Djokovic e la “maledizione” dei papà nel tennis
Essere diventato padre può penalizzare i risultati del numero uno al mondo? La risposta dello psicologo sportivo Salvo Russo
Per i comuni mortali diventare papà vuol dire l’emozione più grande di un vita intera, ma anche “pianti, cacche e pannolini”. Per i fenomeni milionari del tennis mondiale, più la prima che la seconda. Eppure dal qualche tempo nel circuito ATP ha iniziato a farsi spazio l’idea che esista una sorta maledizione secondo la quale chi diventa padre – vuoi lo stress della nascita, i pianti notturni o quel senso di appagamento che ti dice che da oggi vincere non è la cosa più importante – è soggetto a un calo netto delle sue prestazioni.
L’ultimo giocatore che potrebbe patire la “maledizione dei neo papà” è il numero 1 al mondo Novak Djokovic, che a poche settimane di distanza dalla nascita del suo primogenito Stefan ha già vinto, anzi dominato, il Master 1000 di Parigi senza perdere nemmeno un set, ma che ai prossimi Australian Open è atteso alla prova del nove.
Negli ultimi 25 anni infatti sono stati solo nove i giocatori in grado di vincere un torneo dello Slam dopo la paternità. Tra questi c’è anche Roger Federer, che però dopo la nascita delle sue gemelle ha iniziato una leggera ma costante parabola discendente in termini di risultati (se non altro in rapporto alle medie a cui ci aveva abituati) culminata con il suo peggior anno tennistico, il 2011. “Possono esserci dei casi in cui il raggiungimento di un traguardo di vita, come è certamente la paternità, genera dell’appagamento e quindi un’assenza di stimoli – spiega Salvo Russo, psicologo sportivo specializzato nella “cura” mentale degli atleti –, molto dipende dal singolo individuo, che dopo la nascita del figlio può sedersi, sentirsi sazio rispetto agli obiettivi da raggiungere, o al contrario trovare nuove motivazioni”.
In effetti lo svizzero Stanislas Wavrinka è riuscito a conquistare il suoi unico titolo dello Slam, l’Australian Open del 2014 , solo dopo essere diventato papà, e in generale altri giocatori come Boris Becker o Andre Agassi, hanno vissuto, dopo la nascita dei loro rispettivi figli, una sorta di seconda giovinezza con nuove e rinnovate motivazioni dovute forse al voler dedicare una vittoria alla loro prole. Eppure la cosa non è mai riuscita, per esempio, a un fenomeno del calibro di John McEnroe – visto recentemente a Milano –, che non ha ha mai vinto un titolo dello Slam davanti al proprio bimbo.
“Dal punto di vista fisico la paternità non lascia particolari strascichi, anzi io la vedo più che altro come un fattore positivo per gli atleti– continua Russo –,in questo senso vorrei anche sfatare la falsa credenza secondo cui il sesso danneggerebbe le prestazioni sportive. Poi è ovvio che la stanchezza fisica può subentrare se devi svegliarti di notte per scaldare il biberon a tuo figlio, ma non credo sia il caso di questi campioni..”.
E sì, viene difficile pensare che un paperone come Djokovic, che nella sua carriera ha guadagnato qualcosa come 66 milioni di dollari (solo di montepremi) e che si trova alla posizione numero 17 della classifica degli sportivi più pagati al mondo, debba preoccuparsi e occuparsi delle levatacce notturne. Il serbo, così come Federer, può anche permettersi di viaggiare su un aereo privato in modo da poter portare con sé un nutrito staff composto da allenatori, un cuoco e una tata per il bambino.
“L’unica incognita è rappresentata proprio dal modo in cui ognuno di noi diventa padre, che in questo caso è un tennista, da che tipo di educazione ha avuto e da come concepisce l’idea di famiglia – conclude lo psicologo –. C’è chi vive la paternità come una gioia, ma anche chi arriva quasi ad odiare la voce del figlio. Sta ad ogni singolo giocatore riuscire a sfruttare, dal punto di vista emotivo, questo tipo di evento per diventare ancora più forte”. Insomma, ora spetterà a Djokovic saper dimostrare (di nuovo) di essere un numero uno, anche come papà.