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L’oceano gourmet che bagna Milano

L’oceano gourmet che bagna Milano

Due fratelli toscani, di Carrara, portano nel capoluogo lombardo i sapori del Pacifico, dal ceviche peruviano al sushi giapponese. E intanto progettano l’apertura di un hotel molto speciale


In principio fu un coltello da pomodoro. Sono i dettagli che fanno l’insieme, i particolari a dare un indirizzo alla somma di eventi (molti casuali) che costituiscono una vita. Per i fratelli Jacopo e Leonardo Signani, protagonisti della ristorazione più up to date, fu appunto il coltello adatto a tagliare i pomodori – di acciaio, non più lungo di 13 centimetri, con apposito seghetto – reliquia utilizzata con mano felice dal nonno materno Gualtiero durante i pranzi, a far loro capire di non appartenere a una famiglia normale. Non tanto per il coltello in sé, ma perché il nonno era un dandy della tavola, forse della vita in generale: ogni momento ha il proprio rito, ogni piatto lo strumento adatto, ogni attimo va vissuto con stile. Non se ne sono mai dimenticati, Jacopo e Leonardo. Cresciuti, hanno lasciato Carrara, la bambagia (ma stimolante) di una famiglia che ha un nome nel settore dell’estrazione e industria del marmo più famoso al mondo, e sono sbarcati a Milano. Jacopo per studiare architettura e design, Leonardo economia. Insieme, e con il socio Guillaume Desforges, hanno fondato la società Salva tu Alma e si sono messi ad aprire locali. Prima Pacifico (cucina nippo-peruviana: a Milano, Roma e in estate Sardegna, nella rutilante Costa Smeralda).

Poi Ronin, un palazzo in stile oriental-modernista nella Chinatown milanese. Concept mai visto in Italia, neppure in Europa: osteria izakaya al pianoterra; ristorante robata al primo piano e omakase in alto, per soli10 posti; sale karaoke e cocktail bar intitolato a Madame Cheng, favolosa piratessa dei mari salgariani; musica pazzesca e arredi disegnati apposta per il progetto. Un Giappone delle meraviglie che in tanti vorrebbero copiare. È qui che i Signani rispondono alle domande di Panorama, in un’unica voce per i due fratelli. «Siamo diversi, ma sul lavoro è come fossimo una sola persona, pur con competenze specifiche», dicono Jacopo (42 anni, direttore creativo) e Leonardo (38 anni, cura il lato amministrativo dell’impresa).

Vi sentite vincitori cinti di allori o c’è altro che avete in ballo?

Mai fermarsi. Ora stiamo pensando di espanderci nell’hôtellerie, un settore affascinante. Ma è presto per poter fare annunci, siamo in trattative riservate.

Come vi venne in mente l’idea di esordio, Pacifico?

Avevamo una tata peruviana, a Carrara. Preparava il ceviche, piatto di pesce crudo quasi sconosciuto in Italia. Così buono che ne abbiamo fatto il fulcro della proposta di Pacifico. Il Perù, grazie alla forte immigrazione giapponese, ha una cucina che è sintesi ed esaltazione di diverse culture gastronomiche.

Anche con Ronin non avete cambiato oceano: il Giappone è un arcipelago del Pacifico.

Il Giappone è un mondo che non si finisce mai di scoprire. Ronin è stata una visione, inserita in una città dal respiro internazionale come Milano. Quando viene da noi il sushi master Katsu Nakaji, per le sue cene omakase, è una festa, bisogna prenotare mesi prima. È un orgoglio ospitare un numero uno come lui, con ristorante stellato a Tokyo.

Che cos’è il lusso per i Signani?

Avrà sempre importanza se comprende un lato non effimero. Lusso non è importare il King Crab pescato in Alaska, non sono i grandi alberghi, i format preconfezionati uguali dappertutto. Non è Dubai, per capirci. Vero lusso è poter scegliere. Il nostro sogno? Un ristorante, un albergo, un campo coltivato, un peschereccio. Tutto collegato in modo virtuoso e sostenibile per raccontare una storia. Ma chissà tra dieci anni le nuove generazioni che cosa intenderanno, per lusso.

Un collega ristoratore che ammirate?

Su tutti, Arrigo Cipriani, un’autorità della ristorazione italiana e dell’accoglienza. Da lui ti senti a casa, anche se non ti conoscono. Bellissimi anche i suoi libri su Venezia, da leggere e rileggere. E poi il menu con i caratteri vintage delle stampanti ad ago, i prezzi simpaticamente fantasiosi, la cura dei particolari. Un punto di riferimento.

Cosa avete imparato in questi anni?

Che contano le persone. Abbiamo fatto errori, in passato, puntando su quelle sbagliate. Poi che gestire ristoranti richiede dedizione totale e continuo rinnovamento, sennò si esce dal giro rapidamente.

Da Ronin, poco dopo l’apertura, passò Chiara Ferragni, oggi tanto discussa, e ne seguì un delirio di prenotazioni. Quanto contano gli influencer?

Mai offerta una cena agli influencer. La Ferragni veniva di sua iniziativa. Così come Ilary Blasi. Ma non è sui nomi famosi che si può basare un ristorante.

La cucina italiana gode di buona fama?

Sempre di più, è uno dei trend internazionali. Non è la cucina dei nostri locali, ma siamo cresciuti bene. Da bambini ci portavano da Paracucchi, ad Ameglia. Una bella educazione palatale.

Ma voi sapete cucinare?

Leonardo fa straccetti di carne passati al forno un secondo: eccezionali. E i suoi spaghetti vongole, bottarga e limone sono da leccarsi i baffi.

Restate legati a Carrara?

Come no. Quando torniamo la vita rallenta, è bellissimo, una perfetta ricarica dello spirito. E andiamo a mangiare alla Scuderia, trattoria che volevamo addirittura portare a Milano. Ma Carrara non manca mai, perché nostra mamma viene a trovarci. Deve controllare la nostra igiene dell’anima, scoprire se i suoi bambini se la passano bene. Le mamme sono fatte così, per fortuna.

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