L'alluvione di Genova e lo sciacallaggio mediatico
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L'alluvione di Genova e lo sciacallaggio mediatico

Retorica e slogan sono frutto della retorica populista che domina in Italia

Piove, governo ladro.

E una parte di Genova si allaga.

Piove. E c’è gente che perde tutto.

Chi il negozio. Chi la macchina. Chi la vita.

E certo, se il fatto che piove è naturale, la cementificazione non lo è. Come non lo sono il congelamento dei fondi, i bonus farlocchi intascati da dirigenti comunali farlocchi per la messa in sicurezza farlocca, le lungaggini burocratiche, i mancati allarmi, l’inefficiente intervento delle istituzioni, lo Stato che la popolazione colpita sente lontano anni luce.

Da genovese, come tutti, ho parenti che hanno perso la macchina, amici che hanno le cantine allagate, conoscenti infangati dalla testa ai piedi.

E per migliaia di famiglie questo è l’ennesimo incubo da affrontare.

Guardando i telegiornali, locali e nazionali, le immagini sono quelle di un’Apocalisse.

Nei giorni scorsi, gente che non sentivo da anni, lontani parenti, amici perduti, si sono fatti vivi per sapere se fossi sopravvissuto.

“Sei vivo”?

“Come te la sei cavata”?

“E' terribile, come ti senti”.

“E adesso?”

“Prego per te”.

“Speriamo che il cielo abbia un po’ di pietà”,

“Io, fortunatamente, non sono stato in alcun modo coinvolto dall’alluvione. E, come me, la maggior parte dei genovesi”.

 

I mezzi di comunicazione mentono mostrando la verità. Sì, le immagini sono vere e non sono contraffatte. Ma sono solo alcune zone - poche - quelle realmente colpite. Il resto, è normale, tranquillo.

E basterebbe andare in giro con una telecamera per accorgersi che no, non è Genova, un’intera città, in mezzo al pantano, ma solo una piccola parte.

Il che è comunque grave, s’intende.

Ma visto che si punta il dito contro chiunque e si vorrebbero lapidare gli sciacalli, predoni che razziano il razziabile approfittando della situazione, secondo me si dovrebbero considerare i paragoni con le “zone di guerra”, i titoloni e le ricostruzioni di una città devastata, come un’altra forma, perfino più bieca, di sciacallaggio.

Mi piacerebbe mandare uno di quelli che hanno paragonato Genova a una zona di guerra in una zona di guerra.

E vedere se al ritorno si azzarderebbe ancora.

La solidarietà che scatta in queste occasioni è una delle spinte umane certamente più nobili. Ma la definizione di “angeli del fango” tradisce tutta la stucchevole cifra kitsch che domina questi tempi bui. Come il rapporto 1 a 5, tra pale per spalare e iPhone per immortalarsi in un selfie fangoso, per rappresentarsi come degli eroi sui social network.

Senza considerare che al posto di tutte queste braccia che lavorano gratis, potevano essere richiamati in servizio migliaia di vigili del fuoco precari, genovesi e non, pagandoli per fare il loro mestiere. 

Si capisce la rabbia nei confronti di una classe politica che ha esasperato gli animi a ogni livello, negli ultimi anni in particolare.

Ma la pretesa che l’unica cosa che un politico, locale o nazionale, dovrebbe fare, è impugnare una pala e mettersi a scavare, è il frutto di un populismo scemo, di una retorica in cui la dabbenaggine dei cretini fa il paio con la furberia predonesca di giornalisti e oppositori, dando vita a una spirale di inesattezze e esagerazioni che spingono ogni comportamento al parossismo.

Nonostante tutte le colpe e le responsabilità, che sarebbe bello venissero accertate e adeguatamente sanzionate, nonostante il dovere di ricostruire e sostenere coloro che hanno perso davvero qualcosa in questa alluvione, sarebbe anche opportuno ricordare che magari il governo è ladro, ma non è colpa sua se piove.

E che, se anche fosse onesto, pioverebbe comunque.

 

 

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Marco Cubeddu

Nato a Genova nel 1987, vive a Roma, è caporedattore di Nuovi Argomenti e ha pubblicato i romanzi Con una bomba a mano sul cuore (Mondadori 2013) e Pornokiller (Mondadori 2015). Credits foto: Giulia Ferrando

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