“La nostra vittoria? La festa nazionalpopolare del dopoguerra”
Paolo Rossi a trent’anni dal trionfo degli azzurri nei Mondiali 1982
Paolo Rossi, icona di un’italianità genuina e vincente. Nel trentennale del vittorioso mondiale spagnolo, il bomber di Prato è al festival “Il libro possibile” a Polignano a Mare (Bari), dove presenterà la raccolta delle sue memorie “1982. Il mio mitico mondiale”. Lo raggiungiamo nel borgo marinaro, ma è impossibile scambiare con Pablito più di due parole per il febbrile abbraccio della gente, che lo ferma chiedendo autografi e foto. Lo stesso calore lo accoglie anche in un lido a pochi passi dalla cittadina barese, dove frotte di bambini sono in attesa di una foto ricordo. Dopo aver dedicato un sorriso o una stretta di mano a tutti gli appassionati, Rossi si concede questo amarcord con Panorama.it.
Sono passati trent’anni dall’11 luglio 1982. Quel è il ricordo sportivo indelebile della finale contro la Germania al Bernabeu?
"Quello più forte è il colpo d’occhio dello stadio, con tutte le bandiere tricolori a fine partita. E’ stata una immagine che conserverò per sempre. Uno dei momenti più forti, intendo come italiano. Stavamo facendo la storia del nostro calcio, un evento di cui tutti ne hanno gioito. Un frame che resta impresso nella mia memoria".
Un mondiale vinto grazie alla caparbietà del ct Enzo Bearzot, contro ogni pronostico.
"Bearzot è stato l’artefice del nostro successo. Gli spetta la percentuale più alta di merito nel trionfo perché ha fortemente voluto quel gruppo, l’ha modellato e cesellato. Grazie a lui siamo diventati campioni del mondo, grazie a lui tutti abbiamo dato qualcosa in più. Trasmetteva uno spirito molto forte, una compattezza che non ho più rivisto in nessuna altra nazionale o squadra. Assemblò un gruppo fantastico".
Nel libro che ha curato con Federica Cappelletti (giornalista de “La Nazione” e moglie di Pablito n.d.r.) ci sono anche i pronostici sballati di alcune grandi firme del giornalismo sportivo del tempo…
"All’inizio nessuno ci dava credito. Anche noi stessi eravamo scettici. Solo Giovanni Galli, nostro terzo portiere, disse che saremmo arrivati secondi. Nessuno ci immaginava in finale. Noi sapevamo di avere una squadra molto forte, con giocatori importanti. Un mondiale è un periodo che dura quaranta giorni nei quali devi dare tutto, entrare in forma e in condizione…"
Il gol più difficile segnato nella competizione spagnola?
"E’ stato il primo (contro il Brasile, finì 3-2 n.d.r.), quello che mi ha dato maggiore soddisfazione. Il più importante della mia carriera, mi ha sbloccato. Il periodo era difficile, lo ricordo con un sentimento speciale".
Si discute spesso di moduli delle squadra, 4-3-3 o 4-4-2… Quella nazionale aveva un punto di forza sul piano tecnico?
"Tutti erano un punto di forza. Era una formazione composta da giocatori che hanno fatto la storia del calcio. Forti? No, fortissimi. La grande qualità era nel giocare la palla, abbiamo anticipato il gioco moderno. Partiva tutto da Scirea, il nostro libero, un difensore che sapeva costruire e giocare a pallone. L’idea di Bearzot era che le trame di gioco partissero da dietro, non solo dal centrocampo in poi. Cabrini, era un terzino fantastico di fascia. Il segreto era il talento dei giocatori…"
Il gol alla Pablito è un cult nel calcio. C’è un attaccante che le assomiglia nelle movenze e nel fiuto in area di rigore?
"No. Non vedo giocatori con le mie caratteristiche. In qualche maniera Pippo Inzaghi ha qualcosa di simile a me, ma non io ero solo un goleador…"
La Nazionale del 1982 ha avuto un rapporto d’amore e affetto con Sandro Pertini. Anche lei ha giocato a carte con il presidente della Repubblica?
"No. Ci giocavano Bearzot, Zoff e Causio. Pertini si arrabbiò molto con Zoff, che fu accusato di ‘calare’ un sette, avendone solo uno in mano: “Lei Zoff non sa giocare… non può giocare così…”.
La vittoria a Madrid ha rappresentato un insuperabile momento di coesione nazionale.
"E’ stato il momento più alto, dal dopoguerra, in cui la gente si è ritrovata nelle strade e nelle piazze. La prima manifestazione nazional-popolare spontanea. E per questo si ricorda con maggiore piacere. La gente si è appassionata a quel mondiale come in un crescendo. Non eravamo partiti bene, stentavamo. Poi dai quarti di finale è stata una esplosione di gioco e gol…"
Quando avete avuto la sensazione di poter arrivare alla vittoria finale?
"Mai. Finché non finisci, non hai mai questa certezza. Avevamo la convinzione di potercela fare. La partita con l’Argentina ci ha dato coraggio e fiducia, ma dopo aver battuto il Brasile ci siamo sentiti quasi imbattibili, pur rispettando gli avversari."
Resta un legame fortissimo con i compagni dell’avventura spagnola. Con chi ha mantenuto rapporti più stretti?
"Con Marco Tardelli. L’ho sentito pochi secondi fa. Con Antonio Cabrini… Abbiamo fatto tutto insieme: dalla nazionale militare, all’under 21 alla nazionale maggiore. Dieci anni in camera insieme nei ritiri. Abbiamo esordito insieme in Argentina, nel 1978".
Perché è più sentito dagli italiani il mondiale del 1982 rispetto a quello del 2006?
"E’ stato vinto contro squadre straordinariamente forti, con partite incredibili. Quando si vince così, si lascia una immagine, un segno. Se vinci ai rigori, con fatica, non hai un ricordo preciso delle gare. Gli italiani del nostro mondiale ricordano tutto, il minuto dei gol… Poi c’erano i personaggi dell’epoca: Bearzot, Pertini, i giocatori azzurri. Avevano dei valori da trasmettere. Erano veri, sinceri, schietti".
Dopo il secondo posto agli ultimi Europei il ct Prandelli ha accusato l’Italia di essere un paese per vecchi.
"Prandelli ha ragione. La fisionomia del calcio in Italia e mondiale è cambiata da anni. Non aspettiamo più i nostri ragazzi dei vivai. Andiamo a comprare tredicenni- quattordicenni dall’Africa o dall’Inghilterra. Abbiamo tolto spazio ai nostri ragazzi, che hanno meno possibilità di emergere. Escono più tardi e ne escono sempre meno."
Ultima domanda. Le è capitato di risentire la telecronaca di Italia-Germania di Nando Martellini?
"Molte volte. Migliaia di volte. Noi che l’abbiamo vissuta sul campo, sentendo quelle parole, proviamo sempre fortissime emozioni".