Giorno della Memoria: i campioni ebrei dello sport perseguitati dal nazismo
Tanti atleti dovettero fuggire dalla Germania, diversi trovarono la morte nei campi di concentramento: ecco le loro storie
Erano campioni che avevano gareggiato e conquistato medaglie per la Germania, ma come tutti gli altri ebrei vennero travolti dalla furia nazista: qualcuno (approfittando dei contatti internazionali sviluppati proprio grazie allo sport) riuscì a fuggire prima che fosse troppo tardi, qualcun altro si mise ugualmente in salvo ma ebbe la vita definitivamente rovinata al ricordo della tragedia subita dal suo popolo, tanti altri trovarono la morte nei campi di concentramento, a loro volta vittime innocenti della Shoah.
Nella Giornata della Memoria, non perché fossero "più importanti" degli altri, ma per rendere omaggio alle loro imprese di sportivi, è giusto ricordare anche loro proprio come fatto in passato da una toccante mostra (dove sono state scattate le immagini che vedete nelle schede successive) organizzata in passato proprio all'interno dell'Olympiastadion di Berlino, teatro di quelle Olimpiadi del 1936 con cui Hitler voleva celebrare quel suo folle ideale che avrebbe portato solo distruzione e morte da lì a pochi anni.
Per conoscere le storie di questi atleti ebrei, uomini e donne, sfogliate la lista...
Gottfried Fuchs (calcio)
P. Corio/Panorama.itCampione di Germania nel 1910 con il Karlsruher, colleziona sei presenze con la Nazionale tedesca tra il 1911 e il 1913, stabilendo un record destinato poi a durare per quasi un secolo: nel 1912 realizza infatti ben 10 goal in un 16-0 sulla Russia ai Giochi olimpici di Stoccolma. Ritiratosi dal calcio nel 1920, vive poi a Berlino fino al 1937, anno in cui con la famiglia cerca rifugio dalla persecuzione nazista in Francia. Quindi, dopo l'invasione del Belgio nel 1939, Fuchs scappa prima in Inghilterra e quindi in Canada, dove muore a 83 anni nel 1972. Sepp Herberger, che fu ct della Germania dal 1936 al 1964 vincendo il Mondiale del 1954, ha definito una volta Fuchs "il Franz Beckenbauer della sua giovinezza".
Nelly Neppach (tennis)
P. Corio/Panorama.itNata nel 1891 e campionessa precoce, nei primi anni Venti è un'icona non solo sportiva, protagonista della cronaca mondana dell'epoca. All'inizio del 1926, subito dopo aver vinto i Campionati di Germania, inizia però il suo calvario: prendendo a pretesto una partecipazione non autorizzata a un torneo in Francia, la Federazione le infligge una sorta di squalifica a vita. In realtà, nella lettera inviata a tutti i Circoli di tennis del Paese per diffidarli dal far giocare la Neppach sui loro campi ci sono già velati riferimenti anti-semiti, oltre all'accusa di essere diventata famosa solo perché amica di scrittori e giornalisti. Nell'estate dello stesso anno le viene però poi permesso di tornare a giocare, anche se di fatto non riesce più a tornare ai livelli precedenti quella penalizzante esperienza. Poi la tragedia: dopo l'ascesa di Hitler al potere e le leggi razziali che vietano agli ebrei anche l'iscrizione a un club sportivo, la notte del 7 maggio 1933 Nelly Neppach si toglie la vita a Berlino, con la notizia della sua morte che viene data oltreoceano anche dal New York Times.
Julius ed Hermann Baruch (lotta e sollevamento pesi)
P. Corio/Panorama.itVeri e propri collezionisti di medaglie negli anni Venti, anche campioni d'Europa in discipline espressioni di quella "forza" tanto cara al nazismo, ma ebrei e per giunta praticanti. E quindi destinati a essere emarginati tanto nella vita quanto nello sport dalle leggi razziali: Hermann - il fratello maggiore - si rifugia in Belgio nel 1938, da cui dopo l'invasione viene deportato ad Auschwitz, dove viene ucciso nel 1942; Julius, invece, troverà la morte a Buchenwald nel febbraio 1945, giusto pochi mesi che il campo venisse liberato dalle forze americane.
Emanuel Lasker (scacchi)
P. Corio/Panorama.itConsiderato da molti il miglior scacchista di ogni epoca e definito da Albert Enstein "una delle più incredibili menti che ho mai incontrato nella mia vita", Emanuel Lasker continua a essere il record-man nella difesa del titolo mondiale, conservato per ben 27 anni consecutivi dal 1894 al 1921. Dopo il 1933, impossibile però anche per lui difendersi dal nazismo: fuggito in Olanda, scappa quindi in Gran Bretagna e poi in Unione Sovietica, che lascia nel 1937 (nel pieno delle purghe staliniane) per riparare negli Stati Uniti, dove muore a 72 anni nel 1941, senza poter vedere il crollo di Hitler e ormai piegato nella psiche dalle avversità del lungo esilio.
Erich Seelig (pugilato)
P. Corio/Panorama.itNato nel 1909 a Bromberg, in Pommerania, Seelig cresce a livello sportivo nella sezione pugilato del Tennis Borussia di Berlino per arrivare a conquistare il titolo di Germania dei pesi medi nel novembre 1931 e quello dei massimi leggeri nel febbraio 1933. Il maggio successivo, approfittando di una trasferta a Parigi per il match perso contro il campione mondiale Marcel Thiel, inizia una fuga che lo porterà a Londra, poi a Cuba e infine negli Stati Uniti, dove giunge nel 1935. Nel 1940, dopo aver appeso i guantoni al chiodo e avere sposato Greta Meinstein, un'atleta fuggita a sua volta dalla Bavaria, Seelig si trasferisce con la moglie ad Atlantic City, dove aprirà una scuola di pugilato che lo vedrà attivamente impegnato sino alla morte, avvenuta nel 1984.
Julius Hirsch (calcio)
P. Corio/Panorama.itDue volte campione di Germania nel 1911 e nel 1913, è anche il secondo calciatore di origine ebraica dopo Fuchs a indossare la maglia della Germania, con sette presenze tra il 1911 e il 1913. Ormai campione affermato, all'avvento delle leggi razziali nel 1933 dà immediatamente le dimissioni dal suo club, il Karlsruher FV, continuando a giocare nel Campionato "riservato ai giudei". All'inizio scampa alla deportazione grazie al matrimonio con una non-ebrea, ma nel 1943 (dopo aver divorziato per evitare conseguenze a moglie e figli) viene deportato ad Auschwitz. Il 3 marzo 1943 scrive una cartolina alla sorella Esther per i suoi 16 anni: sarà l'ultima traccia terrena di un fuoriclasse condannato all'oblio sportivo dal nazismo e presumibilmente alla morte nel campo di concentramento.
Rudi Ball (hockey ghiaccio)
P. Corio/Panorama.itBerlinese di nascita, Rudi Ball colleziona titoli (ben 8) con il Berliner Schlittschuh Club (BSC) prima di trascinare la Germania al bronzo nell'hockey ghiaccio ai Giochi olimpici del 1932 a Lake Placid. L'anno successivo, all'avvento del nazismo, fiuta subito il pericolo e varca la frontiera con il fratello Gerhard per giocare prima a St. Moritz e poi a Milano nei Diavoli Rossoneri, che i Ball portano a vincere per ben due volte la Spengler Cup (la Coppa dei Campioni dell'hockey su ghiaccio). Nel 1936 accetta di tornare in patria al BSC, con l'assicurazione di poter giocare malgrado le leggi razziali, anche perché la Germania ci tiene a schierarlo alle Olimpiadi di Berlino del 1936. La "protezione" dura di fatto fino al 1943, quando Rudi è costretto a lasciare il ghiaccio perché giudeo: gli va comunque bene, perché solo un anno e mezzo dopo la fine della guerra torna in pista a 35 anni, sempre con il BSC, per riabbracciare il suo pubblico. Poi, dopo l'addio al ghiaccio, sempre con Gerhard decide di raggiungere il loro terzo fratello Heinz in Sudafrica, dove diviene un importante uomo d'affari. Morirà a Johannesburg nel 1975.
Helene Mayer (scherma)
P. Corio/Panorama.itPrima schermitrice tedesca di fama mondiale, si mette in evidenza già a 14 anni, divenendo campionessa di Germania nell'estate del 1925, per poi arrivare a vincere l'oro alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928. Brillante anche negli studi, frequenta la Sorbona e un'università californiana dopo una laurea a Francoforte in diritto internazionale, con l'obiettivo di iniziare una carriera diplomatica. In quanto "mezza ebrea", nel 1933 viene però espulsa dal suo club e anche dalla società tedesca: parte allora di nuovo per gli States, da cui fa però ritorno nel 1936, accogliendo la richiesta delle autorità naziste di partecipare alle Olimpiadi di Berlino, dove vince una medaglia d'argento: scelta per cui in seguito sarà anche oggetto di qualche critica riguardo una sua presunta "tolleranza" al nazismo. Dal quale comunque fugge nel 1937, andando definitivamente a vivere negli Usa: nel 1940 diviene cittadina americana, ma torna quindi in Germania nel 1952 e un anno dopo, subito dopo il suo matrimonio con il barone Erwin Falkner von Sonnenburg, muore di cancro ad Heidelberg.
Walther Bensemann (calcio)
P. Corio/Panorama.itNato nel 1873 a Berlino, pioniere del football, è noto soprattutto per aver fondato in Germania il giornale Der Kicker nella convinzione che il calcio avesse il potere di unire i popoli. L'opposto del nazismo, che nel 1934 lo costringe a fuggire in Svizzera per poi trovare la morte nel 1934 a Montreux. Di lui ci rimane una frase che purtroppo suona però ancora troppo spesso come un'utopia: "Lo sport è una religione, e forse l'unica cosa capace di unire la gente e le classi sociali".
Martha Jacob (atletica)
P. Corio/Panorama.itCresciuta da parenti senza mai conoscere i veri genitori, iniziò bambina a praticare l'atletica per arrivare a rappresentare la Germania ai Giochi Olimpici di Amsterdam del 1928 e vincere il titolo nazionale nel giavellotto l'anno successivo. Nel 1931 accetta di diventare allenatrice del team femminile britannico di atletica in vista delle Olimpiadi di Los Angeles 1932. Rientrata in Germania per completare gli studi per diventare insegnante di educazione fisica, deve però poi subito fuggire all'avvento al potere del nazismo, riparando a Londra nel 1933 per tornare a casa solo in occasione di alcune manifestazioni sportive riservate agli ebrei. Nel 1936 si reca a Berlino per l'ultima volta: dopo aver subìto un interrogatorio della Gestapo, decide infatti di emigrare in Sud Africa, dove troverà un marito, avrà due figlie e proseguirà la sua attività di trainer. Muore nel 1976 a Cape Town, all'età di 65 anni.
Ralph Klein (basket)
P. Corio/Panorama.itLa sua è realmente una storia di pacificazione. Nel 1943 il padre e la sorella Ruth vengono deportati ad Auschwitz: il primo vi morirà, la seconda sarà invece tra i sopravvissuti allo sterminio. Sopravvissuto è anche Ralph Klein, che riesce a rifugiarsi in Ungheria con la madre e un fratello, rientrando in un gruppo di 20 mila ebrei salvati dal diplomatico svedese Raoul Wallenberg. Dopo la guerra, nel 1951 (all'età di vent'anni) va a vivere in Israele, dove nel basket diventa una leggenda del Maccabi Tel Aviv prima come giocatore e poi soprattutto come coach, guidando il club a vincere la Coppa dei Campioni del 1977 e Israele al secondo posto agli Europei del 1979. Poi, nel 1983, accade quasi l'incredibile: la Germania gli propone il ruolo di ct e lui accetta. Con questa motivazione: "Il fatto che la Germania mi abbia chiesto di allenare la sua Nazionale è per me una vittoria sul nazismo". Rimane alla guida del team tedesco per quattro anni, prima di tornare al Maccabi per vincere un ultimo Campionato, seguito poi da una Coppa di Israele con l'Hapoel. Morirà poi nel 2008 a 77 anni.
Lilli Henoch (pallamano, hockey, atletica)
P. Corio/Panorama.itSportiva a 360°, primatista in varie discipline dell'atletica e una delle migliori giocatrici tedesche di hockey e di pallamano per tutti gli anni Venti e l'inizio dei Trenta. Esclusa come tutti gli atleti ebrei dall'attività agonistica nazionale, dal 1933 al 1941 lavora come insegnante di educazione fisica in una scuola ebraica di Berlino, promuovendo un'infinità di eventi sportivi riservati alla sua comunità. Il 5 settembre 1942 viene però deportata con la madre a Riga, dove entrambe troveranno presto la morte.
Alfred e Gustav Felix Flatow (ginnastica)
P. Corio/Panorama.itAlfred nasce nel 1869, Gustav Felix nel 1875: due fratelli, due ginnasti dominatori dei primi Giochi olimpici di Atene 1896, che li trasformano nei primi eroi sportivi della Germania. Dopo il tiro dall'attività agonistica a fine secolo, Alfred Flatow diventa un quotato allenatore, nonché autore di diversi libri sulla disciplina, ma nel 1933 viene espulso dalla sua società di ginnastica in quanto ebreo e, deciso comunque a rimanere a Berlino, vive una vecchiaia di stenti e discriminazione, finendo poi per essere deportato nel campo di concentramento di Theresienstadt, dove viene ucciso nel 1942. Il fratello Gustav Felix, ciclista e pugile oltre che ginnasta, all'inizio del 1933 cerca invece scampo dal nazismo a Rotterdam, ma rimane poi vittima dell'invasione dell'Olanda: costretto alla clandestinità, viene scoperto nel 1945 e deportato a sua volta a Theresienstadt, dove morirà di stenti poche settimane prima della liberazione a opera delle truppe sovietiche.