È il World Pizza Day. Per rispettarla dobbiamo difenderla, anche dalle esagerazioni
«Pizza Day? Bene, ma attenti alle derive» dice Massimiliano Prete, maestro lievitista che ha portato per la prima volta il grano evolutivo a Torino. A luglio il primo raccolto
Il 17 gennaio è il World Pizza day, giorno in cui si celebra uno dei simboli della cultura e della cucina italiana in tutto il mondo. L’idea è nata esattamente 40 anni fa, era il 1984 ovviamente da un gruppo di pizzaioli napoletani. Tante cose sono cambiate da allora. L’approccio che si ha alle farine, alle materie prime che la rifiniscono.
All’epoca non si parlava di creatività, di topping, di dialogo con gli chef, di impasti, di pizza gastronomica, contemporanea. Oggi siamo leggermente alla deriva. Tutto, purché se ne parli. E non entreremo nel dettaglio, perché non serve innescare quei meccanismi di odio per un rispetto negato alla Pizza del tal pizzaiolo di cui nessuno domani ricorderà il nome. Molto più semplicemente abbiamo chiesto ad un maestro lievitista il senso di questa giornata e cosa vuol dire per lui celebrare il Pizza Day. Si tratta di Massimiliano Prete, studioso e docente presso l'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, oltre che anima di Sesto Gusto, Ambasciatore della Pizza Slowfood e membro dell'Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, oggi più che mai alla ricerca della leggerezza.
E sì, è anche un pizzaiolo: “Serve questa giornata, serve per ricordare che la pizza, dopo il riso, è la cosa più mangiata al mondo. È una tradizione italiana, è il nostro patrimonio. Dal 2010 è riconosciuta come Specialità tradizionale garantita (STG) dell'Unione Europea e dal 2017 è stata dichiarata dall'UNESCO come patrimonio immateriale dell'umanità. Dovremmo essere più bravi a tutelarla, non ci rendiamo conto dell’importanza di ciò che abbiamo per le mani”.
Massimiliano Prete
Sotto gli occhi di tutti la deriva, proprio nel giorno della sua commemorazione.
«Quel modo lì di rapportarsi alla pizza c’è sempre stato e ci sarà sempre. In quel caso parliamo di mode che hanno un inizio e una fine, lontane da tradizione ed evoluzione. Sono come le stelle filanti, destinate a cadere».
Quindi non troveremo nessuna proposta del giorno da Sestogusto a Torino?
«No. Non ho fatto nulla di particolare tranne che il nostro lavoro di sempre. Preferiamo concentrarci sulla sostanza, focalizzandoci sul gusto, sulla leggerezza, sulle strutture: i pilastri del nostro concetto gastronomico».
Concetto gastronomico?
«Certo. Dietro le nostre pizze c’è tanto studio e ricerca. Abbiamo preso in prestito idee e approcci che di solito sono puro appannaggio del lavoro di un cuoco. Li applichiamo ai nostri lievitati ed è lì che diventano un piatto. La “pizza”, come concetto, dovremmo smettere di considerarla in modo riduttivo, poi chiaramente le sfumature possono essere tante. Per natura sviluppiamo concetti gastronomici anche dietro quella che ai tuoi occhi può sembrare una semplice Margherita».
In che senso?
«Sono attento alla mia filiera, la controllo da vicino, spesso ne faccio parte come nel caso della produzione del grano evolutivo. Dietro c’è un approccio sostenibile. In Sicilia abbiamo il nostro grano e quest’anno abbiamo coltivato due ettari di terreno tra Saluzzo e Savigliano, non lontano da Torino. È la prima volta che questo “miscuglio evolutivo” arriva in Piemonte. Faremo una festa della raccolta del grano a luglio, in Sicilia anticipa a giugno, vi inviteremo, vedrete da vicino di cosa sto parlando».
Tutto questo lo fa da solo?
«Non si è mai soli quando si vogliono fare grandi cose. Il progetto del grano nasce nel momento in cui ho avuto la fortuna di conoscere Salvatore Ceccarelli, professore di Genetica Agraria all'Istituto di Miglioramento Genetico, Università di Perugia. Eravamo al Mulino Quaglia, uno dei primi a sposare il suo progetto. Per 30 anni Salvatore ha condotto ricerche presso ICARDA, il Centro Internazionale per la ricerca agricola in ambienti asciutti, ad Aleppo, in Siria. Ha lavorato in Francia e poi in India. Mi ha parlato della sua sperimentazione intorno ai sistemi di coltivazione del grano».
Ci spieghi meglio.
«Semina lo stesso campo con varietà di grano differenti, per cui al momento del raccolto ti ritroverai un campo con spighe alte, basse, medie, dorate, nere, rosse. Un terreno capace di mettere insieme semi di grano diversi, senza essere trattato chimicamente, a prescindere dal tipo di terreno e dalle condizioni climatiche. Una di quelle tipologie di grano prenderà il sopravvento, e il raccolto, anno dopo anno, sarà sempre diverso perché cambieranno le condizioni, ecco perché si parla di grano evolutivo. In Sicilia lavoro con Giuseppe Lirosi, che ha riscoperto i grani antichi. In Piemonte al mio fianco c’è Graziano Giacosa».
Si parla anche di sostenibilità contadina, quindi?
«Certo. Seminiamo e paghiamo subito i nostri contadini. Questo gli permette di vendere il loro grano ad un prezzo dignitoso. Il nostro dialogo con gli interpreti del territorio e della cucina è costante. È così che nasce la quattro mani che il 27 febbraio mi vedrà dividere la cucina con Enrico Crippa (chef del ristorante Piazza Duomo ad Alba, tre Stelle Michelin ndr)».
La sua costante ricerca sugli impasti dove l’ha portata?
«Non ha mai fine la ricerca, anzi stiamo lavorando all’imminente apertura di un laboratorio di ricerca e sperimentazione a Saluzzo, in provincia di Cuneo, di 700 mq. Sarà all’avanguardia, e la tecnologia sarà al nostro fianco. Non sarò da solo, con me ci sarà il mio allievo, Luca Pasca.
Dedicheremo parte del nostro tempo proprio alla ricerca di nuove strade e nuovi modi per interpretare al meglio il meraviglioso mondo dei lievitati».
Nessun lancio per il Pizza Day ma una signature ce la concede?
«Certo, dopo tutto questo parlare vi preparerei la base croccante realizzata con grano evolutivo, pomodorino di collina del Vesuvio di Marianna D'Auria, ricotta di capra Caseificio Valvaraita, pesto di basilico e pistacchio».