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Elogio della parolaccia

Elogio della parolaccia

La scienza sdogana il turpiloquio. A quanto pare, servirebbe per resistere più a lungo il dolore

Secondo uno “studio” (le virgolette sono d’obbligo) della Keele University (UK) dire parolacce ha un effetto analgesico. Sembra che la cosa sia collegata all’autostima (?!?) e alla sicurezza interiore (?!?).

L’esperimento consisteva nel far mettere a 64 studenti una mano nell’acqua gelata e tenercela il più a lungo possibile ripetendo parolacce a scelta durante l’operazione.

Poi rifarlo, descrivendo un tavolo con parole normali.

Risultato del test: insulti e volgarità varie hanno aiutato le cavie umane a tenere la mano al freddo per un periodo più lungo rispetto ai termini “normali”.

C’è quindi un nesso tra resistenza al dolore e parolacce?

Secondo i “ricercatori” (le virgolette sono d’obbligo) la risposta è sì, anche se non saprebbero ancora spiegare in che modo. Potrebbe essere legato all’aumento dell’aggressività nel fomento del turpiloquio, che stimolando l’adrenalina fa sentire meno il dolore, dicono.

Non stupisce che, quando si soffre per qualche ragione, non solo fisica, anche per offese, o soprusi, o conflitti, si sia spinti verso un linguaggio più colorito, che funga da formula per esorcizzare, e quindi allontanare da noi, la fonte del dolore in questione.

Non sono da meno le urla quando si colpisce l’avversario in diverse discipline di arti marziali, che non servono solo a segnalare all’arbitro il colpo andato a segno, o a intimorire il rivale, ma svolgono anche la funzione di esaltazione dei gridi di guerra delle tribù, per sentirsi più impavidi e sopportare sforzi e dolori fino alla fine del conflitto.

Le parolacce, certo, hanno una sfumatura più popolare, sono convenzioni e tabù allo stesso tempo, parole magiche, adatte a integrarsi in determinati contesti sociali, inadatte ad altri, comunque parole non neutre, ma cariche di significato.

Non può stupire che di fronte al dolore si sia portati a imprecare, e che questo imprecare ci aiuti a non pensare al dolore, a spostare la nostra attenzione su un altro piano e aumentare la rabbia diminuendo la nostra sensibilità.

Stupisce che i ricercatori siano sempre più fantasiosi nel cercare pubblicità per le loro ricerche, spesso inutili, o banalmente folli, tanto più che coinvolgono 64 (64!) studenti, non esattamente un campione numericamente e socialmente rilevante perfino per provare l’ovvio, che non ha bisogno di essere provato.

Di fronte a certe ricerche insensate, e alle retoriche baggianate prodotte da uomini di scienza (si suppone che siano pagati per far gridare volgarità ai loro adepti con una mano nell’acqua, un’immagine agghiacciante) l’unica risposta sarebbe ripagarli con la loro stessa moneta e fargli scoprire un nuovo legame, magari argomento per una nuova ricerca: quello tra il dire parolacce e il livello di sopportazione delle scemenze della pseudoscienza.

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