Home » Lifestyle » Iwo Jima. 70 anni fa lo sbarco dei Marines

Iwo Jima. 70 anni fa lo sbarco dei Marines

Iwo Jima. 70 anni fa lo sbarco dei Marines

Per battere i giapponesi nascosti nella rete di tunnel sotterranei, agli americani ci volle più di un mese. Ma l’isola sarà decisiva per la vittoria

Dog Minus Two“- inizia la battaglia (17-19 febbraio 1945)

Anche i bombardamenti navali diurni e notturni da parte della Marina degli Stati Uniti sulle postazioni d’artiglieria dell’isola si dimostrarono poco efficaci ed anzi arrecarono danni alla flotta. Dall’inizio di febbraio i giapponesi si accorsero dei movimenti degli americani in preparazione dello sbarco. Nella notte tra il 18 e il 19 febbraio erano pronte allo sbarco più di 800 unità navali americane, giunte dal Pacifico e fin dalle Hawaii. Sotto la copertura dei caccia decollati dalle portaerei e dal tiro dell’artiglieria navale, il primo Marine mise piede sull’isola di Iwo Jima alle 8,59 del 19 febbraio 1945.

Quando le unità della prima ondata raggiunsero la spiaggia di sabbia scura, l’artiglieria giapponese taceva. Il silenzio delle armi era stato ordinato da Kuribayashi per infliggere ai Marines il maggior danno possibile una volta che si fossero ammassati sulla testa di sbarco della spiaggia. Poi i giapponesi, dalle loro postazioni nascoste negli anfratti, nelle cavità e sotto la superficie dell’isola vulcanica fecero fuoco. Dal monte Suribachi, un’altura che dominava la punta meridionale dell’isola e le spiagge dello sbarco, l’artiglieria nipponica fece una carneficina. I cannoni giapponesi erano protetti da portelli in acciaio, che si chiudevano dopo il fuoco. Le postazioni erano collegate alla rete di tunnel scavata sotto la superficie dell’isola, così che quando i Marines “bonificavano” una postazione con bombe e lanciafiamme, questa veniva poco dopo rioccupata. 

Solo con l’arrivo dei carri armati la situazione sulla spiaggia cominciò a sbloccarsi.Alla fine del primo giorno di battaglia il monte Suribachi fu isolato dal resto delle forze giapponesi. Nella notte gli americani non ricevettero alcun attacco a sorpresa (“Banzai”). Kuribayashi aveva optato per la guerriglia, con attacchi isolati dalle buche, a volte condotti da giapponesi che conoscevano l’inglese e ingannavano i Marines. Gli americani decisero che la notte fosse alleata dei giapponesi e iniziarono ad illuminare l’isola a giorno tramite razzi illuminanti. Gli Sherman che avanzavano montavano un lanciafiamme al posto della bocca di fuoco, rivelandosi molto più efficaci delle armi tradizionali. Il monte Suribachi e la zona meridionale dell’isola furono conquistate dagli americani entro il 23 febbraio, quando la prima bandiera a stelle e strisce sul territorio giapponese fu issata dai soldati del 28th Marines. La foto di Joe Rosenthal, simbolo della vittoria e del sacrificio americano, fu scattata postuma. La prima bandiera infatti fu reclamata dal Capo di Stato Maggiore della Marina ammiraglio Forrester come souvenir. I Marines re-issarono una nuova bandiera inquadrati dall’obiettivo del fotografo al seguito delle operazioni.

Il Nord dell’isola, impervio e roccioso, era ancora saldamente in mani nipponiche. Nella piana di Motoyama si trovava il cuore degli obiettivi americani: i due aeroporti di Iwo Jima. La presa delle alture che dominavano le piste di atterraggio fu per gli americani una nuova carneficina. Neppure gli Sherman sembravano essere risolutivi, spazzati dal fuoco incrociato dei cannoni nipponici nascosti tra le rocce laviche. Fu necessario per gli americani cambiare strategia. Per la prima volta attaccarono i giapponesi senza la copertura dell’artiglieria, che preludeva ad ogni avanzata degli americani. I giapponesi furono colti nel sonno e Hill 362, sopra l’aeroporto, fuconquistata. I giapponesi risposero con un attacco in massa (Banzai) ma furono sopraffatti dai Marines. I kamikaze dell’aviazione navale tentarono di colpire la flotta americana che martellava l’isola. Fu danneggiata la portaerei USS Saratoga e alcune altre navi, ma tutto sommato gli attacchi suicidi si rivelarono inefficaci. Anche se l’isola fu dichiarata libera il 16 marzo, a quasi un mese dallo sbarco, un contingente di circa 600 uomini comandati dal generale Kuribayashi resisteva in una gola del nord dell’isola. Dopo che i Marines ebbero fatto saltare l’ex comando del generale sigillando le uscite dei tunnel, questi dovettero resistere all’ultimo attacco giapponese, sferrato nel silenzio assoluto. Il 26 marzo morì lo stesso Kuribayashi, ma il suo corpo non fu mai ritrovato. Non è certo se si fosse suicidato tramite il rituale del Seppuku poco prima dell’arrivo dei Marines o se fosse morto durante l’ultimo attacco dopo essersi strappato i gradi dalla divisa, come un soldato semplice. 

Iwo Jima era conquistata dopo più di un mese di battaglia. I giapponesi morirono quasi tutti. I prigionieri degli americani furono poco più di 1000. Ma le perdite tra i Marines furono  per la prima volta superiori a quelle del nemico, con oltre 26.000 uomini fuori combattimento tra morti, feriti e dispersi. Poco dopo i Seabees americani misero in condizioni operative gli aeroporti della piana di Motoyama. Cominciarono a sciamare i caccia P-51 Mustang, pronti a fare da scorta ai Superfortress ormai giunti a tiro del territorio giapponese. Pochi mesi e l’Impero del Sol Levante sarebbe tramontato per sempre.

© Riproduzione Riservata