Facile e veloce da preparare. Ghiotto, invitante e pure economico. Segni particolari: triangolare. È l’iconico club sandwich, il tramezzino più conosciuto e apprezzato al mondo, «l’esperanto» del fast food di qualità. Quella meraviglia multistrato che, a qualunque latitudine e a qualunque ora del giorno e della notte, esce dalle cucine degli hotel, e di casa, per soddisfare la famosa voglia improvvisa. E accidenti se la soddisfa… Perché nella sua proverbiale semplicità, è un’esplosione di gusto in un trionfo di consistenze. Tradizione vuole che gli ingredienti siano pane in cassetta tostato, senza crosta e imburrato quanto basta, uova cotte al tegamino, pollo o tacchino grigliati e freddi, pomodoro fresco a fette, maionese, lattuga e bacon croccante. Una tradizione che ha radici centenarie a dire il vero: la teorizzazione di questa calorica prelibatezza in un vero e proprio ricettario, il Good Housekeeping Woman’s Home Cook Book di Isabel Gordon Curtis, risale al 1903, anche se la sua apparizione è datata già alla fine del XIX secolo, quando Danny Mears, chef del Saratoga club house di Saratoga Springs (New York), casa da gioco super esclusiva, lo ha servito per la prima volta a suoi ospiti. Sembra, perché c’è invece chi sostiene che a prepararlo sia stato il proprietario del locale in persona, mister Richard Canfield. A tarda ora, con la cucina ormai chiusa, alcune signore, molto affamate, avrebbero ordinato qualcosa da mangiare, e lo zelante Canfield per non scontentarle, si sarebbe inventato un piatto al momento con gli «avanzi».
Al netto di paternità controverse, che il club sandwich sia stato improvvisato per necessità oppure pensato nei minimi dettagli da un professionista, una cosa è certa: benedetto sia il Saratoga, sempre. Da allora, infatti, è stato replicato ovunque, è entrato a pieno titolo nei menu dei locali più à la page, ottenendo un successo planetario. Anche perché, dettaglio non da poco, il club sandwich piace davvero a tutti, perfino ai più piccoli che, al massimo, per capriccio, sfilano giusto la foglia di lattuga. Non hanno scartato alcun ingrediente, invece, i dodici giurati, tra critici, giornalisti (Panorama era in prima linea) e bon vivant, che si sono ritrovati a Firenze, a Palazzo Portinari Salviati, per assaggiare e giudicare tredici club sandwich, interpretati dagli executive chef dei più esclusivi ristoranti all’interno dei più lussuosi hotel della città, con lo scopo di eleggere il migliore nelle rispettive categorie «classico» e «innovativo».








La gustosa competizione, Club Sandwich mania – Fiore 1827, tenutasi nelle cucine di Atto di Vito Mollica, organizzata da Davide Paolini, esperto di enogastronomia, Gianni Mercatali, gentleman della comunicazione di Gruppo Editoriale, e accompagnata da un Vermentino, Cobalto di Val delle Rose, a da un Chianti Classico, Ribaldoni di Villa Rosa, si è conclusa con l’incoronazione del club sandwich realizzato dallo chef Giovanni Cosmai del ristorante Irene di Fulvio Pierangelini dell’Hotel Savoy (Firenze) per la versione classica. Quello preparato dallo chef Paolo Lavezzini del Palagio (Four Seasons), si è aggiudicato il trofeo per la versione innovativa.
Il primo, «buo-nis-si-mo», presentato da quel genio di Fulvio Pierangelini in occhiali da sole scuri, seppur fedele alla tradizione negli ingredienti, con una sola variazione sul tema, ovvero un’aggiunta di senape, ha sparigliato completamente le geometrie, sorprendendo gli astanti con graziose porzioni rettangolari, perfette per essere addentate (leggi divorate). Perché – diciamolo – per quanto ci si sforzi di rispettare le buone maniere, il club sandwich va portato alla bocca con le mani e l’impresa non è sempre semplicissima proprio per le generose dimensioni del boccone.
Il secondo, decisamente aristocratico, e cesellato da Lavezzini chef de Il Palagio del Four Seasons (Firenze), ha idealmente teletrasportato la giuria in un ristorante pieds dans l’eau. Tra le tre fragranti fette di pane, lo chef ha adagiato dell’ottimo polpo di pezzatura media, salmone affumicato, uova di lompo, pomodori verdi, lattuga romana e maionese. Naturalmente, anche se non hanno conquistato il podio, anche gli altri undici club sandwich hanno lasciato il segno. Lo ha fatto senza dubbio quello innovativo (che più innovativo non si può) del giovanissimo e talentuoso Ariel Hagen, cresciuto alla corte di Norbert Niederkofler (tre stelle Michelin), oggi alla guida del Saporium dell’Hotel Borgo Santo Pietro, che ha pensato di farcirlo con quaglia ripiena di castagne e crema mimosa, adagiandolo su uno scenografico prato di erbe. Risultato: strabiliante al palato e pure alla vista.
Ineccepibile anche quello indiscutibilmente classico, nella forma e nella sostanza, dello chef Alessandro Liberatore del ristorante Le Bistrot di Villa Cora, servito con foglioline di tenera insalata. E a proposito di contorno, è quasi inutile ricordare la metà perfetta del club sandwich, ovvero le mitiche patatine, ancora meglio se fritte con la buccia. Tra gli chef, c’è stato anche chi come Stefano Ballarino, del ristorante il Verrocchio e L’Oliveto dell’Hotel Villa La Massa, ne ha fatto una versione classico-autoctona utilizzando, tra gli altri ingredienti, il pane di Montespertoli e i pomodorini fiorentini costoluti. Un tocco di Salento lo ha messo Gentian Shehi del Winter Garden (The St. Regis Florence) con una salsina di cime di rapa, con il polpo alla griglia, la burrata, i pomodori confit e un velo di seppia. Variazioni che non mutano la straordinaria funzione di questo sanwich: regalare al palato, e allo spirito, puro piacere. Alle cinque del pomeriggio o nel pieno della notte.