Il mondo in una tazzina
Un italiano su sette lo considera uno dei piaceri della vita e nove italiani su dieci dicono di consumarne almeno una tazzina ogni giorno. Parliamo del caffè, quello «stimolante liquido convenzionale» che il mondo celebra ogni primo ottobre.
Ed è proprio allo studio di questa celebre bevanda che si dedica l’Università del Caffè, polo d’eccellenza fondato a Trieste nel 1999 dal brand illycaffè per diffondere la cultura del caffè di qualità attraverso la formazione, la ricerca e l’innovazione. Con sedi in tutto il mondo, questo istituto internazionale di conoscenza offre attività formative e di divulgazione a professionisti e appassionati. Panorama.it ha incontrato il suo direttore, Moreno Faina.
Moreno Faina
Cosa si “nasconde” dentro una tazzina di caffè?
Un mondo e un paradosso. In ogni tazzina c’è un percorso di 15/16 mesi che inizia a 10.000 chilometri di distanza da noi. Parliamo di una filiera molto lunga, che tendenzialmente la gente non conosce. Inizia tutto dalla fioritura. Dopo nove mesi, una vera e propria gestazione, il fiore si trasforma in una ciliegia. Ognuno di questi frutti contiene solo due dei 50 chicchi che andranno a comporre la nostra tazzina. Dal momento della trasformazione in ciliegia, il produttore ha dalle due alle tre settimane per estrarre i chicchi, stabilizzarli e raccoglierli in sacchi. E non è ancora finita. I chicchi vanno poi sottoposti ad analisi chimiche, modificati e tostati. E alla fine, il barista ha solo 30 secondi per esaltare questo incredibile lavoro o distruggerlo. Capite quanto può pesare questo compito? Anche a casa le cose non cambiano: in pochi minuti si può esaltare o rovinare quello che è successo in tutta la filiera del caffè.
Oggi si celebra la «Giornata mondiale del caffè», qual è il segreto del successo di questa bevanda?
In quanto italiani, ma lo stesso discorso vale per numerosi paesi al mondo, siamo culturalmente molto legati al caffè. Il caffè è un vero e proprio rito che viene tramandato da generazioni. È qualcosa di connaturato al nostro essere e poi non dimentichiamo che il caffè ha un effetto stimolante, che lo rende capace di darci quello sprint in più necessario per affrontare una lunga giornata. Come mi piace dire: un espresso è nero ma schiarisce le idee.
L’Università del Caffè è un polo d’eccellenza su scala internazionale. Qual è la vostra storia?
Il progetto dell’università nasce più di 20 anni fa quando parlare di «studio del caffè» era davvero pionieristico. Inizialmente il nostro istituto parlava ai professionisti con l’obiettivo di aumentare e diffondere la cultura del caffè. Tra gli anni Novanta e Duemila è nato un progetto didattico parallelo in Brasile, questa volta pensato per i produttori. Attraverso le nostre 26 filiali possiamo dire di aver formato quasi 320.000 persone.
Oltre alla formazione, fate da anni opera di divulgazione. Qual è l’obiettivo che volete raggiungere?
La nostra opera di divulgazione cha un respiro molto ampio. Il nostro obiettivo è duplice: aumentare la cultura e la curiosità attorno alla bevanda. Quello che vogliamo è aiutare chi si avvicina alla nostra università a capire la qualità. Per fare un esempio concreto, il nostro lavoro è molto simile a quello che viene fatto con il vino o con l’olio.
L’Università del Caffè offre così diversi corsi in presenza e online pensati per scoprire il mondo che si cela dietro una tazzina. Esistono corsi dedicati a un’esplorazione olfattiva della bevanda, o allo studio dei suoi colori, ma anche momenti dedicati all’utilizzo del caffè come ingrediente di cucina o allo studio delle diverse tecniche di preparazione.
Qual è uno degli aspetti che più colpisce gli appassionati che seguono i vostri corsi?
Sicuramente la complessità e la durata della filiera del caffè. Il consumatore tende poi a stupirsi della consapevolezza della degustazione. Quando si iniziano a conoscere gli aromi, e ne esistono circa 1000, si inizia a consumare il caffè in maniera più consapevole. Scoprendone le sfumature, le persone diventano più attente e capiscono che bisogna prendersi del tempo anche quando si beve una tazzina al bar o in ufficio, per dare modo ai nostri sensi di reagire.
Qual è uno degli errori da correggere quando si beve un caffè?
L’acqua andrebbe bevuta prima, mai dopo. La cifra di un buon caffè è quel gusto che resta nella nostra bocca per circa 15 minuti dopo aver bevuto la nostra tazzina.
Vi state fortemente impegnando in un percorso di sostenibilità. Quali sono i progetti che state portando avanti?
Stiamo conducendo una serie di attività nei paesi produttori e all’interno della nostra azienda, partendo dalla sostenibilità sociale. Combattiamo il lavoro minorile finanziando scuole per avvicinarci ai produttori di caffè e sostenerli nel loro quotidiano. C’è poi il capitolo dedicato alla sostenibilità ambientale, fondamentale per noi in quanto BCorp. Il nostro obiettivo è creare un’economia circolare. Ridurre e riutilizzare. E per farlo è importante capire tutte le variabili della filiera, specialmente nelle trasformazioni.
Sfatiamo un mito. L’espresso è davvero il “vero” caffè, come sostengono gli italiani?
(Ride). L’espresso caratterizza da sempre il nostro paese ed è vero che la sua preparazione è una delle più complesse e delicate. Credo però che diversi tipi di caffè si adattino a diversi momenti della giornata e a diversi bisogni. Ad esempio, io non riesco a iniziare la mia giornata senza bere un espresso, ma durante la giornata mi piace bere altri tipi di caffè. Il cold brew, l’estratto a freddo, rappresenta un’alternativa interessante da provare almeno una volta. Ogni metodologia offre un composto aromatico nuovo, e credo sia importante ampliare i propri orizzonti. Dopotutto è quello che cerchiamo di fare ogni giorno alla nostra università.