Gravity: "Più di un film, una specie di miracolo" (ma da vedere in 3D)
Esaltato dalla critica, primo al box office, è indispensabile ammirarlo su un grande schermo che ne restituisca lo spettacolo visivo
Gravity di Alfonso Cuarón, il quasi assolo di Sandra Bullock nello spazio, è il campione degli incassi al box office italiano, oltre che a quello americano. Film d'apertura della Mostra del cinema di Venezia, distribuito da noi il 3 ottobre in 400 copie, ha incassato 2.080.000 euro nei primi quattro giorni di programmazione, con un'ottima media copie di più di 5.000 euro per schermo. Il dato che però più di altri potrebbe sorprendere è che il 92% degli oltre 200.000 spettatori ha visto il film in 3D. Scelta più che saggia perché, non ammirato in tre dimensioni e in una sala capace di esaltare le sue potenzialità visive, Gravity perde gran parte del suo appeal riducendosi a non molto di più di una classica storia di lotta per la sopravvivenza.
Esaltato dalla critica, su Rotten Tomatoes, il sito che raccoglie recensioni internazionali, ha il 97% dei consensi, quasi l'unanimità di lodi (cosa che un po' mi sorprende visto che il lungometraggio del regista messicano non mi ha stregata, colpevole anche una sala cinematografica un po' penalizzante).
"Un'esperienza fisica travolgente, una sfida per i sensi che coinvolge ogni tipo di terrore": così lo definisce David Denby sul New Yorker.
Ma non a caso la precauzione che suggerisce Ann Hornaday sul Washington Post è: "Gravity deve essere visto al cinema per essere apprezzato, la prospettiva di vedere questo film in qualcosa di meno di uno schermo di 40 piedi (12 metri circa, ndr) equivale ad ascoltare Beethoven attraverso un barattolo di latta e una stringa". Se la meraviglia visiva non seduce l'attenzione, infatti, la presa emotiva è tutt'altro che scontata.
Per incensare Gravity c'è anche chi scomoda il divino: "Cuarón fa di Gravity qualcosa di bellezza trascendente e terrore. È più di un film. È una specie di miracolo", scrive in preda all'estasi Peter Travers su Rolling Stones.
In seguito a una tempesta di detriti la dottoressa Ryan Stone (Bullock) e l'esperto astronauta Matt Kowalsky (George Clooney) si trovano unici sopravvissuti del loro Space Shuttle e scaraventati lontani. Da qui inizia la loro disperata ricerca di salvezza e la cavalcata nello spazio, prima con meta Stazione Spaziale Internazionale (ISS), mentre l'ossigeno impietosamente sta per finire, quindi verso una stazione cinese. Molti definiscono Gravity film di fantascienza, ma in effetti quello che accade ai due protagonisti è già possibile nella contemporaneità e la tecnologia presentata è quella attuale. C'è però un astrofisico che ha da ridire proprio sul fronte della plausibilità scientifica della narrazione. Neil DeGrasse Tyson, responsabile del planetario di New York, su Twitter ha esternato diversi dubbi sul film.
Tyson innanzitutto suggerisce che Gravity venga ribattezzato Zero Gravity, vista l'assenza di forza gravitazionale, o Angular Momentum. Poi inizia a passare al setaccio i misteri di #Gravity: "Perché i capelli di Bullock, in scene altrimenti convincenti di mancanza di gravità, non fluttuano liberamente sul suo capo?". "Misteri di #Gravity: l'astronauta Clooney informa il medico Bullock cosa succede dal punto di vista medico durante la privazione di ossigeno". "Misteri di #Gravity: Perché Bullock, un dottore, è in servizio all'Hubble Space Telescope?", "come mai l'Hubble (593 km sopra il livello del mare), l'ISS (350 km sopra la Terra) e una stazione spaziale cinese sono tutti su una stessa linea visiva?".
Però alla fine anche la scienza alza le spalle di fronte al potere del cinema, tant'è che lo stesso Tyson scrive: "I miei tweet quasi mai trasmettono un'opinione, ma per lo più prospettive sul mondo. Però se volete proprio saperlo, Gravity mi è molto piaciuto".