Indiana Jones e il Quadrante del Destino | Recensione
L'ultimo capitolo (siamo sicuri?) della saga dell'archeologo avventuriero fa il suo dovere, quello di intrattenere, ma neanche il talento di Harrison Ford e una buona dose di CGI possono far tornare indietro il tempo.
«Le leggende sono immortali» diceva il campione del baseball Babe Ruth. È però altrettanto vero che il destino dell’uomo sia quello di invecchiare. E inevitabilmente cambiare. Ne è perfettamente conscio Harrison Ford che, nonostante si sia detto ben lontano dal ritirarsi dalle scene, è pronto a dire addio al personaggio di Indiana Jones. «È tempo di crescere» ha dichiarato l’attore a Variety durante la promozione del quinto - e ultimo (per lui) - capitolo della serie: Indiana Jones e il Quadrante del Destino.
Il nuovo film è ambientato nel 1969 - la prima avventura di Indy per recuperare la Croce di Coronado risale al 1912 - e vede un Indiana Jones pronto alla pensione. Insegnante di archeologia all’Hunter College di New York vive da solo, e forse è proprio per questo che accoglie con entusiasmo la visita a sorpresa della figlioccia Helena Shaw, interpretata da Phoebe Waller-Bridge (Fleabag).
La giovane ragazza è un’abile truffatrice e riesce a rubare un raro manufatto a Indiana Jones: il famigerato Quadrante di Archimede, capace - si presume - di individuare fenditure nel tempo. Il dottor Jones si vede così costretto a rispolverare il cappello e il giubbotto di pelle e lanciarsi in un’ultima grande avventura.
Come in ogni film d’azione che si rispetti non manca la storica nemesi, Jürgen Voller (Mad Mikkelsen), un ex nazista che ora lavora come fisico nel programma spaziale statunitense, ha altre idee per il Quadrante, un piano terrificante che potrebbe cambiare il corso della storia del mondo. Strappa forse uno sbadiglio il ricorso all’ormai trito cliché del cattivo che vuole «correggere gli errori di Hilter» e portare al trionfo dei tedeschi. Fa anche scuotere il capo la decisione degli sceneggiatori di scomodare niente di meno che Archimede, il presunto inventore del Quadrante (o Antikythera).
Il film però fa il suo lavoro, quello di intrattenere, e regala piccoli momenti di grande umanità grazie al talento di Harrison Ford. L’utilizzo massiccio di CGI richiede certo una buona dose di suspension of disbelief (sospensione del dubbio, ndr) ma dopo aver seguito Indiana Jones in tutte le sue prodezze sembra un prezzo più che accettabile da pagare per 154 minuti di corse e inseguimenti vecchio stile. E qualche - forse qualcuna di troppo - citazione per i nostalgici.
Quello che preoccuperà gli appassionati di Indiana Jones guardando questa pellicola è la sensazione che pervade tutto il film, quell’idea che Disney e Lucasfilm stiano risistemando tutte le loro pedine in gioco, perché anche se questo è l’ultimo capitolo per Harrison Ford, sembra che i due giganti del grande schermo siano ben lontani da appendere il cappello di Indy al chiodo.
La partita è ancora tutta da giocare ed è ancora impossibile prevedere se il franchise tornerà con un nuovo protagonista, magari la stessa Waller-Bridge, sicuramente non il “complicato” figlio di Indy interpretato da Shia LaBeauf (Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, 2008) o se, come vogliono i tempi, l’intrepido archeologo si limiterà a cambiare volto. Solo una cosa è certa, Indiana Jones, quello vero, se n’è andato per sempre. E forse nemmeno questo quinto capitolo è stato davvero in grado di riportarlo indietro.