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La casa di Barbie diventa vera e ci vogliono vivere (quasi) tutti

La casa di Barbie diventa vera e ci vogliono vivere (quasi) tutti

Il successo del film ha consolidato anche la fama della residenza della celebre bambola Mattel: la Dreamhouse. Un luogo da abitare che, a 60 anni dal primo modello, si è trasformato in esempio glamour e di stile. Tanto che dal mondo dei giochi sta entrando in quello reale.


Uno dei precetti del film Barbie, arrivato come un ciclone rosa in questa estate torrida, è che l’architettura è femmina e, dopo secoli di predominio maschile, è ora che siano le ragazze a giocare al designer. E non solo con le case giocattolo, ma con i progetti di quelle vere, anche se la Barbie Dreamhouse continua a essere un ottimo punto di partenza. D’altronde anche nel film l’abitazione, quella dei sogni, ha un ruolo centrale: baluardo dello stile inconfondibile della pin-up della Mattel, è il primo obiettivo di conquista dell’esercito dei Ken in rivolta.

Al centro del film con Margot Robbie e Ryan Gosling c’è proprio la mitica casa di Barbie, che è ben più di un giocattolo. Greta Gerwig, la regista, si è concentrata su quello status symbol, un luogo bello e irreale, oggetto di design per i collezionisti e sogno da realizzare per piccole donne. Oggi più che mai quella residenza da favola, che dai primi anni Sessanta ha cambiato continuamente forme e colori, passando dal rigore geometrico alle curve sinuose di un neovittoriano in rosa, rappresenta un modello di riferimento, e potrebbe influenzare anche il gusto di chi vive nel mondo reale.

Non a caso appena si è cominciato a parlare del film, molte operazioni culturali e commerciali si sono concentrate sul tema dell’abitare: l’anno scorso, per il 60° anniversario della casa di Barbie, Mattel e la rivista Pin-Up hanno realizzato il libro Barbie Dreamhouse, esaurito in men che non si dica e ricercatissimo online; e a fine luglio il canale HGTV ha messo in onda il primo episodio della Barbie Dreamhouse Challenge: una competizione in cui otto coppie di designer si sfidano per riprodurre a grandezza naturale la casa dei sogni della bambola.

Ma cosa ne pensano le protagoniste del «real estate»? C’è veramente bisogno di più Barbie Dreamhouse nella nostra vita? Si sente il desiderio di abitare in rosa e vivere in città color zucchero filato? «Negli ultimi anni il colore rosa è stato liberato, è genderless» osserva la designer slovena Nika Zupanc, che disegnerebbe volentieri una casa di Barbie, ovviamente nel suo stile. «Nel 2008 presentai la mia Lolita lamp in rosa, e fu una grande novità. Oggi il significato di questa tinta rosa è cambiato, si usa per molti oggetti popolari». «Più che una tendenza verso il rosa, c’è un’attenta e piacevole riscoperta dei colori» un’altra designer, Elena Salmistraro. «Per molto tempo le abitazioni, i loro progettisti e i loro venditori hanno utilizzato l’asetticità come stratagemma per poter raggiungere il maggior numero possibile di persone. Dentro una casa tutta bianca potrebbe vivere chiunque, mentre dentro la Dreamhouse potrebbe farlo solo Barbie. Oggi la standardizzazione è il passato, abbiamo riscoperto l’unicità, e i colori ci aiutano a raccontarci attraverso le loro infinite sfumature».

Ispirandosi alla Dreamhouse, si riscopre il piacere di creare il proprio mondo senza porsi limiti. E chi può, il sogno lo realizza. «Magari si fa costruire la piscina o lo scivolo tra le pareti domestiche» Mariana D’Amico, titolare dell’agenzia Patrimoni Real Estate e star del programma Casa a prima vista, in onda su Real Time. «È un po’ il concetto dell’abitazione come un parco divertimenti. Soprattutto dopo il Covid, le persone vogliono vivere proprio mondo dentro la propria “tana”, senza uscire. Penso a certe ville esclusive di Forte dei Marmi o della Sardegna: il mercato del lusso è sinonimo della casa di Barbie». La mitica residenza della Mattel continua ad affascinare. La scenografa Margherita Palli anni fa ha pensato anche alla Barbie Dreamhouse per lo spettacolo Lolita. «Gli interni della dimora erano dichiaratamente ispirati a una casa di Barbie. Avevo preso spunto da lì, comprando su eBay anche oggettini vintage di plastica, come il frigorifero, un tavolino e delle seggioline».

Un conto, però è il teatro, altra cosa la vita. «Io nella dimora di Barbie non ci vivrei» replica Palli, che da bambina ricevette in regalo da una zia una delle prime Barbie Dreamhouse. Tra le tante case della bambola, preferisce la prima, quella del 1962, arredata con poltrone e divani in stile Mid-Century, armadi rosa, pareti gialle, pavimenti che sembrano in linoleum, grandi mobili per la radio e il televisore. «È perfetta» continua Palli. «È in cartone e racconta un’epoca. Era una novità: a quel tempo c’erano le case per le bambole tedesche, perfette, tutte in legno, super eleganti e per una classe sociale un po’ diversa. Quella di Barbie in cartone invece era per tutti, più accessibile». Dal canto suo, Nika Zupanc ha un debole per la Barbie Dreamhouse del 2021, quella che rivisita un Razionalismo elegante e lineare. «Mi piace perché è una scenografia più che un’architettura, rappresenta la dimensione pop di Barbie senza essere eccessivamente femminile».

Anche Mariana D’Amico da piccola giocava con la casa di Barbie, e forse proprio allora ha capito che sarebbe diventa un’agente immobiliare di successo. «Quella casetta era al centro, attorno creavo altri mondi perché non mi bastava lo spazio. Da grande ho ritrovato il riflesso della Barbie Dreamhouse nelle ville in cui ho vissuto a Malibu, soprattutto in quelle fronte oceano che si sviluppano in verticale, a più livelli». Elena Salmistraro è per la semplicità: la sua casa di Barbie preferita è del 1979, una dimora dalla forma triangolare detta «A-Frame» (foto al centro) che si avvicina all’idea di un’abitazione vera, lineare, accogliente, colorata e con qualche mobile di design. «Le differenze tra me e Barbie sono tantissime» afferma Salmistraro. «Lei è schematica, ordinata, indossa i tacchi e ostenta la sua femminilità con oggetti e colori che probabilmente io non utilizzerei mai. Io sono disordinata, non amo gli schemi e le mie dimore assomigliano più a laboratori in continua mutazione. In fondo, la Dreamhouse non è nient’altro che la perfetta trasposizione tra le pareti di un carattere, di un’essenza, di una personalità. Da questo punto di vista, è perfetta per Barbie, ma lo è solo per lei e per nessun altro». E allora, come sarebbe la sua Barbie Dreamhouse ideale? «Più che altro dovrebbe essere la Elena Dreamhouse. Un posto pieno di cose che mi piacciono e mi appartengono, i miei ricordi, i miei affetti, i miei colori, la mia vita».

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