La lotta contro il mare che avanza e contro la pioggia che scende sempre più violenta. Da tempo nei Paesi Bassi si cercano soluzioni per contrastare questi fenomeni: enormi dighe, bacini di contenimento e altri sistemi messi a punto dagli ingegneri. Intanto però, in Italia si fa poco.
Una nazione che non è soltanto la rigida difesa dei propri interessi, si pensi alla libera fluttuazione dei prezzi del gas che abbiamo imparato a conoscere in questi mesi. I Paesi Bassi sono anche un esempio di come gestire l’acqua, che sia troppa o troppo poca, in un’epoca di cambiamenti climatici. Ecco dunque piazze per raccogliere quelle piovana, utilizzabili anche come aree-gioco. Case e uffici galleggianti progettati per «salire e scendere» con la marea. Parcheggi con annesso stoccaggio dell’acqua o «tetti intelligenti». Dighe e penisole di sabbia. Campi sportivi che hanno anche la funzione di raffreddare le città durante i periodi di caldo estremo, come quelli dell’estate 2022. Panorama è andato a scoprire come queste regioni siano all’avanguardia nella gestione della risorsa-problema acqua. Diventando un esempio per il mondo, sempre più soggetto alla vulnerabilità climatica.
Tra Rotterdam e Amsterdam
Circa un terzo dei Paesi Bassi si trova sotto il livello del mare e da sempre gli olandesi devono lottare contro l’invadenza di maree che possono toccare i cinque metri di altezza. Per proteggere dalle inondazioni Rotterdam e il suo Europoort (area portuale di oltre 12 mila ettari che dà lavoro a 180 mila persone e genera l’8,2 per cento del Pil nazionale) hanno innalzato il Maeslantkering, la più grande diga mobile al mondo: due paratoie in acciaio, ciascuna lunga 210 metri e alta 22. Una grandiosa opera di ingegneria che ha concluso il «Piano Delta»: il sistema di 13 tra dighe, chiuse e barriere costruito in Olanda dal 1953 al 1997 permettendo al Paese di prosperare anziché diventare un’immensa palude. Da allora diversi progetti sono nati e stanno prendendo forma, sempre con un occhio sulla sostenibilità. Per esempio con De Zandmotor (il «motore della sabbia»), non lontano dalla città de L’Aia: le dune costiere sono state rigenerate e ingrandite fino a formare una vera e propria penisola, dove il «ripascimento» dell’arenile è tenuto sotto stretto controllo del Rijkswaterstaat (ministero delle Risorse idriche).
Altri progetti sono invece per proteggersi – dopo secoli a imparare a difendersi dalle inondazioni marittime e fluviali – da un nuovo nemico: gli eventi piovosi estremi. Anche in questo caso si cercano soluzioni ingegneristiche. Come a Rotterdam, città in prima linea contro le alluvioni trovandosi al 90 per cento sotto il livello del mare. Tra le soluzioni c’è il gigantesco spazio di stoccaggio sotterraneo di Museumpark, che può raccogliere 10 mila metri cubi d’acqua (10 milioni di litri, l’equivalente di quattro piscine olimpiche) quando il sistema fognario non la riceve più.
Inoltre si stanno integrando «corridoi blu-verdi» nel paesaggio urbano, cioè canali progettati per ridurre le inondazioni, e si è realizzata una «piazza d’acqua» in Benthemplein Square, un’area soggetta ad accumulo di pioggia: ora è una sorta di «piscina» che durante la stagione secca fa da spazio ricreativo aperto a tutti per giocare a basket o altro, ma all’occorrenza permette di immagazzinare fino a 1,7 milioni di litri d’acqua. Infine, al porto di Rijnhaven alcune case sono state collocate su pontili galleggianti e di recente si è inaugurato il più grande ufficio «flottante» al mondo: progettato per accordarsi con il salire-e-scendere della marea, ci lavorano circa 200 persone.
«Quando Rotterdam ha creato la piazza d’acqua, nel 2013, ad Amsterdam abbiamo realizzato il primo polder roof, un terreno erboso sul tetto: entrambi sono esperimenti su come si possa raccogliere l’acqua piovana, uno all’interno di piazze, l’altro sopra le case» racconta Sacha Stolp, direttore del Programma di innovazione e adattamento alla crisi climatica di Amsterdam. Che spiega: «Abbiamo iniziato con gli “smart roof” per raccogliere l’acqua piovana e riutilizzarla per irrigare le piante che mettiamo a dimora sui tetti. Questa vegetazione permette una maggiore evaporazione del terreno, aiuta la biodiversità e ha capacità di raffreddamento dell’ambiente circostante. Ora vogliamo fare un ulteriore passo avanti perché nei periodi di siccità non abbiamo abbastanza riserve per l’irrigazione. Prevediamo così di realizzare due edifici per convogliare l’acqua dalle docce delle abitazioni al tetto verde».
C’è un altro progetto innovativo su cui ad Amsterdam si sta lavorando: «La città conta oltre 300 campi sportivi che possono costituire veri “condizionatori” nello spazio urbano» aggiunge Sacha Stolp. «Con il Project CitySports verrà convogliata l’acqua piovana per riutilizzarla in quegli stessi impianti. Un tappeto erboso che racchiude un tamponamento naturale le permetterà poi di evaporare, contribuendo a mantenere più fresche le zone urbane, dove in estate la temperatura raggiunge ormai gli oltre 35 gradi».
Per fronteggiare gli stress dei cambiamenti climatici sarà sempre più importante integrare gli ecosistemi naturali nelle aree urbane. «Se rendiamo più verdi i nostri spazi pubblici, possiamo irrigarli utilizzando l’acqua trattenuta quando piove» dice Maarten Kuiper, esperto in questo campo presso Aveco de Bondt, azienda specializzata nella sostenibilità delle infrastrutture. «E dobbiamo anche imparare a usare la pioggia per le docce nelle case o per lo scarico dei bagni. Al di sotto del manto stradale, inoltre, stiamo cercando di ricavare più spazio affinché durante le forti precipitazioni l’acqua scorra verso la falda sottostante tramite un’infrastruttura controllata. Oppure la immagazziniamo utilizzando soluzioni naturali come piante o filtri a sabbia. La portiamo negli strati più profondi del suolo grazie a tubi verticali, e poi la pompiamo su durante i periodi di siccità».
Intanto a Venezia…
Nei primi sei mesi di quest’anno, nel nostro Paese si sono registrati 132 eventi climatici estremi e, da gennaio a settembre, 62 alluvioni. Quelle recentissime che hanno colpito le Marche e Ischia in autunno, sono l’ennesimo campanello d’allarme. Ma l’Italia, pur al centro del bacino mediterraneo che è zona a rischio climatico, non si sta muovendo. È la sola nell’Ue senza un Piano di adattamento al clima, per cui continua a rincorrere le emergenze senza una strategia chiara di prevenzione che tuteli le aree urbanizzate. E questo nonostante l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, certifichi come 6,8 milioni di abitanti vivano in aree con pericolo di alluvioni.
Tuttavia è partito da poco un progetto interessante che ricorda il modello olandese. Si tratta di Grow Green, iniziativa europea cui partecipa Modena, città che soffre di temperature elevate in estate ed è circondata da una vasta rete di canali e corsi d’acqua che la rendono vulnerabile alle inondazioni. Nel progetto si sfruttano gli Nbs, Nature-Based Solutions, strumenti che usano le funzioni naturali degli ecosistemi per allargare e migliorare i canali, oltre ad aumentare gli spazi verdi con tetti, pareti verdi e giardini pluviali. Ma il caso più significativo per la gestione delle acque riguarda ovviamente Venezia, dove la minaccia di alluvioni e dell’innalzamento del mare è sempre stata presente, ma dove questi fenomeni sono aumentati drammaticamente negli ultimi decenni, con previsione di ulteriore crescita.
Per proteggere i 550 chilometri quadrati di Laguna, dopo 17 anni e un costo di circa 7 miliardi di euro, è stato costruito il Mose, il Modulo sperimentale elettromeccanico: una serie di paratoie mobili collocate alle bocche di porto per separare temporaneamente la Laguna dal mare, quando è previsto un evento di acqua alta. Nelle settimane scorse ha tenuto all’asciutto la città, investita da una marea di 145 centimetri, la terza più alta della storia (il Mose protegge fino a tre metri).
«C’è il rischio che l’attuale ecosistema scompaia, che la Laguna si trasformi in un lago costiero o in un’insenatura dell’Adriatico, e lo stesso Mose diventi inadeguato» mette in guardia Piero Lionello, ordinario di Fisica dell’atmosfera e oceanografia all’università del Salento, tra i coordinatori di un recente studio sul rischio di acqua alta a Venezia. Cosa dobbiamo aspettarci? «Un aumento del livello relativo del mare compreso fra i 25 e i 40 cm a metà secolo e fra i 30 e 110 cm nel 2100 che determinerà la chiusura delle bocche di porto per periodi sempre più lunghi: di due mesi all’anno se il livello del mare aumenterà di 50 cm e di 10 mesi se raggiungesse i 120 cm. La gestione dei rischi, cui Venezia e la sua Laguna sono esposte, richiede soluzioni innovative e scelte radicali urgenti per prepararsi a scenari molto diversi da quelli del Novecento». E allora l’esperienza olandese può essere utile qui e nelle altre città dove l’acqua, da grosso problema, dovrebbe diventare anche un’opportunità.