Troppo rumore per una pesca e uno spot
La Rubrica - Lessico Familiare
E brava Esselunga.
Il coraggioso spot/cortometraggio della ‘pesca’ inverte la retorica della famiglia felice e patinata del Mulino Bianco, dove tutti sono belli, sorridenti, armonici, squarciando il velo di ipocrisia che c’è dietro questi provocatori siparietti.
Ma quale famiglia ‘normale’ si siede a tavola di prima mattina già vestita, truccata, imbalsamata nel vestito della festa, radiosa, litigandosi bonariamente una confezione di brioches, scoppiando in fragorose risate e sguardi di ammiccamento fra madre e padre, con tanto di baci e abbracci?
E questa sarebbe una scena di quotidiana vita vissuta? Ma non scherziamo.
Esselunga ha voluto essere più realista del re e, con disarmante semplicità, ha fotografato la società attuale, dove i matrimoni non reggono alla prova degli anni, e dove i figli si ritrovano invischiati nelle separazioni dei loro genitori.
Non viviamo su Marte, le crisi coniugali sono in continua crescita e hanno raggiunto i livelli pre-covid, dopo una breve pausa dovuta solamente alla difficoltà di accedere ai Tribunali durante la pandemia.
Questa è l’Italia e questo è il mondo occidentale, che piaccia o no agli ideatori delle pubblicità.
Anche se la polemica dei media su questo spot non mi appassiona, è stato furbamente e volutamente studiato per imprimere nello spettatore un caleidoscopio di emozioni, senza volerlo necessariamente condurre a prendere una posizione, perché non c’è un messaggio politico o sociologico, solo la rappresentazione di una famiglia come tante, dove mamma e papà non stanno più insieme.
E’ una solo una breve storia, come quelle di Carosello con Calimero o l’omino coi baffi, dove l’apparente protagonista è una pesca, che segue i personaggi e passa di mano in mano, un po’ come la piuma fluttuante all’inizio del film Forrest Gump.
Il frutto racchiude l’innocente strategia di una bambina per fare riavvicinare i genitori, l’illusoria speranza che, attraverso una mezza bugia, si possa ricostituire quel legame che si è spezzato.
La pesca è il mezzo, il testimone olimpico, ma la vera protagonista è la bambina, con il suo mutismo forzato, forse segno degli strascichi di patimento per ciò che ha vissuto, un mutismo interrotto solo quando porge il suo transfert succoso al padre e gli dice “te la manda la mamma”.
E’ in quel momento che il padre sussulta di sorpresa, sorridendo imbarazzato e sbirciando verso la finestra dove immagina l’ex moglie che segue la scena a distanza, promettendo infine alla figlia che l’avrebbe chiamata per ringraziarla.
Ma insomma, dove sta la polemica di chi si è diviso sul web e sui giornali?
Ognuno ci veda quel vuole vedere.
Io leggo un riportare i bambini al centro di quell’isola che, per lo storico giurista Arturo Carlo Jemolo, può essere solo lambita dal mare del diritto: la famiglia.
La bambina dello spot sa, in cuor suo, che deve abituarsi a una nuova realtà di passaggi fra un genitore e l’altro, lo accetta, ma ugualmente prova a creare le basi per migliorare i rapporti fra mamma e papà, per far rigenerare quell’antica fiamma di cui parlava Virgilio nell’Eneide.
Nulla di più, nulla di meno.
Perché alla fine il messaggio è uno soltanto: ogni spesa è importante (sottinteso: fatela nei nostri supermercati).
In fondo anche l’omino coi baffi sponsorizzava le caffettiere Bialetti e Calimero, piccolo e nero, il detersivo Ava.
L’obiettivo quindi è unicamente commerciale.
E se poi la gente sgomita e si accapiglia fra favorevoli e contrari, beh, ancor meglio.
Questo perché, come disse Oscar Wilde per bocca del suo straordinario personaggio Dorian Grey: “C’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sé.”.