Templi del vino
Le «bottaie» e i tunnel dove invecchiano le grandi etichette sono diventati meta turistica e, in alcuni casi, autentici musei enoici. Viaggio nelle più maestose cattedrali dove degustare bianchi, rossi e bollicine
A Verona, sede della più grande fiera dedicata al vino italiano (Vinitaly), si è fatto il punto, in un recente convegno, sul progetto MuVin, primo Museo del Vino di livello internazionale, al pari di istituzioni quali la Cité du Vin a Bordeaux (Francia), WoW a Porto (Portogallo), Vivanco in Spagna. «A regime il museo veronese impiegherà circa 200 persone, una vera impresa culturale», ha detto Enrico Ghinato, consigliere d’amministrazione della fondazione. Il connubio vino-cultura non sorprende. Ciò che finisce in bottiglia è frutto di duro e sapiente lavoro umano che trasforma il paesaggio, ma conserva le tradizioni. Il vino in Italia (maggior produttore al mondo: 41 milioni di ettolitri stimati nel 2024) viene celebrato in luoghi speciali, grandi cantine o appunto musei che ne raccontano la storia e le virtù. Templi dove il vino-divinità risplende di luce propria, omaggiato da visitatori devoti, i quali possono assaggiarlo, berlo in abbinamento a cibi o farne scorta per continuare il rito di devozione a casa, con la famiglia e gli amici.
Bellavista è il nome di una collina da cui si vede il lago d’Iseo. Ma è anche, anzi soprattutto, il nome che identifica il Metodo Classico, le bollicine italiane, e ha «inventato» la vocazione vinicola di una terra lombarda: la Franciacorta, fazzoletto baciato da Dio dove sono molti i produttori di ottime bottiglie. Bellavista è il sogno diventato realtà di Vittorio Moretti, giovane 83enne, tuttora in campo, valido faro per per le figlie Francesca, Carmen e Valentina. L’armonia è il principio che ispira l’azienda, nelle collaborazioni culturali (per esempio con il Teatro alla Scala di Milano, con il Millesimato che ogni anno accompagna la prima di Sant’Ambrogio) e nell’accoglienza a Casa Bellavista, dove il buon bere infioretta l’immersione nelle magnifiche cantine, paradisi ipogei. L’azienda ha appena annunciato la «nuova era», ossia Alma Assemblage, trilogia firmata da Francesca Moretti e Richard Geoffrey, uomo di Champagne. Tre cuvée con base vendemmia 2021 che esaltano lo spirito dell’azienda. Anche la bottiglia si trasforma in opera d’arte, impreziosita da dettagli sulle tinte armoniose del marrone.
Ca’ del Bosco, brand della lombarda Franciacorta, dalla fondazione - fine anni 60, quando Annamaria Clementi Zanella acquistò casa e bosco in collina a Erbusco e suo figlio Maurizio, pur ragazzino, la convinse a piantar vigne - tratta l’oro dei grappoli come un’opera d’arte. Il marchio è tra i più apprezzati nel settore Metodo Classico. L’azienda ha messo a punto l’aspetto dell’accoglienza. Ci sono il Tunnel Vintage Collection; la Cupola dei Sensi con l’opera «Ludoscopio» di Paolo Scirpa; la scenografica Prestige Immersion, realizzata con oltre 33 mila bottiglie di Cuvée Prestige; le Barricaie storiche. Come in un magico sogno, tutto è immerso nei suoni, a cura del sound designer Riccardo Caspani. Ca’ del Bosco, di cui è presidente il fondatore Maurizio Zanella, fa parte del Gruppo Zignago, della famiglia Marzotto. Bisogna andare a Costigliole d’Asti, tra Langhe e Monferrato, per vivere l’oasi di Guido Martinetti e Federico Grom, ex proprietari di Grom Gelato (marchio ceduto). Mura Mura si chiama l’azienda, con relais di alta classe Le Marne, il ristorante Radici dove opera lo chef talentuoso Marco Massaia e naturalmente vini, tra cui il Romeo, rosso nato dall’assemblaggio dei quattro più importanti vitigni piemontesi. Martinetti, imprenditore con grani di poesia e spirito zen, sostiene che i suoi vini sono fatti di fantasia e rigore: concetti in apparenza contrastanti, ma ha ragione lui. Una visita alle cantine di Mura Mura (nella lingua del Madagascar significa «vai con calma»), immersi nei colori d’autunno, fa capire come uomo e natura siano indissolubili. Dice Martinetti: «Vieni ad ascoltare il tuo cuore, questo è il luogo delle persone straordinarie», e tutti siamo autorizzati a sentirci speciali. Vero museo del vino è quello di Lungarotti, in Umbria, a Torgiano (PG). Creato 50 anni fa da Maria Grazia e Giorgio Lungarotti - della nota azienda vinicola umbra -, non solo racconta la storia della vite e del vino negli ultimi cinque millenni, ma fa dialogare con le arti il nettare cantato dai poeti. Per il New York Times è il miglior museo enologico d’Italia.
Sono oltre tremila i manufatti, nelle 20 sale di Palazzo Graziani-Baglioni, tra reperti archeologici, contenitori vinari in ceramica di diverse età, incisioni e disegni da Mantegna a Picasso, che documentano la cultura del vino. Notevole il corredo vinario etrusco. Tesori che fanno dei musei Lungarotti - c’è anche quello dell’Olivo e dell’Olio - il volano per scoprire un’area ad alta vocazione enogastronomica. Con base al Tre Vaselle Resort & Spa, cinque stelle nello stesso palazzo seicentesco del Museo, l’enoturismo diventa molto piacevole. Da non trascurare il tocco di benessere Bagno di Bacco (immersione nel vino Sangiovese in vasca barrique), proposto al Tre Vaselle. Nel ristorante interno Le Melograne, con chef Salvatore Andrea Perretti, i vini prescelti saranno Lungarotti. Trattamenti con mosto d’uva di Barbera e Nebbiolo vengono praticati a Serralunga d’Alba, a Cascina Galarej, hotel di charme 4 stelle con vista sui vigneti delle Langhe. È una struttura del Villaggio Narrante, di cui fanno parte Guidoristorante e Osteria DisGuido (della famiglia Alciati). Filo conduttore il vino, il Barolo di Fontanafredda. Da visitare le cantine storiche dell’azienda vinicola all’avanguardia, fondata nell’Ottocento da Emanuele Alberto, figlio di Vittorio Emanuele II (primo re d’Italia) e della «bella Rosina». Inoltrarsi tra botti, bottiglie e antichi reperti vinicoli, permette di ripercorrere una storia esemplare: il figlio del re ragionava da socialista, il suo villaggio divenne un modello per il lavoro agricolo e l’emancipazione delle classi rurali. Siamo in Piemonte, sarebbe un delitto dimenticare il Museo del vino a Barolo, all’interno di castello Falletti, dalla storia millenaria, nelle cui cantine ha sede l’Enoteca Regionale del Barolo. Nel museo tornano alla memoria nomi sacri del Risorgimento: Camillo Benso conte di Cavour, Silvio Pellico, Carlo Alberto. La storia del vino si intreccia con quella, antica e recente, d’Italia. Bere un bicchiere non ci è mai parso così rispettoso dei valori della Patria.