di 2,71 volte inferiore al Real Madrid capoclassifica (189 contro 512). Il Chelsea nel 2012 partiva esattamente con gli stessi fondamentali economici della Juventus di Allegri: 1,91 (249 contro 479 milioni), lontano dal podio della ricchezza. E così via andando a ritroso nel tempo.
Se vi è venuto il mal di testa, nessun problema. Mettere in fila numeri e bilanci è per definizione noioso, ma serve per confermare (o confutare) una tesi. E l'idea che le italiane non possano sperare di fare strada in Champions League a causa dei loro fatturati è così diffusa da essere ormai accettata acriticamente così come, senza sollevare alcuna obiezione, si può ascoltare un presidente spiegare che entrare tra le prime otto è il massimo obiettivo possibile o il tecnico dei campioni d'Italia definire "positiva" una stagione con scudetto e superamento dei gironi europei. Non è così. Numeri alla mano. E adesso buona Champions a tutti...
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