Alta gastronomia: formaggi mondiali
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Alta gastronomia: formaggi mondiali

Panorama è stato ai World Cheese Awards, il «campionato» dei migliori prodotti caseari del pianeta. A vincere, il portoghese Queijo de ovelha amanteigado, fatto con latte di pecora crudo: sotto la dura scorza rivela un cuore scioglievole. Ma nella top ten ci sono anche marchi italiani come il Blugins (affinato col gin), il Pecorino Bislacco (al rum e tabacco) e il Tatie, un erborinato lavorato con mascarpone e vermouth. Viaggio guidato tra i migliori da provare.

Il Paradiso e l’Inferno. L’impressione è quella di trovarsi in bilico tra estasi e dannazione quando alle 9 in punto si aprono le porte della Viseu Arena e in un grande capannone si rivelano davanti agli occhi del cronista di Panorama 4.786 formaggi provenienti da 47 diversi Paesi: succose bufale, pastosi emmental, pungenti erborinati di ogni tipo e provenienza, e poi forme e formette di parmigiano reggiano, brie, manchego, grana padano, gruyère, pecorini e caprini, formaggi a latte crudo, a crosta fiorita e lavata, e molto altro ancora. Per capire quale siano le eccellenze planetarie, basta andare a Viseu, in Portogallo, ai World Cheese Awards, la manifestazione internazionale itinerante che ogni anno viaggia in una località diversa ed elegge il formaggio più buono del mondo (assegnando anche bollini d’oro, argento e bronzo ai meritevoli di menzione).

Il vincitore di questa edizione appena conclusa è il «Queijo de ovelha amanteigado» portoghese di Quinto do Pomar, un formaggio di latte di pecora crudo e stagionato, che sotto la dura scorza rivela un cuore scioglievole. Italia sconfitta? Non proprio. Tra i 14 finalisti, ben tre arrivano dal Bel Paese: il «Pecorino Bislacco al rum e tabacco» dei F.lli Petrucci, nominato miglior formaggio italiano, il «Blugins» affinato con gin e le sue botaniche, e il «Tatie» della trevigiana Latteria Moro, un erborinato lavorato con mascarpone e vermouth. Espressione massima di una produzione che ha conquistato 349 bollini in totale: 19 Super Gold, 52 Gold, 127 Silver e 151 Bronze.

Il visitatore che si trova di fronte a tutto questo ben di Dio, divorato dall’acquolina e narcotizzato dai profumi, purtroppo non può assaggiare nulla: il compito è affidato a 240 giudici arrivati da 39 nazioni e selezionati tra tecnologi, classificatori, acquirenti, chef, produttori, rivenditori, professionisti del settore, e divisi in 104 squadre, ognuna incaricata di individuare in un tavolo di 45 formaggi un «supergold» da mandare alle «semifinali», oltre ad assegnare i bollini gold, silver e bronze di cui sopra. Da qui si arriva poi alla finalissima.

«Abbiamo inaugurato questo premio nel Regno Unito nel 1988 per supportare i piccoli produttori artigianali, schiacciati dalla grande distribuzione» spiega John Farrand, managing director dei World Cheese Awards, «e nel tempo è diventato sempre più internazionale. I formaggi ora arrivano da tutto il mondo e sempre più Paesi vogliono partecipare». La logistica del premio è complessa, perché i contendenti viaggiano anche da posti lontani come la Nuova Zelanda, e questo fa sì che i formaggi freschi siano un po’ sfavoriti rispetto a quelli stagionati, che forse restano anche più impressi al palato. «Nel punteggio per accedere alla finalissima il gusto è la parte più importante», spiega il giudice francese Philippe Dumain «perché, per esempio, se un formaggio è amaro vuol dire che ha dei problemi, ma contano anche l’aspetto visivo, che deve essere armonioso, la consistenza, che non deve rilevare difetti come ad esempio buchi, e quello olfattivo». Ogni arbitro con un certo grado di esperienza sa già cosa aspettarsi quando nella descrizione del formaggio in gara, rigorosamente anonimo, legge con quale latte è stato fatto (principalmente mucca, pecora, capra), per quanto tempo è stato stagionato, se e come è stato affinato per aggiungere note inedite al sapore del latte.

«La cosa più importante è proprio la qualità del latte, perché è da lì che si parte per fare una buona coagulazione e un ottimo formaggio» spiega Davide Fiori, altro giudice che di mestiere si occupa di stagionatura. Lo scopo è trovare un criterio oggettivo per giudicare concorrenti molto diversi tra loro e apparentemente bizzarri: quest’anno in gara c’erano formaggi creati con latte di cammello, cavallo e asino. «Essere giusti non è facile» aggiunge Dumain «perché mangiare vuol dire calarsi nella cultura di un Paese. Per esempio ricordo tempo fa, al medesimo premio, un formaggio tibetano rancido: all’inizio ho pensato fosse difettoso, ma poi ho realizzato che in quella cultura anche il burro è rancido e quindi andava valutato secondo parametri diversi da quelli europei».

Mentre in un padiglione si svolge la gara, in un altro molti espositori e distributori fanno assaggiare e vendono al pubblico alcuni formaggi in gara o premiati in passato. Ecco allora il banco britannico dove la fanno da padroni Stilton e Cheddar, o più in là altri grandi classici come il Parmigiano Reggiano (l’unico vincitore italiano in tante edizioni del premio), che arriva qui nelle sue diverse varietà, biologico, di montagna, di vacche rosse o bianche, halal e kosher, e ha un portavoce, Gabriele Arlotti: «Anni fa abbiamo creato la nazionale italiana del Parmigiano Reggiano per rappresentarlo ai concorsi internazionali: ora ne fanno parte 107 caseifici dei totali 303 che lo producono. Lo scopo è farlo conoscere nel mondo e tenere alto il prezzo, grazie ai riconoscimenti ottenuti. Da quella esperienza è nata anche la nazionale italiana formaggi, con 27 differenti prodotti, tra cui Grana Padano, Brenta, Asiago, Mozzarella che rappresentano la cultura casearia italiana».

La parte del leone qui la fanno i prodotti della penisola iberica, e in particolare i pecorini burrosi portoghesi, che si aprono dalla sommità come fosse un coperchio per scavarne l’interno col cucchiaino. Raccontano storie imprenditoriali di successo, come quella di Joana Garcia, che ha mollato il lavoro di avvocato per produrli nella regione dell’Alentejo, inventandosi formine monoporizione da 120 grammi difficili da produrre nel tentativo di bilanciare crosta resistente e cuore fondente, ma che hanno vinto premi e sono stati scelti dalla compagnia aerea portoghese Tap per i pasti sui propri aerei.

Tra un assaggio di un pecorino stagionato affinato in miele e origano e un Camembeso, cacio di capra in stile Camembert, colpiscono i formaggi giapponesi: al di là di molti cloni di formaggi italiani o francesi, ne emerge uno sorprendente, di capra ricoperto di cenere di bambù e uno di mucca affinato nella salsa di soia Tamari.

«Di recente abbiamo iniziato a sperimentare per la fermentazione del latte il Koji, ingrediente fondamentale per il sakè» spiega Aki Sagakami, che qui è l’ambasciatrice del formaggio del Sol Levante. n

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Francesco D'Errico