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Il flop dei vegani

Il flop dei vegani

La rinuncia a carne, pesce, latticini, uova e persino miele sembrava una moda inarrestabile. Invece negli ultimi anni i seguaci di questo tipo di alimentazione stanno diminuendo, mentre crescono i «pentiti». E anche la scienza esprime perplessità. Almeno nutrirsi così fa bene all’ambiente? Mica tanto…


«Ho pianto la prima volta che ho mangiato di nuovo del pesce. Il mio cervello non correva più. Ora sono più attiva». Così l’ex bambina prodigio della Disney Miley Cyrus, cantante di fama mondiale, ha confessato, nel 2020, di aver smesso di essere vegana dopo cinque anni di assoluto rigore. «Era il corpo che me lo chiedeva». La sua dichiarazione fece così scalpore che, da allora, sia negli Stati Uniti che in Italia questa dieta inflessibile ha cominciato a vantare meno adepti. E i «pentiti» a far sentire la loro voce.

Secondo gli ultimi dati diffusi da Eurispes, nel 2021 nel nostro Paese vegetariani e vegani erano il 5,4 per cento della popolazione (i soli vegani il 2,4 per cento) oggi sono calati all’1,3. Ad abbandonare sono stati soprattutto i giovani, tra 18 e 24 anni, e gli over 65, la cui percentuale vegana è crollata allo 0,2 per cento. Quasi il 10 per cento si è dichiarato pentito. Attualmente sono 800 mila gli italiani che escludono carne, pesce, uova, latticini, miele. Una moda che ha creato un apprezzabile indotto, la Vegan Economy. Secondo gli analisti di Euromonitor international, il mercato globale vegano e vegetariano registra un fatturato di 50 miliardi di dollari, e le vendite dei sostituti della carne hanno raggiunto i 19,5 miliardi. Per non parlare di integratori, cosmetici vegani, ristoranti e fast food.

Se da una parte, come sottolinea il Crea, Centro di ricerca alimenti e nutrizione, rinunciare a carne e latticini aiuta a mantenere nella norma colesterolo, trigliceridi, pressione, dall’altra può causare una scarsa copertura dei fabbisogni energetici. In sostanza: abolire le proteine di origine animale è pericoloso per la salute dell’adulto e soprattutto per lo sviluppo del bambino, a meno che non si introducano – dietro controllo medico – calcio, ferro e vitamine come la B12 sotto forma di integratori.

E c’è chi, come la divulgatrice inglese Jayne Rees Buxton, nel suo libro The Great Plant-Based Con sostiene, con solide argomentazioni scientifiche, che fare a meno di proteine nobili, zinco, selenio, calcio, ferro, vitamina D e B12, acidi grassi omega 3 rischia di favorire l’insorgere di scompensi e malattie. Anche perché la quadratura del cerchio, ossia il corretto bilanciamento dei nutrienti tra quelli contenuti dal cibo e quelli provenienti dagli integratori, richiede pazienza e attenzione certosina.

Ma come mai il numero di vegani in Italia sta calando? È sfumata la mania lanciata dalle celebrities, o – semplicemente – è difficile da seguire? «Forse perché tutto quello che riteniamo etico non è detto coincida con ciò che il nostro organismo vuole» dice Giorgio Calabrese, medico nutrizionista, presidente del Comitato di sicurezza alimentare del ministero della Salute. «Alla base c’è il pensiero per cui la nostra condotta alimentare non deve nuocere agli animali. Moralmente apprezzabile, ma non equilibrato dal punto di vista nutritivo. Abbiamo bisogno di introdurre ogni giorno il 55 per cento di carboidrati, il 30 di grassi e il 15 di proteine, di cui due parti vegetali e una animale. I vegani tolgono la proteina animale, non mangiando neppure uova e latte. Ma senza la vitamina B12 non previeni le anemie perniciose e non mantieni in salute il sistema nervoso».

Per il ferro, poi, la situazione si complica. «I vegani dicono che basta mangiare tanti spinaci. Ma il ferro contenuto negli spinaci è di tipo “non eme”, diverso da quello delle proteine animali, di tipo “eme”. Quest’ultimo viene assorbito dall’organismo all’80 per cento, quello “non eme” al 10 per cento». Non da sottovalutare poi l’eccesso di fibre. Che fanno benissimo se sono circa 30 grammi al giorno ma, se troppe, «sequestrano» vitamine idro e liposolubili, calcio, zinco, selenio e magnesio, creando squilibri.

L’alimentazione vegana è inoltre ricca di soia, che oggi è tutta Ogm e, se in grande quantità, contiene interferenti endocrini, ossia sostanze chimiche che interferiscono con l’equilibrio ormonale. Caricarsi di leguminose non fa bene. E nemmeno imbottirsi di pillole e integratori. Il cavallo di battaglia di chi segue una dieta vegan è che, eliminare le proteine animali allontana il cancro. Cavoli, broccoli, verza, crescione, rapa e cavolfiore hanno sì proprietà antitumorali, ma non sono una garanzia di non ammalarsi.

Nel 2019 un studio inglese dell’Università di Oxford – ebbe molta risonanza ma sollevò anche parecchi distinguo – sostenne che il consumo di carne rossa aumenta del 20 per cento il rischio d’insorgenza di tumore del colon retto. «Non è una verità assoluta. Perché quando si ha l’intestino pieno di troppe fibre, non vengono assorbite nemmeno le sostanze che proteggerebbero dal cancro» conclude Calabrese. «Non si metabolizza il P53, un gene oncoprotettivo. Possiamo fare tutte le variazioni possibili all’alimentazione che ci ha portato dall’inizio dei tempi ai giorni nostri, ma non dobbiamo trascurare cosa il nostro corpo ci chiede. Faccio un esempio: se siamo contrari al petrolio, e mettiamo nel serbatoio di una macchina acqua al posto della benzina, cosa otteniamo? Che la macchina non parte». La situazione si complica quando a essere vegani sono i bambini o i lattanti. «Una dieta vegana ben gestita e ben monitorata nell’infanzia può prevenire alcune patologie complesse dell’apparato gastroenterologico come il morbo di Crohn, o la rettocolite ulcerosa» chiarisce Claudio Romano, professore di Gastroenterologia pediatrica all’Università di Messina e presidente della Società italiana di Gastroenterologia, epatologia e nutrizione pediatrica. «Però come pediatra non mi sento di consigliare regimi dietetici per bambini e adolescenti senza proteine animali. Privare di alcuni nutrienti il lattante, oltre a impattare sullo sviluppo fisico e cognitivo potrebbe non abituarlo a tutta una varietà di sapori. Vedo tutti i giorni bambini che non mangiano pur essendo sani o rifiutano i cibi nuovi, nei quali la dieta restrittiva non ha stimolato la curiosità alimentare».

Il controllo di un esperto e il costante monitoraggio del bambino vegano sono essenziali per prevenire deficit. «Non si può essere superficiali quando si nutre un bambino. Non si può imporre diete “fai da te”. Bisogna rivolgersi a uno specialista che indirizzi e controlli quello che mangia il piccolo e quanto cresce. Se l’adulto vegano deve sottoporsi ad analisi ematochimiche ogni anno, il bambino deve essere controllato ogni tre mesi. E fare esami del sangue ogni tre mesi non è propriamente piacevole per lui». Aggiunge Carlo Agostoni, professore in Pediatria generale e specialistica all’Università degli Studi di Milano: «Molte mamme quando il bambino ha compiuto un anno comprano al supermercato un latte vegetale, di mandorla o soia. Lo fanno senza essere guidate da nessuno. Le loro convinzioni prendono la mano e vanno oltre ciò che è corretto dal punto di vista alimentare. Ci sono vegani iperattenti che hanno una cultura in materia e si fanno seguire dal dietista/nutrizionista. E poi c’è il vegano che pensa di fare da solo perché è contro tutto. Più che una convinzione è un’opposizione al sistema, e non si accorge che sta prendendo una strada deviata per il figlio, che ha il diritto di crescere sano».

A preoccupare i medici è anche l’alimentazione delle donne in gravidanza. «Non è così comune, ma è successo che siano arrivati a termine neonati di mamme vegane, quindi con una limitazione nell’assunzione di elementi essenziali al loro sviluppo, che alla nascita già presentavano un inizio di sintomi neurologici. Dobbiamo capire se ci sono concause poco note o congenite. Ma perché rischiare? Il bimbo potrebbe sviluppare deficit importanti».

Mangiare vegano però aiuta a dimagrire. Giusto? Purtroppo, no. Un articolo del 2020 di Medical News sfata l’illusione, anche perché spesso, per ottenere il senso di sazietà, si tende a consumare più carboidrati. «La chiave per dimagrire resta una dieta corretta ed esercizio fisico, e non la rinuncia ad alimenti di origine animale» sottolinea lo studio. Non è detto, infine, che la dieta vegana salvi l’ambiente (altra argomentazione adottata da chi la segue). Se è vero che i prodotti animali richiedono maggiori emissioni di gas serra, adottare un’alimentazione vegana su tutto il pianeta non è il modo migliore per sfruttare i terreni in modo sostenibile. Secondo un’analisi della Friedman School of Nutrition Science della Tufts University (nel 2016 su Elementa, Scienza dell’Antropocene) che hanno esaminato l’impatto di 10 diverse diete, quelle basate su un’assunzione moderata di carne riescono a sfamare più persone di quelle vegane. Quindi bene ridurre il consumo di carne, concludono i ricercatori, ma non sarà la rinuncia totale ai prodotti d’origine animale a salvare il pianeta.

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