Jean-Henri Fabre, l’entomologo che portò gli insetti fuori dai musei
Ripubblicati i mitici ricordi del padre dell'entomologia: un diario che si legge come un romanzo
Tra i mondi apparentemente paralleli al nostro, esiste, animato e brulicante, quello degli insetti. È banalità notarlo ma chi, spingendosi oltre alla ripugnanza o all'estraneità, può dire di saperne qualcosa al di fuori di qualche nozione elementare? Le formiche sono industriose, le api fanno il miele, i ragni – che hanno otto zampe – be' quelli non sono insetti. Poi capita tra le mani, ma forse meriterebbe di essere posto su un leggio, il libro di Jean-Henri Fabre (1823-1915), entomologo francese, anzi padre tout court dell'entomologia: la prima parte dei suoi Souvenirs Entomologiques è riedita oggi da Adelphi col titolo Ricordi di un entomologo (pag. 679, 127 ill. in bianco e nero, 38 euro).
Anche a conoscere tre sole cose di Fabre – totalmente autodidatta arrivò ai vertici della scienza naturalistica, la sua opera interessò Charles Darwin, le sue memorie lo consacrano oltre che scienziato amabile e profondo scrittore – si capisce che l'acquisto del volume è un affare.
Ricordi. Cioè: una rassegna delle infinite specie di insetti, descritte da Fabre in maniera esemplare (dal latino exemplum) e trasformate in protagoniste di racconti che, smentendo i dotti del suo tempo, vantano finali spesso sorprendenti.
La scena si apre a Les Angles, nei pressi di Avignone, tra amici naturalisti. Ma all'osservazione degli animali più comuni, tra pesci e gabbiani, si aggiunge in collina, dov'è agevolata da cavalli e pecore al pascolo, lo studio della fatica maestosa dello scarabeo sacro, noto come stercorario.
Fabre nota con arguzia bonaria la differenza tra la povertà della materia cui si vota e l'abilità artigianale, e a tratti funambolica, dell'insetto, capace di fare dello sterco il tramite per il nutrimento e la riproduzione. La scena ha l'apice nella marcia degli scarabei e delle loro preziosissime palle verso la futura prosperità: marcia che, in caso di imprevisti durante il trasporto – alcuni procurati a bella posta dall'entomologo – prevede la conoscenza del cuneo e della leva e aiuti non disinteressati. Si palesano infatti colleghi scarabei pronti alla rapina, di modo che l'empirico Fabre, che crede solo al suo sguardo paziente, si trova a citare filosofi come Proudhon «La proprietà è un furto») e miti greci come quello di Sisifo.
La scienza – spiega Fabre – deriva dall'osservazione e, nel caso dei prediletti insetti per i quali ha un penchant fin dall'infanzia, non può limitarsi a un'arida catalogazione di esemplari trafitti da uno spillo e lasciati lì, per collezione. Perciò lui, frustrato e mal pagato professore di fisica, scende in campo. Ponendosi domande da detective: per esempio, come può la Cerceristubercolata immagazzinare in una cella isolata una quantità di prede sufficiente alle sue larve? La risposta in un capitolo intitolato Un'assassina sapiente.
Ma quando l'investigatore, muovendosi tra Sphex dalle ali gialle e grilli infilzati, e lasciandosi alle spalle l'erudizione dei vecchi Blanchard e dei Dufour, arriva al punto, è bene accorto a non formulare la Grande Teoria, che affascina gli umani e nulla concerne gli insetti. Grande Teoria che si basa, quasi sempre – spiega Fabre – sull'abbassamento dell'uomo, l'innalzamento dell'animale e in un'improbabile fusione dei due. Giammai, avverte lo sperimentatore, il sublime teorico spesso finisce nel ridicolo pratico… E da qui si dirameranno tutte le accuse che vogliono Fabre coi piedi nel passato, seppure contemporaneo nella prassi.
Appunto. Riprendiamo in mano la lente del detective, ricominciate a leggere. Non ve ne pentirete, anche procedendo nella lettura in modo non sistematico, saltando da un capitolo all'altro, spiluccando aneddoti e intuizioni, godendovi i piccoli colpi di scena, in assoluta libertà.
Questi Ricordi sono enciclopedici e come una enciclopedia o, meglio, come un antico libro sapienziale possono essere consumati. Per poi tornare, magari, da capo, alla prefazione: quattro pagine di Gerald Durrell, tradotte dall'edizione americana del 1991. Dove si dice che il grande esploratore del minuscolo Jean-Henri Fabre ha fatto molto di più che addentrarsi in un museo: è stato capace di uscirne, e di far volare ovunque le sue farfalle.