Il Gesù napoletano di Luciano De Crescenzo
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Il Gesù napoletano di Luciano De Crescenzo

L’ingegnere-filosofo e la diatriba tra “presepisti” e “alberisti”

«Supponiamo che un giorno vi facciate una passeggiata a Napoli, in Via San Gregorio Armeno; ebbene quel giorno anche voi finireste con il pensare che Gesù è nato da queste parti. Basterà l’atmosfera del luogo a suggerirvi che qui ha avuto origine il presepe e il culto della Natività. Dite quello che volete, ma Gesù è nato a Betlemme una sola volta, e a Napoli tutte le altre».

Correva il Natale del 2013 e Luciano De Crescenzo con il suo “Gesù è nato a Napoli. La mia storia del presepe” (Mondadori) apponeva la sua immancabile la firma sulle festività natalizie di undici anni orsono: con l’ironia, la saggezza e la provocazione che lo contraddistinguevano, il grande scrittore napoletano, ingegnere per professione e “filosofo” per passione, dava il suo personale contributo ad uno degli eventi della nostra storia perennemente sospeso tra religiosità e senso laico della vita.

Ecco che ritorna Luciano De Crescenzo, ingegnere, sceneggiatore, attore, regista e, ovviamente, scrittore, ruolo che aveva ricoperto con assoluta maestria dal 1977, anno del suo esordio con quel “Così parlò Bellavista”, successo editoriale, culturale, sociale rimasto nell’immaginario collettivo come pietra miliare per un genere mai passato di moda. Da quell’anno e sino alla sua scomparsa avvenuta il 18 luglio del 2019, decine di pubblicazioni e diverse angolature del genere umano: dalla filosofia declinata in tutte le epoche e sotto tutte le latitudini, sino ai popolari spaccati di vita napoletana, lui che di questa città rimane una delle icone di assoluto pregio e vanto.

E proprio De Crescenzo ci regalò, per il Natale del 2013, un’altra perla del suo sconfinato universo, andando proprio alle origini della cristianità con il presepe come elemento religioso, come storica trasposizione culturale, come luogo geo-sociale e -perché no- geo-politico. Da Virgilio a Eduardo, dalla tradizione storica a quella più spiccatamente napoletana, ricostruì in poco più di 100 pagine, con l’ironia ed il disincanto che lo hanno reso celebre, le origini del presepe come luogo dello spirito, come luogo terraneo, mettendo le une accanto alle altre le figure storiche di questo micro-universo. Una storia fatta di uomini, gli stessi che nella forma di uomini-pastori in un basso napoletano, alla fine arriveranno a discutere, a litigare, a spettegolare. Storie di uomini, dunque, tutte nate e vissute sotto quel “disegno di Dio” che per De Crescenzo rende perfettamente l’idea di “un Buon Pastore”.

Ricordiamolo, allora, l’immancabile Luciano, anche 11 anni dopo, in questo Santo Natale del 2024, sicuri che senza distrazione e sempre al passo con i tempi -anzi sicuramente anticipandoli come era solito fare- ci avrebbe sottolineato che «la suddivisione tra quelli a cui piace l'albero di Natale e quelli a cui piace il presepe, tra alberisti e presepisti, è tanto importante che, secondo me, dovrebbe comparire sui documenti di identità. Il primo tiene in gran conto la Forma, il Denaro e il Potere; il secondo invece pone ai primi posti l'Amore e la Poesia. Tra le due categorie non ci può essere colloquio, uno parla e l'altro non capisce. Quelli a cui piace l'albero di Natale sono solo dei consumisti. Il presepista invece, bravo o non bravo, diventa creatore e il suo Vangelo è “Natale in casa Cupiello».

Un’attenzione tutta particolare De Crescenzo dedicava ai protagonisti umani di quel mondo sospeso tra storia e ricostruzione storiografica: a quelle immancabili comparse che completavano un paesaggio sociale ed umano che fotografava la storia dell’umanità nell’Anno Zero ripresa in uno degli angoli “topici” del nostro pianeta, quel Medioriente già all’epoca crocevia di eventi epocali, mai del tutto pacificati: «i pastori debbono essere quelli di creta, fatti un poco brutti e soprattutto nati a San Gregorio Armeno, nel cuore di Napoli, e non quelli di plastica che vendono al supermercato, e che sembrano finti; i pastori debbono essere quelli degli anni precedenti e non fa niente se sono quasi tutti scassati, l'importante è che il capofamiglia li conosca per nome uno per uno e sappia raccontare per ogni pastore “nu bello fattariello”».

Conservatore sui temi classici, quelli di una certa serietà, su cui sapeva far calare la sua esuberante dote di “progressista e rivoluzionario”, «nessuno come Luciano De Crescenzo sapeva raccontare le storie che compongono una mitologia, sia essa dell'antica Grecia o della nostra vita quotidiana. (In quel libro ricostruiva), con la consueta ironia, le origini del presepe da Virgilio a Eduardo, e ritraendo uno a uno i personaggi che tradizionalmente lo compongono: dai Re Magi a Cicci Bacco, da Benino al Pastore della Meraviglia. Fino a quando, come in un basso napoletano, i pastorelli si mettevano finanche a discutere, litigare, spettegolare». La sinossi di quel testo del Natale 2013 rappresentava essa stessa un progetto storico, culturale, forse anche “politico” della sua idea di Natale e di presepe da considerare certamente parte della nostra Storia ma da poter anche caricare di elementi della contemporaneità, giusto per rendere quell’atmosfera ancor più vicina al senso umano della vita.

«Vorrei che leggendo questo libro i pastori del presepe diventassero come dei vostri parenti, degli zii o dei cugini, dei personaggi di famiglia a cui si vuole bene». Ecco la scena, comica e paradossale, nella quale il presepe come luogo del nostro universale immaginario collettivo, si sarebbe, come d’incanto, trasferito nel cuore pulsante e più autentico della Napoli popolare e spontanea che De Crescenzo arrivava a descrivere con punte iperboliche di realismo. Tutto partenopeo, s’intende…

Per noi il presepe è e resterà quel famoso scambio di battute fra Luca Cupiello e Tummasino, detto Nennillo, padre e figlio in quel Natale in casa Cupiello, di Eduardo De Filippo, icona dei nostri tempi!

Il libro è ricco di ricordi autobiografici, che sono anche frammenti di quella Napoli natalizia che ci ha raccontato Eduardo De Filippo, ma che fa risalire le sue origini addirittura al mondo della classicità greca e latina.

Partendo da questa profonda differenza filosofica e sociale, quella tra “albero” e “presepe”, con quest’ultimo frutto di un complesso lavoro di progettazione - «Il presepe è bello non solo quando lo fai, ma anche quando lo pensi, mentre l’albero, invece, acquista il suo fascino solo quando è finito e si accendono le luci» - De Crescenzo in questa profonda riflessione osava anche spostarsi su un terreno vagamente geo-politico, quando indicava nelle popolazioni mediterranee quelle più spiccatamente “presepiste”, lasciando a quelle nordiche il loro essere “alberiste”.

Colto quanto bastava (molto, ovviamente…) per fare breccia nel cuore dei suoi lettori, Luciano De Crescenzo chiamava in causa lo stesso poeta Virgilio che «raccontava della nascita futura di un puer destinato a riunificare l’Impero romano e a dar vita ad una nuova età dell’oro»: poi la Storia anticipò gli eventi, visto che Virgilio sarebbe morto nel 19 a.C., e quindi la sua profezia non sarebbe mai stata verificata.

E così, da San Gregorio Armeno, dove Gesù sarebbe nato tutte le altre volte, rispetto alla prima nascita di Betlemme, continuano a chiedersi se i pastori del presepe siano realmente diventati nostri parenti, zii o cugini, personaggi di famiglia a cui si vuole bene. Intanto,il senza-tempo messaggio di De Crescenzo continuerà a brillare forte anche in questo Natale…

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Egidio Lorito