La donna vince. Al Festival di Venezia la dominatrice è lei
Vampire o manager, sono le donne a vincere: così il cinema risponde alle «Cinquanta sfumature».
La bellissima vampira, assai discinta, si incatena polsi e piedi al letto per dimostrare all’uomo che ama che l’amore con lei può essere letale. Ma quando in preda agli spasmi si trasforma, le pupille dilatate e i canini ardenti, lui imprevedibilmente la slega, lasciandosi vampirizzare. Da sottomessa a carnefice in un solo morso: immagine potente di Kiss of the damned, selezionato a Venezia e firmato da Xan Cassavetes, figlia di John, nero sberleffo femminile rivolto alle Cinquanta sfumature (grigie, nere e rosse) dell’astuta E. L. James.
Da un Lido traboccante di buone intenzioni femministe, dove persino le timorate clarisse, intervistate da Liliana Cavani, bollano Chiesa, frati e preti come «maschilisti», arriva la risposta vibrante, in stile Pussy Riot, al sadomaso versione Liala che prevede ogni femmina fremente di fronte alle sevizie.
Qui il gioco si ribalta e le dominanti vanno in coppia a fare danni, proprio come le sorelle vampire, assai promiscue, o le due protagoniste di uno dei film più attesi in concorso: Passion di Brian De Palma, perfetto game serva-padrona con guizzo finale. Rachel McAdams è la boss di un’impresa che domina (anche in chiave erotica) la sua assistente Noomi Rapace (la Lisbeth Salander della trilogia Millennium), che finirà però per superarla in diabolica e criminale astuzia, naturalmente a discapito dell’unico uomo in scena.
Ormai neppure l’amore materno, un tempo sacro, dà garanzie. In Pieta, film in concorso del genio coreano Kim Ki-duk, una mite signora pedina uno spietato killer di mafia, lo sottomette con l’umiliazione e lo converte subissandolo d’amore come fosse il figlio ritrovato, ma solo per riservargli un tremendo finale di partita. Per le nuove dominatrix, consapevoli, del cinema, le sfumature possono essere cinquanta, ma il colore uno solo: noir.