"Ho cucinato con Chef Rubio"
Un pomeriggio in cucina con Gabriele Rubini per una raccolta fondi a favore della Casa della Carità
Ebbene sì, ho cucinato con Chef Rubio. E’ capitato qualche giorno fa a Milano, al Teatro 7 Lab, per un evento speciale che merita di essere raccontato. Gabriele Rubini - cuoco e star della tivù lanciato dal programma di DMax, Unti e Bisunti - è stato messo all’asta come un tartufo, ma di quelli pregiati: merito di Groupon e CharityStars che hanno sostenuto il progetto “Dona un pasto caldo”, per la mensa della Casa della Carità di Milano. Il cadeau? La possibilità di partecipare ad un corso di cucina con Chef Rubio, un gentile presente che in tre settimane è andato a ruba: e così, grazie ai 5700 coupon solidali venduti su Groupon e le aste messe a disposizione su CharityStars (5 posti venduti fino a 500 € l’uno), sono stati raccolti 43 mila 208 euro. Che tradotto, significa 8 mila pasti per le persone in difficoltà distribuiti dalla Casa della Carità, la Fondazione che ogni giorno offre vitto e alloggio a 150 bisognosi.
IL CACCIATORE TIMIDO. “Ma che tipo è ‘sto Rubio?”, mi chiede qualche giorno dopo mio fratello, appassionato di rugby. Mi twitta un’amica: “Dal vivo è bono come in tivù?”. Rubio è mancino - lo scopriremo osservandolo affettare la cipolla - preferisce essere chiamato con il suo nome (“Sono Gabriele non Rubio, ok?” ci intima bonario quasi subito), è molto più timido di come appaia ne Il cacciatore di tifosi (sempre su DMax) e non fa niente per nasconderlo. “E beviamoci un bel bicchiere di vino va”, dice per spezzare il ghiaccio dopo i saluti di rito: a quel punto, con il suo sorriso da gatto sornione, ci ha già conquistato tutti.
CAPOCOLLO E CORIANDOLO. Lui di vino ne berrà giusto un sorso, noi qualcuno in più. Alla fine ci ritroviamo in venti, più una serie di fotografi e operatori che immortalano l’evento e forse per questo c’è chi fantastica di essere a MasterChef: così capita che appena Rubio chieda aiuto, qualcuno si precipiti a calarsi nel ruolo di sous chef, forse solo per stargli vicino (anche se basta l’ottimo Roberto, chef del Teatro 7). Lui è molto meno severo di Bastianich e Cracco e invita tutti a “sporcarsi” le mani: il clima si fa rilassato e ognuno partecipa alla composizione delle tre ricette, chi pareggiando i cubetti di capocollo, chi impanando i gamberi, chi pulendo l’aglio o sminuzzando il coriandolo fresco (“Oh, provate ad annusarlo: l’odore è terribile, ma il sapore no”, c’invita marcando l’accento romanesco).
TECNICA E CUORE. Peperone crusco e garam masala (mix di spezie tipico della cucina indiana), ‘nduja sicula e miso (un preparato di fagioli di soia). E’ un miscuglio profumato e seducente la cucina di Rubio, che a tavola si diverte a far incontrare i grandi prodotti della tradizione italiana con l’Oriente conosciuto nei viaggi tra India, Cina e Giappone. “Mi piace abbinare, fare incroci di sapori e sperimentare: le ricette scritte non sono un dogma intoccabile, qualche volta è meglio seguire il cuore e l’istinto”, racconta. Ma sempre nel solco della grande tecnica appresa all’Alma, la scuola del mitologico Gualtiero Marchesi: perché Rubini si considera prima chef che personaggio mediatico e trasversale. “Ogni tanto qualcuno me lo chiede: ma sai davvero cucinare?”, svela con una punta di stizza.
RICETTE TENDENZA STREET FOOD. Mentre in forno cuociono i samosa piccanti, saporiti triangoli di pasta fillo ripieni di patate e piselli, Rubio discetta di succhi della carne (“fatela riposare prima di mangiarla”), c’insegna a pulire i gamberi e a fare un fritto croccante (“la temperatura dell’olio è fondamentale”). E senza smettere di parlare, realizza una maionese espressa utilizzando olio di soia, che servirà per insaporire la misticanza con gamberi e frutti rossi. “Non impazzisce, state tranquilli”. Ognuno “impiatta” a piacimento la propria insalata - “lasciate libera la fantasia e non abbiate paura, siamo qua anche per giocare” - e pochi minuti dopo siamo a tavola: arrivano i samosa piccanti (dentro ci sono anche zenzero, semi di mostarda e il coriandolo fresco di cui sopra), poi gli involtini di capocollo avvolti in foglia di lattuga con miso, da mangiare rigorosamente con le mani . “Ci vorrebbe anche l’aglio arrosto, ma se dovete baciare qualcuno, forse è meglio che non lo mangiate”. E il lungo pomeriggio finisce così, tra le risate e un altro paio di bicchieri di vino, ma c’è ancora il tempo per farsi una foto ricordo con Rubio. “Ci facciamo un autoscatto?”, gli chiedo. “Un selfie da seri o da scemi?”. Da scemi, che domande.