​L'architetto Giorgio Donà
L'architetto Giorgio Donà
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Giorgio Donà: «E' sempre più fluido l’ambiente cucina»

Punto di interscambio, traiettoria delle vite di tutti i componenti della famiglia, luogo dove si ride, si mangia, si studia e lavora. E dove si dovrebbe stare ai fornelli, sempre più tecnologici, performanti , minimalisti e estetizzanti.

Un approccio da architetti, quello che contraddistingue Stefano Boeri e il suo team, non solo quando si tratta di riqualificare interi fabbricati o realizzare foreste urbane verticali, ma anche quando si tratta di design, nel comparto Interiors. L’approccio è di chi guarda prima di tutto alla funzione, alla gestualità, al rapporto che un oggetto crea con lo spazio che lo ospiterà. L’occasione, nel corso della 24ª edizione 2024 di Eurocucina, sono le collaborazioni con Smeg e con Aran, grazie alle quali lo studio indaga il complesso sistema della cucina, la tecnologia e i nuovi materiali. Giorgio Donà, Founding Partner & Director di Stefano Boeri Interiors, racconta di come e del perché lo spazio cucina stia rapidamente scalando la piramide gerarchica degli ambienti della casa moderna.

Cosa significa progettare cucine, e come è cambiato il modo di pensarle?

Faccio una piccola premessa. Lo Studio Boeri nasce come studio di progettazione architettonica. Siamo tutti architetti qui, e come tali approcciamo ogni progetto con l’occhio dell’architetto più che del designer. La differenza tra i due soggetti è sostanziale. Quando, ad esempio, disegniamo una cucina non vediamo solo l’oggetto in sé, ma prima di tutto l’interazione che esso ha nello spazio e ciò che l’oggetto genera sulle persone. Per noi il design è qualcosa che sperimentiamo tutti i giorni, fa parte delle nostre vite, va preso perciò molto sul serio. La cucina è un ambiente che diventa sempre più fluido, è passato dall’essere un ambiente di servizio, a dotazione del living, un tutt’uno con la zona giorno. La cucina per noi è un elemento di arredo, non più solo qualcosa di tecnico, ma che abbellisce gli spazi, che si fa guardare, che dà carattere. La cucina è sempre più protagonista del palinsesto domestico, una piazza, il crocevia del quotidiano, il luogo dove le famiglie si incontrano. È indubbiamente la protagonista della vita sociale della casa moderna.

È singolare pensare all’evoluzione di questo spazio nelle abitazioni, una volta concepito come ambiente di servizio, con un doppio ingresso che collegava direttamente ai luoghi della servitù, ed oggi diventato baricentro della casa moderna.

Facendo un breve elenco degli spazi di una casa, la cucina è il punto di interscambio dove si intensificano e convergono i flussi. Le traiettorie delle vite di tutti. Dove si concretizza il concetto di convivialità, dove si ride, si mangia, si beve un caffè in compagnia, si studia, si lavora, si stappa una bottiglia di vino mentre si prepara cena insieme o si gioca sul bancone. La cucina è anche quell’ambiente in cui si entra in contatto con gli elementi naturali più che altrove, e noi come progettisti diamo un peso diverso all’acqua, alla luce, all’aria, al calore, nel senso che diventano elementi essenziali per la vita in cucina, e per l’attività stessa della preparazione dei pasti. Per questo la tecnologia si è concentrata molto verso soluzioni più innovative e responsabili.

Come si traduce a livello progettuale il desiderio di convivialità?

È una domanda molto ampia e complessa. Ogni progetto ha la sua vita e le sue dinamiche. Faccio un esempio pratico per spiegarmi meglio. La cucina è un oggetto che racchiude un sistema. La complessità dell’oggetto cucina consente di partire da un modello predefinito per creare soluzioni sempre diverse, disegnate sulla persona, anche se il punto di partenza è un catalogo con pezzi predeterminati. Noi come studio amiamo avere la libertà di movimento all’interno di un sistema predefinito come la cucina, che ha le sue logiche e le sue funzioni, ma che è comunque sensibile ai cambiamenti e alle evoluzioni.

A guardarsi intorno, si direbbe che a vincere sia ancora il taglio minimalista tipicamente nordeuropeo. Vale lo stesso nel nostro paese, che ancora sogna le vecchie cucine opulente e rumorose delle nostre nonne?

Da italiani tendiamo a pensare che la cucina sia un fatto nostro, ne facciamo una questione di bandiera, e spesso dal punto di vista gastronomico abbiamo la convinzione e la presunzione di aver inventato tutto, o almeno di averlo perfezionato. Per noi italiani la cucina è convivialità, ed è questo fattore che per primo caratterizza il nostro modo di concepire tutto l’ambiente cucina, a prescindere dalla matrice di design che scegliamo. Come studio tendiamo ad avere uno stile molto pulito, lineare ed essenziale, e siamo molto abituati a guardare verso l’estero, senza però dimenticare chi sono i nostri fruitori e come si comportano.

Quindi anche per voi i canoni della pulizia estetica, della mimesi delle attrezzature, della sparizione delle dotazioni rappresentano la logica del domani?

È un filone che funziona, certamente, non si può negare. Ma citando proprio il progetto su cui stiamo lavorando con Smeg, vorrei dare un punto di vista diverso. Noi, come Stefano Boeri Interiors, abbiamo cercato di andare in controtendenza. Smeg ci ha contattati per lavorare su una collezione legata al mondo della cottura, nello specifico sui piani a induzione e sulle cappe di aspirazione. Pensando a queste due categorie, viene subito in mente qualcosa che va nascosto, integrato. Noi invece abbiamo studiato a fondo i valori e la storia del brand, e abbiamo voluto dare una nuova estetica, un nuovo carattere, capace di interagire e influenzare l’estetica della cucina, non di assecondarla, sparendo. Ci siamo immaginati un piano cottura non incassato, non a filo top, ma in spessore, quasi come fosse estruso, richiamando l’estetica delle vecchie cucine degli anni ’50-’60, ripensando ai vecchi modelli di Smeg, usando linee curve, morbide, linee estetiche che appartengono al marchio da sempre. Basti pensare alla mitica collezione FAB28 ancora oggi iconica. Forme un po’ inattese, inusuali pensando a un piano cottura, ma conformi con l’idea che abbiamo perseguito fin da subito, che è quella della tecnologia che arreda.

Ma tutta questa tecnologia è davvero necessaria?

Dal nostro punto di vista tutta questa tecnologia è sicuramente necessaria, perché l’evoluzione è fondamentale e crea l’opportunità per essere più responsabili nei confronti delle risorse. Se determinate cotture sono meno energivore, tenderemo a preferirle e a integrarle nelle cucine del futuro. Il grande sforzo, richiesto a chi progetta la tecnologia, è che resti comprensibile anche dai fruitori meno avvezzi.

È diverso progettare cucine indoor e outdoor?

A livello di approccio progettuale ragioniamo allo stesso modo. Per noi non c’è differenza, se non nei requisiti tecnici, che per l’outdoor sono più stringenti. La tecnologia dei materiali in questo senso ci ha aiutato tantissimo. Fino a non molto tempo fa l’integrazione con l’architettura era difficile, gli spessori erano maggiori, non si riusciva ad ottenere linee estetiche pulite, basta pensare ai progressi nel campo dell’illuminazione, delle ottiche e dei chip.

Utilizzare finiture che ricreano effetti materici quanto più rispondenti alle esigenze estetiche naturali, è un artificio accettabile? Un compromesso inevitabile?

La parola “compromesso” non ci appartiene molto. Se si parla di finiture naturali, devono essere quelle a parlare e null’altro. D’altro canto, però, l’uso di prodotti artificiali può limitare l’impatto dell’uomo sull’ambiente, sulle foreste ad esempio, riducendo l’uso del legno. Forse questo è uno spunto per iniziare a ragionare non sul prodotto naturale o su quello artificiale, ma sull’uso puntuale e critico dei giusti materiali per le giuste funzioni. In generale, posso dire che non amiamo la finzione, piuttosto preferiamo il dialogo.

Acciaio inox, e cucine professionali. La tv condiziona le scelte di chi progetta e di chi sceglie una cucina?

Tendo a guardare più la gestualità che l’estetica, merito/colpa della formazione da architetto, che mi fa guardare più alla funzione. Amo l’acciaio come finitura che può essere lavorata e trattata in mille variabili. Partiamo sempre da un’attenta analisi di quelli che sono gli spazi cucina professionali, che sono punti di riferimento in quanto portano un oggetto, un materiale, un piano, un elettrodomestico al livello di utilizzo perfetto: la giusta resistenza, il giusto grado di pulizia, l’ergonomia, le prestazioni. Dalla cucina professionale si può attingere la funzionalità di ogni pezzo, e riportarla all’uso quotidiano.

E la cucina con l’albero di limoni di Aran?

Oasi è una grande isola con al centro un albero di limoni. Mette chiaramente la natura al centro del quotidiano. Il progetto nasce con l’idea di proporre un’idea di spazio attraverso un prodotto. È il simbolo di come la natura possa essere integrata in un arredo, non solo come oggetto ornamentale, ma come qualcosa che interagisce con il benessere psicofisico delle persone. C’è una forte simbologia dietro questo progetto, perché crea un contatto tra l’elemento naturale, quello tecnologico e quello umano.

Se da un lato c’è sempre più attenzione nei confronti della cucina, dall’altro si cucina sempre meno.

I dati dicono questo, ed è lo stesso discorso che vale per la tecnologia. Tutti ricercano l’ultimo modello in circolazione, ma pochi sanno sfruttarne la capacità. La risposta a questo paradosso è che bisogna trovare il giusto equilibrio tra tecnologia e design. Bisogna sapere cosa scegliere, cosa ci serve. La tecnologia, se arreda, anche quando viene usata al 5 per cento delle proprie potenzialità, mantiene comunque la sua funzion estetica e tale aspetto sopperisce alla mancanza d’uso, senza metterne in discussione l’utilità.

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Nadia Afragola