Elena Santoro: Reality Texture e Realtà aumentata nella fotografia
Sin dagli inizi della sua investigazione, nei primi anni del nuovo secolo, Elena Santoro si è puntualmente impegnata a riflettere sulla fotografia, compulsando con costante piglio analitico e anche emotivo, i fenomeni più significativi della sua storia.Su alcuni punti ha poi insistito, allo scopo di mettere a fuoco un suo linguaggio e una sua idea della fotografia che, in ogni caso, è stata ed è caratterizzata dalla ricerca come spinta naturale: un’attenzione decisa agli aspetti tecnici, tecnologici e, non meno, estetici e linguistici.
Reality Texture: il processing e il tuffo in un digitale ibrido
Con le Reality Texture per la prima volta Elena Santoro,partendo da una foto digitale (che usa alternativamente a quella analogica da cui peraltro è partita) si avvale, per la sua ricerca, della Realtà Aumentata. Ad essa che, come si sa, è basata sull’incontro fra realtà naturale/fisica e realtà virtuale, dà un contributo inedito, avendola elaborata bidimensionalmente.
A questo proposito, il critico d'arte e filosofo Carmelo Strano, ha sottolineato una condizione ibrida in rapporto alla canonica Realtà Aumentata e ha dichiarato: " Ognuna di queste opere è un dittico. Un dittico verticale. La parte superiore consiste in una foto “realistica” che gioca il ruolo della realtà fisica (si potrebbe dire in seconda, mediata dallo scatto fotografico) che si combina con quella virtuale che si dipana nella parte inferiore del dittico. “E c’è forse persino dell’ironia in questa realtà fisica alla seconda, perché essa, oltre che come valore dialettico al registro inferiore, anche come civetteria didascalica, proprio come ironia nella ricerca”.
Per elaborare la sua Reality Texture e nella tessitura di Realtà aumentata (che è nel registro inferiore del dittico) Elena Santoro ha scelto quindi uno dei tanti scatti di “curiosità” fatti nel corso di una manifestazione di piazza a Monza. Le persone sono colte di spalle quale condizione di anonimato di cui la fotografa sentiva il bisogno in rapporto alla sua ricerca fotografica.
Il filosofo Andrea Pintotti, dopo avere ricordato che questo tipo di rappresentazione può riportare ai vasi greci o ai tramonti e mari di ghiaccio dipinti da Caspar David Friedrich, con figure presentate di spalle, ha precisato: “Sono figure dialettiche perché da un lato ti danno le spalle (atteggiamento che respinge), dall’altro quasi ti invitano a seguirle come per guardare il mondo al loro posto. Una sorta di anti-selfie. Tanto il selfie è una tipologia di immagine pervasiva nella nostra cultura visuale – che predilige la frontalità, la forma simbolica della frontalità - quanto qui c’è esattamente il contrario: non abbiamo i tre quarti, non abbiamo il profilo, non abbiamo il frontale”.
La Realtà aumentata e la bidimensionalità
Elena Santoro risolve audacemente la Realtà Aumentata con piena bidimensionalità supportata d’algoritmo piegato alle sue idee in progress. Ne scaturisce un ibrido fortemente deviante. Infatti, esso è strutturato o con spazialità “trouvée” o con voluti valori volumetrici forti in espressività e in resa compositiva.
Elementi espressivi che sarebbero piaciuti molto a Bernard Berenson, il teorico dei “valori tattili”.
In queste opere fotografiche Elena Santoro non ha trascurato la tensione (riscontrabile nelle precedenti fasi di ricerca) a coagulare esiti estetici e formali tra l’attenzione a vari fenomeni evolutivi della fotografia e l’interesse a mettere a fuoco un proprio codice linguistico e una propria estetica della fotografia. Lo rileva Gérard-Georges Lemaire, nel suo saggio introduttivo alla recente monografia (“Elena Santoro/Reality Texture”, una coedizione italo-australiana Fyinpaper e Innerself, Milano-Adelaide).
Il critico francese Gérard-Georges Lemaire, sottolinea il “rifiuto dell'artista di manipolare le regole dell’arte, per quanto moderniste possano essere, lei rappresenta una rivolta contro il già visto e il troppo visto e anche un modo per evitare di regredire nel territorio del museo che è in ognuno di noi (…) va anche oltre, lei vuole essere fuori dal terreno conosciuto e ha cominciato a definire i limiti di una nuova disposizione delle ragioni (o insensatezze) dell’attività estetica. Non c’è più bruttezza così come non c’è più bellezza, qualunque sia il loro significato”.
Roberto Diodato, nell’analizzare la Realtà Aumentata nelle opere di Elena Santoro, fra le varie cose rilevate, ha detto : “Per usare un termine della filosofia che a me piace molto, della filosofia classica della grande tradizione metafisica, nel lavoro di Elena Santoro ho trovato la haecceitas, il punctum, quello che conta, la questità. E dove l’ho trovata, la haecceitas?
Nell’ombrello nero che si ripete e che consente (disarticolato, riprodotto, rifatto attraverso il movimento caotico di cui ho detto e controllato in modo magistrale) questa messa in scena del caos sotto il controllo di una tecnica raffinata che disarticola i punti prospettici e compone secondo modalità inedite… Ma mi interessa parlare di questo modo di incontrare un evento impersonale che disloca la soggettività dello sguardo artistico in una sorta di indifferenza. Ma in questa indifferenza si dà un punctum, la puntura, ciò che in qualche modo ferisce lo sguardo. E se non c’è questo non c’è arte nella fotografia. In qualche modo nell’evento qualcosa ferisce lo sguardo. In questo caso si trova in questo imprevisto inconsueto in una giornata di sole: ombrello nero aperto. Ma è da questo che lo sguardo è attirato, almeno lo sguardo di una persona sensibile. Lei, da artista, l’ha visto. Non dovrebbe esserci quest’ombrello in una giornata di sole. Mi fermo, ma da questo potrei partire verso la relazione tra le dimensioni trascendentali dell’esperienza, che son interne allo spazio e al tempo; sono - diciamo così - l’essere e il nulla, il negativo e il positivo, la vita e la morte. Ciò che accade veramente nell’esperienza dell’essere umano, partendo da quest’ombrello nero.
Le opere di Elena Santoro sono in permanenza alla Casa della Cultura di Milano. Circostanza molto interessante per coloro che non conoscono questa forma d'arte.