Un articolo di Panorama raccontava il contrasto stridente tra il mondo del cibo più autentico e quello più elaborato che arriva a utilizzare elementi artificiali. Uno scontro sull’agricoltura che ha suscitato reazioni da parte dell’Unione Italiana Food. Ma a ben vedere…
Tra una barretta energetica assemblata in laboratorio e una fetta di pane con olio extravergine di oliva cosa scegliereste per merenda? Tra un bibitone energetico alla carnitina e un bicchiere di spremuta d’arancia fatto in casa cosa berreste? E ancora: tra un campo di grano Senatore Cappelli e relativi spaghetti e il grano canadese essiccato in post-raccolta col glifosato e trasformato in pasta, che cosa vorreste mettere a tavola? Sugli scaffali del supermercato in Italia si sta combattendo questa silenziosa battaglia per la supremazia alimentare. E che la posta in gioco sia ricca lo conferma una lettera assai assertiva arrivata a Panorama.
L’ha spedita il direttore generale di Unione Italiana Food Mario Piccialuti, che così si lamenta a proposito di un nostro articolo uscito sul numero 26 del 19 giugno (pagina 38): «Abbiamo letto con attenzione l’articolo firmato da Carlo Malaspina Solo la terra dà cibo vero. Lo “scontro sull’agricoltura” di cui parlate racconta in modo parziale e non veritiero la nostra associazione». Sia detto per inciso, nell’articolo Unione Italiana Food di cui si forniscono i dati essenziali viene così citata: «Lo scontro su “Mediterranea” – è la nuova sigla che unisce Confagricoltura e Unione Italiana Food con a capo Paolo Barilla, vicepresidente dell’omonimo gruppo alimentare, accompagnato da alcune delle più “ingombranti” multinazionali: Unilever, Nestlé, Lactalis, Mondelez, favorevoli al Nutri-score, impegnate nella ricerca e produzione dei cibi da laboratorio come le bistecche artificiali – nasce dal fatto che Coldiretti e Filiera Italia la ritengono fuorviante». Finito.
Ma al dottor Piccialuti interessa sottolineare: «Veniamo dipinti come braccio armato delle multinazionali cattive che vogliono distruggere la dieta mediterranea. In realtà, Unione Italiana Food è un pezzo importante di tutto l’alimentare italiano: siamo il collante di circa 530 aziende presenti in tutta Italia, che rappresentano simboli del Made in Italy come caffè, pasta, cioccolato, gelati, prodotti da forno, prodotti surgelati, sottoli e sottaceti, confetture e miele, ortofrutta fresca e confezionata, solo per citarne alcuni. Siamo un panorama eterogeneo di 900 marchi che uniscono tradizione e innovazione, come eterogenei sono i nostri associati: grandi aziende familiari centenarie che portano il nostro Made in Italy nel mondo, imprese globali che operano in Italia e tante medie, piccole e piccolissime realtà radicate sul territorio. Le nostre aziende hanno scelto una casa comune, consapevoli delle differenze ma anche di quello che le accomuna in termini di valori, pensiero imprenditoriale, rispetto per il consumatore. Siamo un asset importante per il Paese e, per investimenti e legami con le comunità locali, rappresentiamo un valore aggiunto per i territori in cui operiamo e per l’agricoltura italiana. Non solo le nostre aziende danno lavoro a 100 mila persone, ma acquistano e trasformano il 70 per cento delle materie prime agricole nazionali e, ove possibile, comprano in Italia il 100 per cento della produzione agricola disponibile».
Viene a questo punto la curiosità di andare a scoprire l’elenco dei 900 marchi. Cominciamo con Watt di Ponte San Niccolò, che produce integratori sportivi per il fitness e la vita quotidiana. Scorrendo l’elenco spunta una delle più importanti multinazionali del mondo, la Bayer, che produce medicine e che con la Monsanto continua a commercializzare il glifosato, il più potente e discusso erbicida al mondo. Per una causa sui danni da glifosato la Bayer, che da quel che sostiene il dottor Piccialuti è una strenua difensora della dieta mediterranea, ha pagato 2,25 miliardi di dollari di risarcimento. Ma vediamone altre di queste 530 aziende che fanno «caffè, pasta, cioccolato, gelati, prodotti da forno, prodotti surgelati, sottoli e sottaceti, confetture e miele, ortofrutta fresca e confezionata» solo per citarne alcune, come dice il direttore generale di Unione Italiana Food.
Perché tra le altre, ci sarebbero la Abc Farmaceutici. E poi, tra gli artigiani del gusto – dunque le piccolissime imprese – spuntano sotto forma di cooperativa i Farmacisti preparatori dell’associazione Acfp. Se pensate che la dieta mediterranea debba fondarsi sull’assunzione di omega tre (sono i grassi buoni) magari attraverso un bel piatto di alici di Cetara, avete sbagliato. La dieta mediterranea si difende e si diffonde assumendo la quercetina in gel di Alchemia Fitobottega che produce integratori alimentari. Col microbiota di Alfa Intess l’occhio migliora e la Matt – una delle associate – è in grado di offrire gallette di grano saraceno, integratori alimentari, ma anche cosmetici. E del caso la Advanced Medical Pharma, lavorando in conto terzi dai cosmetici ai farmaci passando per i pannolini, copre ogni bisogno.
È un elenco istruttivo: s’incontra per esempio la Nutrica divisione di Danone, il più convinto alfiere del Nutri-Score, la famigerata etichetta a semaforo che penalizza proprio i prodotti della dieta mediterranea. Ma il dottor Piccialuti tiene a far sapere che «Mediterranea è un’Associazione con un chiaro obiettivo di servizio. Abbiamo scelto di fondarla assieme a Confagricoltura per migliorare le filiere, creare opportunità di crescita e distribuire equamente valore su tutti i suoi attori». E siccome la polemica è con la Coldiretti e Filiera Italia con un esercizio di stile inconsueto il direttore generale di Unione Italiana Food – ha nella sua compagine aziende come Fresenius Kabi che si occupa solo di nutrizione clinica e conta più aziende farmaceutiche che salumifici – nota: «Probabilmente diamo fastidio a qualcuno, che alla nostra concretezza risponde con argomentazioni incomprensibili, assolve le multinazionali con cui collabora (Carrefour, McDonald’s) e attacca quelle che non fanno parte del suo progetto».
Una differenza ci sarebbe: Carrefour fa unicamente distribuzione, quanto a McDonald’s fa le polpette solo con carne italiana (e non sintetica) e usa, avendo fatto anche un accordo con Qualivita che difende i marchi Dop e Igp, formaggi, salumi e ortaggi a denominazione italiana. Mentre la Nestlé, la più grande multinazionale dell’alimentazione – che aderisce a Unione Italiana Food -, ha ritenuto di cambiare la sua ragione sociale da food company a health company, cioè vendere cibi-farmaci. Salvo poi scoprire attraverso una ricerca finanziata dall’Unicef e dall’Applied Research Collaboration (ARC) e condotta dal National Institute for Health Research (NIHR) Oxford e da Thames Valley, che l’89 per cento delle referenze vendute dalle multinazionali sono insalubri. L’analisi ha preso in esame 35.550 prodotti di 1.294 marchi appartenenti alle 20 principali aziende alimentari e delle bevande globali. Ma forse visto che il sito di Unione Italiana Food è poco popolato di contadini e fornai, ma è pieno di laboratori, microscopi, operatori in camice bianco, questi sono «tutti ingredienti fondamentali della dieta mediterranea, che non è una bandiera da sventolare per sostenere gli interessi di pochi, ma è Patrimonio dell’umanità». Tutto giusto, dottor Piccialuti. Se però ci consente un suggerimento sappia che non tutto quello che si prende per bocca è cibo!