Il segreto di Giacomo? È un ristorante, ma sembra un salotto
Bisogna iniziare da lontano, da quando il blasonato architetto Renzo Mongiardino, uomo raffinato di cervello e palato, scopre che non può più gustare l’acqua cotta preparata dal suo amico Giacomo in via Donizetti a Milano. Siamo alla fine degli anni Ottanta, il palazzo che ospitava il ristorante di cucina toscana Giacomo viene venduto e la proprietà non ha alcuna intenzione di lasciare spazio ai nobili fornelli. "Noi eravamo molto dispiaciuti, ma ricordo che è stato proprio l’architetto Mongiardino a trovare lo spazio di via Cellini-Sottocorno, era una pizzeria inguardabile e il suo occhio esperto riuscì a individuarne potenzialità a noi nascoste. Naturalmente fu lui a offrirsi per la progettazione, per la gioia di mio padre" racconta Tiziana Bulleri, la figlia di Giacomo. Che, il prossimo 2 ottobre, manda in libreria Giacomo Bulleri. Ricette di vita (edizioni Bompiani, 19,50 euro), un libro ricco di immagini e di pillole di saggezza quotidiana dall’alto dei suoi 88 anni. Che sarà festeggiato dalla città di Milano in piazza del Duomo all’Arengario, dove la famiglia ha aperto il terzo ristorante all’interno del Museo del Novecento (gli altri due sono Da Giacomo e Giacomo Bistrot). Tre luoghi accomunati dalla stessa cucina e anche dalla stessa cifra estetica e decorativa, perché a progettarli sono stati proprio gli architetti ritenuti gli eredi di Mongiardino, Laura Sartori Rimini e Roberto Peregalli.
Nei due ristoranti Bistrot e Arengario c’è un omaggio a Mongiardino?
L’omaggio risiede nel continuare a lavorare sulla scia della qualità, tenendo alto lo standard dell’artigianalità. Per esempio gli specchi del Bistrot sono stati anticati a Roma da uno dei pochi artigiani che lo fa ancora con il mercurio.
Come si costruisce un ristorante di successo? Si studia un po’ di marketing, le tendenze...
Non è il nostro caso, secondo noi non si può programmare un successo. A Milano tutto è ormai nuovo: cucine a vista dietro vetri e acciai, arredi avveniristici. Noi abbiamo fatto il contrario, scegliendo di mettere una libreria con veri libri d’epoca, poltrone rosse, luci basse. Il luogo è stato studiato con la proprietà pensando a un ristorante aperto dalle 12 a mezzanotte, ideale anche per la merenda. Abbiamo ricreato l’ambiente di un salotto, oppure di un club. Proprio quello che mancava a Milano. Ha funzionato, ma poteva anche non decollare.
Che errore non va commesso nel progettare un ristorante?
Non deve mai mancare l’atmosfera. Soprattutto, non bisogna farsi condizionare troppo dalle mode e dal fatto che si sta progettando un ristorante, quindi dai cliché che questo comporta. Deve essere un posto in cui si sta bene. Si deve percepire che è un luogo speciale, senza ovviamente dimenticare la funzionalità.
Un bel ristorante può avere successo anche se il cibo è mediocre?
No. Ci deve essere sempre un’armonia tra la cucina e il luogo. Se il cibo è cattivo, il ristorante, a lungo, non avrà successo. Se il ristoratore non capisce la qualità del cibo, non capirà nemmeno la specialità del luogo.
Perché Milano, capitale del design, non ha ristoranti progettati da archistar?
Forse perché il più delle volte i ristoratori hanno dietro di loro investitori che non vogliono spendere. Quindi si concentrano nella cucina cercando le "stelle" e dimenticandosi il luogo.